LA RABBIA DI SELENE nasce dalla considerazione della superbia umana, che sfida ostinatamente la natura e il suo ecosistema, con il solo risultato di andare in contro alla propria estinzione. Ad osservaci e giudicarci, la luna, che, stagliata nel cielo, illumina il volto oscuro della Terra.
Così la sua pallida essenza, oppressa dalle sorti del mondo, diventa eterea presenza nell’esegesi pittorica di MARIA RACHELE BRANCA: la sua SELENE, bellezza diafana dalle lunghe vesti fluide, si presenta nel movimento ritmato di una danza dal richiamo ancestrale. Le sue movenze citano l’iconica foto di BARBARA MORGAN che ritrae la danzatrice e coreografa statunitense MARTHA GRAHAM nella messa in scena di una vibrante gestualità del corpo, capace di esprimere la profondità emozionale di un universale compianto.
Qui la luna, dunque, non è più l’interlocutrice delle angosce umane come in Leopardi, ma si fa volto di donna per mostrarci il disincanto e l’afflizione che la nostra condizione e il nostro operato su questo pianeta sono in grado di suscitare. La sua ira, allora, si riversa in un rivolo di latte che, misto al sangue, non è più fonte di nutrimento ma ferita inflitta. Un sangue vivido che defluisce su una terra arida, macchiatasi di hỳbris: una tracotanza umana che trasuda in territori martoriati dalla storia o flagellati dalla furia della natura. Eppure non tutto è perduto.
Pur nell’incombere di un cielo plumbeo, l’atmosfera angosciosa che satura totalmente lo sfondo della tela è ormai alle spalle di SELENE, ma allo spettatore non viene mostrato l’orizzonte che si palesa ai suoi occhi. Ecco che il passato si scontra con una visione sul futuro, magari spasmodicamente stravolto dal sacrificio di SELENE.
La rabbia di Selene (omaggio a Martha Graham)