Ho sempre pensato che la più bella location del mio paese sia l’abitazione di Piazza Umberto I, posta proprio di fronte alla nostra Collegiata. La mia fanciullesca fantasia e stata sempre affascinata dalla balaustra a tre archi da cui e possibile affacciarsi per ammirare lo spettacolo della Chiesa Matrice e dal portone di ingresso sottostante, un arco a tutto tondo, buio ed impenetrabile, punto di accesso di un percorso che dalle tenebre porta alla luce. Se avessi denari a sufficienza la comprerei subito, senza nessuna esitazione, anche perché lì ha abitato per molti anni una persona a me molto cara: “La Signora della Casa con gli Archi”. Cietta, al secolo “Lucia Pallante”, era nata in una data quasi storica il 04/05/1911.
Era una donna dei suoi tempi: sana e vigorosa nel fisico, due occhi tondi con uno sguardo sveglio anche se spesso un po’ malinconico, un viso costantemente pallido tranne quando le si arrossavano le gote per via della sua innata timidezza. Vestiva in maniera molto sobria: gonna lunga ben oltre il ginocchio e camicia super abbottonata. Non ha mai avuto un cappotto o un giubbotto, sfidava l’inverno usando lo “sciallone” che lasciava il posto ad una più leggera mantellina per le mezze stagioni. D’inverno calzava degli stivaletti neri e nel restante periodo dell’anno i mitici “Scarpuni”, un classico della moda Bagnolese. Al mattino di alzava presto e armata di veletta si recava sistematicamente in chiesa, sempre molto agguerrita e decisa a gareggiare con Donna Lidia: in palio c’era il ruolo di figura narrante del Rosario mattutino. Francamente non so se Cietta sia mai riuscita ad averla vinta, Donna Lidia per rango ed anzianità poteva giocare da una posizione di forza, ma lei non si scoraggiava e il giorno dopo era sempre pronta a riprovare.
Il resto della giornata lo trascorreva lavorando, andando a servizio per mettersi le “marche”. Alla sera, dopo cena, si concedeva delle lunghe sedute di uncinetto, arte nella quale eccelleva, per terminare in tempo il lavoro che molte promesse spose le commissionavano. Era tecnicamente una analfabeta: non sapeva leggere e non sapeva scrivere, nel senso che non aveva mai avuto la possibilità di imparare a leggere e a scrivere e forse per questo aveva sviluppato una memoria straordinaria. Si ricordava tutte le canzoni e tutte le preghiere. Era abilissima nel far di conto, era sempre pronta a piazzare le sue pillole di saggezza e se la stuzzicavi sciorinava il suo vasto repertorio di proverbi ed aneddoti, Cietta era una “dotta ignorante di montagna”.
Non buttava mai niente, riciclava e aggiustava ogni cosa, in modo particolare le scarpe costantemente rimodernate, grazie alla maestria di quel sant’uomo di Isidoro che aveva bottega nella stessa piazza.
Quando ci veniva a trovare non lo faceva mai a mani vuote, “pareva brutto” rispondeva decisa alle rimostranze dei miei genitori. I suoi omaggi spaziavano dalla classica e buonissima cioccolata svizzera Frey, ai cioccolatini americani, quelli nella carta stagnola che oggi non mangerei neppure sotto tortura, alle caramelle Rossana che si scioglievano in bocca, al pacchetto di HB per mio papa .Una volta, che forse poverina non aveva nulla da portare, si presento a casa con due pezzi di legna !!!!
La vita di Cietta e andata avanti sempre così almeno fino alla fatidica domenica del 23 novembre. Quella mattina mise piede per l’ultima volta nella sua Collegiata e recitò l’ultimo Rosario. La sera il terremoto travolse tutto e tutti, la vita di Cietta ne fu sconvolta, dovette lasciare la Casa con gli Archi e nel giro di due anni morirà in un freddo ed anonimo container, vergine e pura così come era nata.
Non visito l’interno di quella casa da oltre 40 anni e spero che non sia cambiato o magari sia stato ristrutturato mantenendo inalterate le sue caratteristiche. All’epoca era un ambiente molto spartano, essenziale: una camera da letto, un bagno ed una cucina living molto buia ma rischiarata costantemente da un fuoco sempre acceso. Quella del fuoco e una immagine che ho ancora impressa nella memoria, il camino era a filo di muro mentre la fiamma ardeva praticamente in mezzo alla stanza, pulita e chiara senza alcuna traccia di fumo: miracoli della tecnologia locale !!!! Tutto era disposto con estrema precisione e tutto era sempre splendente e perfettamente pulito.
Ho voluto ricordare “La Signora della Casa con gli Archi” e con lei idealmente tutta una generazione, di cui fa parte anche la “Nonna” Filomena, come esempio di un patrimonio culturale e creativo, silente e penetrante, che mi porto appresso e che ha caratterizzato la mia formazione molto più di tante letture più o meno dotte che pure mi sono sbolognato.
E’ il modo di vivere, fatto di sacrifici e testardaggine, di tante anime semplici, di persone spontanee e concrete, di tante esistenze spesso e frettolosamente considerate anonime ma ritmate da abitudini ed esperienze consolidate nel tempo, immuni dai rumori, dai clamori e dalle frenesie imposte dalla modernità.
Un patrimonio che non deve e non può essere disperso. Quella cultura, quel modo di pensare, quell’approccio al quotidiano, quel modello esistenziale, deve essere valorizzato, spiegato ed esportato. Per quest motivo ho voglia di lanciare una idea, dal mio punto di vista suggestiva ed affascinante, che mi brulica in testa da un po’: candidiamo il nostro paese, l’Alta Irpinia e tutto il nostro mondo, a Capitale Italiana Della Cultura.
La mia e una proposta che spero possa essere raccolta ed approfondita da tutti coloro che sono più acculturati di me, da Palazzo Tenta, dalle istituzioni locali, dalle tante associazioni presenti sul territorio, ma soprattutto da tutti i miei concittadini, in particolare da quei giovani che ancora sono rimasti. E’ da loro, che hanno avuto la ventura ed il coraggio di non andare via, che deve essere alimentata una costante azione di valorizzazione e promozione di quello che abbiamo per far conoscere tutto il nostro patrimonio materiale ed immateriale. A tal proposito mi incuriosisce molto l’iniziativa di questi giorni: “Cercare la bellezza”. Ho letto che si parlerà di intrecci, di laboratorio creativo, della cavatura, di storie e racconti su janare e malacose; spero di poter partecipare.
Probabilmente molti, dopo aver letto, rideranno sotto i baffi, altri penseranno che con gli “anta” ho perso qualche rotella, non lo escludo, ma nella vita occorre saper sognare, far correre la fantasia e pensare in grande.
Un’ultima cosa, quando siete fuori, in giro per il mondo e vi viene posta la classica domanda : “where are you
from”, rispondete sempre forte e chiaro : “Bagnoli Irpino, provincia di Avellino”, senza aggiungere altro.
Biagio Amico
(da Fuori dalla Rete Agosto 2023, anno XVII, n. 2)