Per noi nostalgici di destra, il periodo politico globale che stiamo attraversando ci fa passare sicuramente bei quarti d’ora.
Mentre in Europa una parte della politica di Putin e l’Ungheria sembrano trovare appoggio solo dai coraggiosissimi Farage e Salvini, la vittoria di Bolsonaro in Brasile dopo anni in cui Lula ha trovato terreno fertile, può rappresentare una svolta epocale per noi “sovranisti identitari” troppo spesso poco rappresentati in ambito mondiale.
Certo nel paese carioca, il fattore principale è stata l’incapacità sostanziale di Lula, che osannato dalla gente di sinistra, come il vicino Maduro, in realtà ha portato quella parte di Sudamerica a livelli di schiavitù mai visti prima. Mentre dall’altro lato, il nostro sogno mai realizzato fino in fondo tra il capitalismo produttivo e quello finanziario a scala globale, il mantenere una certa identità nazionale stando all’interno del continente in cui si trova, che deve fare però da aiuto non da padrone sembra essere stato il cardine primario. Bolsonaro, populista e sovranista quindi ma non necessariamente contro gli stranieri, anzi, ma in primis scegliere prima i brasiliani quelli che non hanno più oramai la possibilità di mangiare.
Jair è il mercato libero, Jair è la possibilità di difendersi con le armi se si entra nelle nostre proprietà, Jair è l’eliminazione della criminalità nelle grandi città e nelle periferie. Sulle posizioni antigay invece, sicuramente non trova d’accordo quasi nessuno, ma sono proprio queste posizioni radicali e coraggiose che hanno spinto il 55% dei brasiliani a dare il proprio voto.
Jair come Matteo insomma, che danno la priorità al lavoro certo, ma soprattutto alla sicurezza. Invadere i nostri spazi comporta senso di smarrimento, di paura, tutti sentimenti che scompaiono nel loro senso del dovere, quel senso del dovere che per noi di destra è sacro! Sputi e attentati non possono fermare chi per la giustizia sociale in senso tale, morirebbe e ci è mancato poco.
Non è un ritorno al fascismo, come chi perde ovunque, vuole far passare, ma è un ritorno in una società più sicura, più patriota. Quella che nel mondo, da più di 20 anni oramai era mancata, producendo povertà, assenza di Stato e una cultura identitaria totalmente assente se non nelle partite di calcio. Che tralaltro noi giochiamo pure con Immobile davanti….della serie aspetta e spera!
Daniele Marano
(da Fuori dalla Rete, Dicembre 2018, anno XII, n. 6)