Stando a quanto scrive Cesare Colafemmina – il maggiore studioso dell’ebraismo in Italia meridionale – in Irpinia tracce storiche ebraiche si ritrovano ad Atripalda, Avellino, Mercogliano, Montefusco, Ariano, Grottaminarda, Vallata e Conza della Campania.
Lo studioso non registrò alcuna traccia per Bagnoli Irpino. Eppure in questo paese esiste da secoli il toponimo “La Giudecca” per indicare una parte del borgo ben circoscritto. Non esiste altro paese irpino con tale nome, mentre tale toponimo si ritrova in molte città italiane dove la presenza ebraica è data per certa.
Inoltre a Bagnoli vi sono diversi cognomi riconducibili a tale identità ( Nigro, Di Capua, Parente, Asti, Brandi, Lenzi, Meloro, Russo, Rogata e Trillo e altri ancora, mai studiati a fondo). E’ una storia quella del quartiere Giudecca non facile da scrivere per la mancanza di documentazione ma che di certo risale ai secoli XV-XVI, quando forse un gruppo di ebrei o di marranos in fuga da Salerno (dove esiste, guarda caso, lo stesso toponimo Giudecca) trovarono rifugio a Bagnoli nell’antico quartiere Felia, trasferendo in loco le loro capacità artigianali (intaglio) ma soprattutto l’arte della tintoria dei tessuti.
Altra traccia significativa fu senz’altro la loro “vocazione commerciale” che ebbe un lunga storia tutta da raccontare: quella dei cosiddetti “Camminanti”. Tale modo di intendere il commercio svolse una funzione politica e sociale che fece le fortune di Bagnoli, grazie all’attitudine, in cicli congiunturali sfavorevoli, di riconversione produttiva.
Tale patrimonio culturale sedimentò anche una vocazione alla cultura laica e scientifica, in netta contrapposizione con quella clericale predominante nella Diocesi di Nusco a cui Bagnoli apparteneva. Essa trovò la sua massima espressione in Leonardo Di Capua, poeta, medico ed innovatore del pensiero scientifico. Nato a Bagnoli nel 1617 morì a Napoli nel 1695 dove visse gran parte della sua vita, dopo un periodo sfortunato e burrascoso passato nel suo borgo natio. Alla sua morte qualcuno scrisse che se n’ era andato “stanco ma non sazio di leggere e filosofare”.
Nella città partenopea raccolse gloria e successo con i suoi ragionamenti sulla medicina, l’incertezza dei medicamenti e trattati scientifici (come quella sulla Mefite). Assertore del metodo empirico e sperimentale, mise sottosopra il pensiero medico del suo tempo, ancora basato su Aristotele, Ippocrate e Galeno.
In un suo scritto descrisse la possibilità di vedere un arcobaleno a cerchio, sostenendo che la parte inferiore dell’arcobaleno completo solitamente è limitato dall’orizzonte, motivo per il quale non lo vediamo come un cerchio, ma come un arco nel cielo. Se riusciamo a raggiungere un’altezza sufficiente, potremmo vedere che alcuni arcobaleni continuano al di sotto dell’orizzonte quasi fino al livello del mare, creando un cerchio perfetto.
I suo avversari guidati da un suo parente Domenico D’Aulisio si scatenarono contro simile eresia, sostenendo che era ubriaco quando era salito con gli amici sulla montagna per vedere l’arcobaleno a cerchio intero. I sostenitori del Di Capua a loro volta risposero con invettive e sarcasmo e con una lunga satira dal titolo: “La coda del Cacamusone epigrammatico” in cui strapazzavano ed umiliavano il povero D’Aulisa. La disputa stava prendendo una brutta piega, tanto che Consiglio Collaterale dovette emanare un ordine con quale minacciava gravi pene contro chiunque avesse continuato nella disputa. E’ superfluo dire che Leonardo Di Capua aveva ragione, suscitando meraviglia oggi anche in noi.
Giovanni Marino
(da Fuori dalla Rete, Marzo 2021, anno XV, n. 1)