Le calende: un rito tradizionale per scoprire il meteo dell’anno che verrà

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Per “calende”, da non confondere assolutamente con quelle greche, in Irpinia si intende l’osservazione meteorologica che va dal 13 dicembre al 6 gennaio ovvero tra Santa Lucia e l’Epifania.

Secondo le antiche abitudini, prima pagane e poi cristiane, i contadini cercavano di prevedere il tempo in base all’osservazione dei fenomeni atmosferici. La cadenza e la ripetitività di alcuni fenomeni meteorologici o astronomici favoriranno l’associazione di questi con alcuni giorni dell’anno e la consequenziale creazione di una previsione metereologica per l’anno a venire.

Un ruolo importante in questo contesto era dato al giorno di Santa Lucia, che ricade il 13 dicembre, questo giorno infatti, prima della nota riforma del calendario operata da Gregorio XIII nel 1582, coincideva con il solstizio d’inverno ed era di conseguenza il più corto dell’anno.

La valenza culturale e antropologica del giorno dedicato alla martire siracusana era importante principalmente per gli auspici del nuovo anno. In questo giorno i contadini iniziavano la conta delle “calende” che basandosi sull’osservazione meteorologica, portava “a prevedere il tempo” nei mesi dell’anno successivo e serviva per programmare semine e raccolti, sperando di ricevere pioggia e sole nei tempi giusti.

Secondo la tradizione irpina, anche se con diverse varianti, quest’ arco temporale di 25 giorni veniva suddiviso in due tronconi di 12 giorni ognuno, con esclusione del giorno 25, “Natale non porta calende”, il quale essendo un giorno sacro era considerato di pausa e perciò non valido per l’osservazione.

I primi dodici giorni, quelli che vanno dal 13 al 24 dicembre, venivano denominate “calende dritte”, e procedendo in avanti determinavano il tempo della prima metà del mese. I secondi dodici giorni ovvero dal 26 dicembre al 6 gennaio, venivano invece denominate “calende rovesce” e procedendo in senso inverso determinavano il tempo della seconda metà del mese.

Una volta terminata la registrazione si procedeva alla trascrizione delle due fasi in modo da avere una sorta di calendario meteorologico mensile.

Molto importante era in questo caso l’interpretazione dei vari segni meteorologici. La presenza di neve nei giorni corrispondenti ai mesi caldi voleva indicare che in quel mese ci sarebbero state delle grandinate o il tempo sarebbe stato meteorologicamente infausto, mentre una giornata tiepida corrispondente al mese di agosto (20 e 30 dicembre) significava un agosto meteorologicamente torrido.

Ovviamente si tratta di un metodo empirico basato su calcoli probabilistici approssimativi, non esiste nulla di scientifico, eppure se chiediamo alle persone anziane sicuramente conosceranno le “calenne” (come si dice in dialetto meridionale) e ci chiariranno che nella maggior parte dei casi le previsioni si realizzano nella maggior parte dei casi e sicuramente questo è il motivo per cui sopravvivono da più di tre secoli.  Oggi sembra solo superstizione popolare tuttavia, c’è ancora chi, come chi scrive, che continua a realizzarlo portando avanti una tradizione di famiglia. Un modo per ricordare le origini contadine dei nonni che pur essendo nati in epoche e luoghi diversi avevano in comune la “conta delle calende”.

Giulio Tammaro

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