Anche su queste colonne abbiamo riflettuto sulla condizione della scuola nel Sud e in Irpinia, sul ritardo rispetto al Nord d’Italia, sulla sperequazione tra gli stanziamenti a favore delle istituzioni scolastiche nel Settentrione e nel resto della Nazione. La situazione è spesso a svantaggio del Sud. E l’eroico impegno delle tante insegnanti a favore dei bambini delle scuole elementari non sortiscono che effetti relativi.
Attraverso brevi ma importanti saggi di Antonio Camuso, editi di recente su “Il Monte” e su “Fuori dalla rete”, ricaviamo non poche preziose notizie, ad esempio, sugli sforzi delle maestre durante il periodo fascista a Bagnoli Irpino, luogo paradigmatico per l’Irpinia e per tutto il Sud interno. L’impegno delle insegnanti, spesso giovani donne lontane dalle loro famiglie, costrette a vivere in un ambiente maschilista e prevenuto (ad esempio, l’insegnante Maria Balsamo è di Mazara del Vallo, in provincia di Trapani), è encomiabile: motivano le bambine, cercando di convincere i genitori a favorire la frequenza scolastica, tentano di “salvare” letteralmente l’esistenza di molte di loro.
Tuttavia, in un mondo prevalentemente pastorale e agricolo, le bambine e i bambini erano costretti ad aiutare la famiglia in particolare durante i periodi di intensa raccolta delle castagne, da settembre ai primi di novembre, oppure durante i periodi, in cui si era dediti alla transumanza, alla custodia delle greggi e delle mandrie. Le bambine venivano utilizzate per accudire i fratellini più piccoli o gli uomini di casa durante i lavori agricoli.
A ciò si aggiunge la scarsa importanza, che, in una realtà dominata dal fatalismo e dall’assenza di strumenti culturali, si attribuisce all’istruzione. Sinteticamente, l’insegnante Elisa Gatti Frasca annota, nel suo “Diario scolastico” della prima classe mista, sezione B, delle elementari nell’anno scolastico 1931/1932: “22 marzo: Alcuni alunni hanno definitivamente abbandonato la scuola, altri la frequentano a intervalli senza alcun vantaggio. Di questo andamento increscioso la colpa è dei genitori, alcuni dei quali non si curano della frequenza dei figli per sola trascuratezza, altri, invece hanno bisogno in campagna dell’aiuto di questi. Per questa frequenza a intervalli due o tre alunni ripeteranno l’anno. […]. 9 aprile: […] Ora il lavoro che devo sostenere è quello per la frequenza. È cominciato il bel tempo e i lavori in campagna sono iniziati e la frequenza lascia a desiderare. Mando a chiamare le madri degli assenti, parlo lor dell’obbligo che hanno di far frequentare la scuola ai loro figli, promettono di soddisfarmi … dopo qualche giorno di frequenza siamo a d’accapo!”
Testimonianza analoga viene dall’insegnante Gina Ianora, che è impegnata nello stesso anno scolastico sulla prima mista sezione C. Le stesse bambine documentano la loro vita di fatica: Rosa Nigro (9 anni) ha iniziato a frequentare la scuola tardi, dopo la raccolta delle castagne, mentre Teresa Conte, stessa età, racconta che prima di andare a scuola deve alzarsi presto per fare “tutte le faccende di casa”. Era in particolare più colpita dalla dispersione scolastica quella parte di bambini, i cui genitori erano pastori o mandriani, proprio a causa della transumanza, che impegnava la famiglia nel periodo invernale, quando le greggi e le mandrie andavano a svernare in Terra di Lavoro o in Puglia.
Ci viene in soccorso al proposito una lettera di don Lorenzo Milani, che, proprio parlando della sua situazione di bambino privilegiato, il “signorino”, che “ha passione per le pecore e non permette che si vendano”, causa l’abbandono della scuola da parte del figlio del fattore Adolfo, un bambino di dieci anni, Adriano, condannato ad essere analfabeta, mentre i figli dei ricchi possono dedicare la propria vita alla cultura, alla conoscenza, nell’agio delle proprie tenute: “Adolfo che non ha fatto neanche la prima perché il signorino ha passione per le pecore e non permette che si vendano. Il signorino dice che le pecore rendono molto tanto a lui che al contadino (ed è vero) e così non permette che si vendano. E così Adolfo ha passato la sua infanzia colle pecore e ora è grande e lavora invece il podere e colle pecore manda Adriano. E Adriano ha già 10 anni ma è analfabeta come il suo babbo solo perché non po’ andare a scuola perché ha da badare le pecore che hanno da fare la lana e gli agnelli e il cacio. E poi si vende la lana e gli agnelli e il cacio e la metà d’Adolfo basta solo per campare mentre la metà del signorino messa insieme a altre metà di altri poderi basta bene per andare a scuola fino ai 35 anni e far l’assistente universitario volontario cioè non pagato e vivere nei laboratori e nelle biblioteche là dove l’uomo somiglia davvero a colui che l’ha creato che è sola mente e solo sapere. Sono trecent’anni precisi che la famiglia secolarmente analfabeta di Adolfo mantiene agli studi la famiglia secolarmente universitaria del signorino. C’è nell’archivio parrocchiale documenti ingialliti e ammuffiti che lo attestano. Il fatto è già in sé d’una tragicità che non richiede commento”.
Il “signorino” è don Milani stesso, che apparteneva ad una famiglia ricca e colta; si ricordi che era pronipote del celebre filologo Domenico Comparetti, figlio di un colto e ricco fiorentino, Albano Milani, e di una triestina, ebrea e cosmopolita, Alice Weiss.
Un Adriano poi compare nelle Esperienze pastorali, forse lo stesso della lettera. La sua vicenda è drammatica nella sua paradigmaticità: analfabeta, lavora da quando ne ha sei, si è maciullato un braccio nella trebbiatrice. Il fattore suggerisce alla madre di dichiarare all’ispettore dell’INAIL che il ragazzo stava giocando, si stava “baloccando”. E così Adriano si trova “senza braccio, senza pensione, senza istruzione e in più con la beffa dell’INAIL, che si sventola sotto il naso la dichiarazione firmata dalla sua mamma: ‘Era a giocare’”.
Quanti bambini come Adriano ha conosciuto la terra d’Irpinia e il Sud?
Altra piaga da non sottovalutare era l’affollamento delle classi. Dal Diario scolastico dell’insegnante Maria Balsamo dell’anno scolastico 1927/1928, la Classe prima mista era frequentata da 54 bambini (sic), 29 maschi e 25 femmine, in un’aula insufficiente (di circa 46 metri quadri). A fine anno quasi la metà dei bambini furono non ammessi alla classe successiva (furono promossi 14 maschi e altrettante femmine). Consultando ancora il “Giornale di classe” (a. s. 1931/1932) dell’insegnante Elisa Gatti Frasca della Classe Prima sez. B mista, si conferma non solo la precarietà della stanza adibita ad aula, la sua angustia in relazione ai 57 iscritti, cui si aggiunge il freddo spesso insopportabile, ma anche la difficoltà dei bambini a seguire adeguatamente le lezioni perché infreddoliti o affamati, perciò colti da malore.
In questa situazione precaria, le eroiche maestre di Bagnoli Irpino potevano salvare la vita ai propri bambini?
Paolo Saggese
(da Fuori dalla Rete Agosto 2023, anno XVII, n. 2)