L’estate in bottiglia: quello dei pomodori è un rito che si ripete ogni anno

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Ode al pomodoro

La strada

si riempì di pomodori
mezzogiorno,

estate,

la luce

si divide

in due

metà

di un pomodoro,

scorre

per le strade

il succo
.

È Pablo Neruda a mettere in versi la sua Ode al pomodoro, che riempie le insalate del Cile tanto quanto fa la storia del Sud.

Caldi di sole, sono questi i giorni in cui le famiglie si riuniscono e le generazioni si ritrovano per ridare vita – e valore – a una tradizione che si fa via via sempre più rarefatta, ma che in cuor nostro speriamo non trovi mai davvero una fine.

Dobbiamo fare i pomodori , è la frase che suona come una sveglia. E subito scatta l’organizzazione: come formiche brulicanti si comincia dalla sera a lavare i boccacci – che chiamarli vasetti toglie tutto il gusto corposo – si montano i bruciatori e si tirano fuori i pentoloni; poi torna la calma, in attesa che si compia il vero rituale, la mattina all’alba.

Si sciacquano quintali di pomodori, i bambini più piccoli si occupano del basilico: certosini con le dita sottili e veloci lo inseriscono bene in ogni bottiglia. Intanto i pomodori passano nei pentoloni di rame pesante dove restano a bollire: questo è già un compito da grandi, c’è da stare attenti soprattutto quando è il momento di scolarli, usando stracci sottili o cestini di vimini stretti stretti per togliere tutta l’acqua, perché nessuno vuole il sugo scialacquato.

Così si arriva al passapomodoro, che elimina bucce e semi. A questo punto ci si siede e con una calma santa si inizia a versare nel vetro, per decine e decine di cassette. Qui il compito più arduo, affidato ad un attento esperto deputato a tappare tutto in maniera ermetica, vietato sbagliare, altrimenti si perde il lavoro di una giornata. Le migliori relazioni si sono rotte per la salsa andata persa.

Intanto grossi bidoni di latta attendono sul fuoco, foderati con vecchie coperte di lana e tessuti spessi: ospitano circa centocinquanta boccacci per volta che, grazie a questa tecnica, evitano di spaccarsi durante l’ebollizione. Si trascorrono ore in attesa della cottura, alla fine le cose si raffreddano e si fa la distribuzione tra tutti quelli che hanno partecipato alla giornata, più amici e parenti lontani.

Ma, badate bene, non è semplicemente questione di fare la salsa: ci sono anche i giorni dedicati ai pomodori da seccare, con il sale e un sentore di piccante, la notte rientrano e la mattina si stendono di nuovo al sole e al vento, per finire sott’olio.

La conserva secca diffonde il suo profumo un po’ acido nell’aria, è lo sfizio tranquillo che piace alle nonne – o alle persone pazienti – contente di condire la salsa con olio, aglio e basilico, metterla nei recipienti di terracotta e intanto girare e rigirare stando all’aria aperta, finché tutto si riduce a un ricco e indispensabile concentrato che è come il colore nero, sta bene con tutto e fa venire il sugo tinto, denso.

Alla fine ci sta lo spaghetto, il premio tanto atteso e meritato dopo la fatica, perché la pasta più buona del mondo è quella con la salsa appena fatta, ce lo dobbiamo dire: sudata, condivisa tra risate e rimproveri, schizzi di rosso ovunque, il sugo che cola agli angoli delle labbra, pulirsi con le mani, non avere timore di sporcarsi, gavettoni, tavole lunghissime da apparecchiare, il pane da tagliare per fare la scarpetta.

Momenti preziosi, sensazioni semplici, una felicità di cui forse non ci siamo mai davvero accorti. Così oggi, per un poco, riuniamo il piacere, ci riprendiamo il tempo e i ricordi: le pummarole sono una cosa seria.

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