L’ing. Antonio Nigro, da Bagnoli alla sfida della Snam

di Roberta Bruno (Il Quotidiano del Sud)

Rubrica: Lontano da… viaggio tra gli irpini emigranti al Nord Italia e all’estero.


Antonio Nigro giovane di Bagnoli Irpino laureato in ingegneria elettronica alla Federico II, è oggi il responsabile degli impianti di stoccaggio della Snam, società nazionale metanodotti.

Dopo la laurea ha iniziato a lavorare come tecnico, si è spostato negli anni tra Crema, Vasto e Bologna ampliando le sue conoscenze e la sua esperienza, crescendo professionalmente fino a ricoprire il ruolo di responsabile degli impianti di stoccaggio. Il suo lavoro, mi spiega Antonio, riguarda il corretto funzionamento e il soddisfacimento delle richieste date dal programma di gestione: tutto deve essere in sicurezza per l’ambiente, per i lavoratori e per la persone. “Solitamente viaggio tra gli impianti della società – racconta Antonio – soprattutto sono tenuto a presenziare quando ci sono dei controlli agli impianti da parte di enti terzi. In questo momento abbiamo nove giacimenti tra la Lombardia e l’Emilia Romagna, perché il suolo è naturalmente predisposto allo stoccaggio dei gas. Tutti gli impianti vengono controllati dalla sede operativa situata a Crema, mentre la sede legale e amministrativa si trova a San Donato Milanese. Recentemente, a seguito della liberalizzazione dei mercati di energia, la Snam ha avuto l’indipendenza dall’Eni e questo ha comportato due dirette conseguenze entrambe positive: per il dipendente ora è possibile spaziare all’interno di un grande gruppo; per la società è possibile perseguire politiche aziendali personali, diverse rispetto a quelle del gruppo madre, che mirano ad un processo di sviluppo e di crescita anche nel settore delle energie rinnovabili; immagazzinare l’energia rinnovabile traducendola in gas rappresenta per noi innovazione, ricerca e futuro”.

Lo stoccaggio del gas è un processo altamente sofisticato ed estremamente interessante, mentre Antonio mi spiega la logica dello stoccaggio, disegnando i processi di estrazione e compressione dei gas, mi mostra anche un’applicazione con cui può controllare costantemente dal cellulare lo stato delle centrali. Naturale mi sembra chiedergli come si fa a gestire un lavoro di così alta responsabilità, ma la sua risposta è molto sicura: “Molto serenamente mi piace avere responsabilità e gestire le cose. Tornare a casa e sapere di aver fatto il mio dovere mi aiuta a stare sereno e tranquillo. E poi – aggiunge – l’aspetto delle responsabilità tecniche è più facile da gestire, avere la responsabilità del fattore umano e creare un gruppo, in cui tutti lavorano per lo stesso obiettivo e interesse, è la parte difficile.

È facile – spiega Antonio – che si crei una linea di separazione tra l’ingegnere e coloro che operano manualmente negli impianti e che creano il vero gruppo di lavoro. Il modo in cui l’ingegnere si pone nei confronti del gruppo è fondamentale per la riuscita di un rapporto non asimmetrico e unilaterale. Bisogna porsi in maniera tale da spiegare alle persone qual è il loro ruolo nel processo di cui fanno parte. Il mio segreto è parlare, spiegare e soprattutto ascoltare tutti. Le persone lo apprezzano e ti seguono, e solo in questo modo riconoscono la tua figura, perché anche tu hai riconosciuto la loro. Noi ingegneri facciamo corsi di formazione appositamente per imparare a relazionarci con il gruppo di lavoro con cui dobbiamo fare squadra. Non potrò mai dimenticare l’esempio che ci venne fatto un giorno sull’importanza della collaborazione: nessuna enciclopedia online è più longeva di Wikipedia, persino Encarta quella creata da intellettuali è stata superata, e questa longevità la deve ad una semplice caratteristica: tutti possiamo aggiungere qualcosa, chiunque siamo, in base alle nostre conoscenze possiamo migliorarla e aggiornarla, perché si basa interamente sulla collaborazione spontanea. Non si può pensare oggi nel mondo del lavoro di relegare una persona o un rapporto esclusivamente ad un riconoscimento di tipo economico, se non c’è quello umano e intersoggettivo non può esserci una piena e spontanea collaborazione, ma unicamente sterili dispositivi di controllo”.

Antonio è un ragazzo dai molteplici interessi, e oltre al lavoro alla Snam, ha recentemente creato, insieme agli amici dell’università, un nuovo macchinario atto alla riabilitazione post-traumatica dei muscoli ischiocrurali. La macchina, con brevetto europeo, permette notevoli vantaggi in termini di riduzioni dei tempi di riabilitazioni e prevenzione da ricadute e dagli infortuni, risolvendo il maggior tipo di infortuni o sportivo. L’unica ragione che potrebbe portar via Antonio dall’Italia è proprio questo progetto. In America, a suo dire, c’è molto più spazio di investimento per questi progetti innovativi, cosa che in Europa e in Italia, per non parlare del sud, manca completamente.

“Già dai tempi del liceo pesavo di trasferirmi in una città più grande nonostante fossi molto legato alla mia terra. Voglio avere la possibilità di poter fare qualsiasi cosa, giù mi sentivo limitato. Oggi molti amici irpini li ritrovo qui in città, ed è bello da un lato, perché si possono ampliare le amicizie e creare connessioni tra vecchie e nuove conoscenze, ma è triste dall’altro pensare alla propria terra che si desertifica lentamente, non si tratta più di fasi migratorie, questo è un fenomeno in continuo aumento, le persone sono costrette ad andarsene.

Chi gestisce la politica locale forse non si rende conto del fenomeno che ci sta travolgendo, distolgono l’attenzione dai veri problemi del nostro paese, ma io mi chiedo: se la maggior parte delle persone che studiano se ne vanno dal nostro paese che sviluppo potrà mai conoscere la nostra terra? Questo mi fa rabbia.

Per Antonio sono due i principali mali che attanagliano le nostre zone, la prima è la mancanza di una meritocrazia che fa fuggire i talenti, la seconda è la mancanza di rispetto delle regole, senza le quali non è possibile instaurare un rapporto di fiducia per qualsiasi cooperazione e sviluppo: “Se non c’è, meritocrazia – continua Antonio – non solo i talenti fuggono altrove, ma non si crea un terreno fertile alla competizione e alla concorrenza per il bene comune. Il mio lavoro mi ha portato a capire questo processo: liberalizzare e concorrere sono elementi necessari per lo sviluppare il talento e le capacità. Il rispetto delle regole, poi, è fondamentale allo sviluppo, ma se continuiamo a rimanere vincolati alla criminalità organizzata non andremo mai da nessuna parte.

Roberta Bruno (Quotidiano del Sud 14.7.2019)


IL QUOTIDIANO DEL SUD del 14.7.2019

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