L’ira di Tommaso

di Antonio Cella

Sono passati quasi quarant’anni da quando, sia pure virtualmente, senza lo stigma notarile, anticipai in un mio racconto l’intestazione di una strada al compianto Tommaso Aulisa. Avevo appena pubblicato “Il cortile dei pazzi”, modesto lavoro letterario nato dalle ceneri della campagna elettorale per le amministrative del ’70 del Comune di Bagnoli Irpino, e, naturalmente, la  prima copia del mio primo libro fu inviata all’indirizzo di casa sua. Letta una parte della narrativa, mi chiamò a casa, a Napoli, alle due di notte.

Quella telefonata, fattami in un’ora spesso foriera di notizie poco allegre (a Bagnoli viveva la mia famiglia, quella di mia moglie e di tantissimi altri parenti), ci buttò tutti dal letto, gatto compreso. Senza capire chi fosse l’autore della telefonata, presi la cornetta e, quasi con alterigia, risposi: “E’ successo qualcosa di grave?”. “No!”, rispose con voce cupa, incazzata, “Di grave c’è soltanto la dedica al sottoscritto di una st-rada del nostro paese, pur essendo vivo più che mai. Ascolta questo brusìo, questo sommesso rumore di seta frusciante: proviene dalla parte più intima del mio corpo. Da quando ho letto quella etichetta, non ho più smesso di grattarmi i …”.

Incredibile!!!

Quella notte, per chetare le risate contorcenti e per riaddormentarmi, mi sono dovuto bere un bicchierone di camomilla. Fu inutile spiegargli che la mia era una dedica simbolica, immaginifica, virtuale, (che sotto sotto covava già i prodromi di un mio intervento futuro riconducibile alla realizzazione della dedica di che trattasi alla persona che per circa un quarto di secolo ha amministrato saggiamente il Comune del paese) che rappresentava il mio personale tributo d’onore, di riverenza, di affetto. Ma lui continuava ad imprecare nella cornetta ripetendomi, quasi gridando, tutti gli scongiuri, gli antidoti, per fugare quella mia insana azione e allontanare, così, l’influsso malefico insito nello sgradito omaggio.

 “Intestare una strada a una persona vivente è segno di malaugurio”, diceva, “Visto che soltanto i morti vanno ricompensati di certe onorificenze”.

Si calmò soltanto quando gli dissi che si stava comportando come un fottuto scaramantico, vittima delle superstizioni.

Ancora rido, quando penso a quell’episodio esilarante. E non ho mai dimenticato quanto bene abbia apportato al paese quell’uomo, quel politico, quell’amministratore temerario, quell’intellettuale saggio, arguto, illuminato.

A distanza di tempo, calatomi nelle vesti di Assessore al Bilancio del Comune, ho potuto realizzare il mio vecchio progetto intestando (stavolta per davvero) a Tommaso il parco più bello, più frequentato dai bambini e dalle famiglie e da chi ha voglia di sorseggiare una bibita o un buon caffè nel cuore del paese, tra piante sempreverdi e profumi di erbe, di resine e ginestre selvatiche. Non ho potuto fare più di tanto! Credo che basti affinché il suo nome, i suoi libri, possano essere tramandati ai posteri e a tutti i giovani che non hanno avuto la fortuna di vivere la sua era.

Era il momento dell’Amministrazione di Nello Chieffo, che fece suo il mio progetto, approvato poi all’unanimità da tutti i consiglieri a riprova che, astraendo dal target politico di ognuno di noi, l’uomo Aulisa era veramente amato da tutti.

Nel tempo, abbiamo potuto assistere all’impegno e alla operosità di nuove Amministrazioni del paese grazie alle quali, partendo dalla base di progettazioni curate nei minimi particolari dagli esecutivi pregressi, si è potuto giungere alla consapevolezza di poter finalmente dare un nuovo volto agli impianti sciistici di risalita sulle falde del Rajamagra, sempreché l’impresa aggiudicataria dell’appalto per la costruzione dei menzionati impianti si faccia viva, si faccia sentire: le cose, a quanto pare, vanno a rilento e non c’è tocco di campana che suoni a festa per il paese, per gli operatori turistici e per gli amanti della montagna.    Piangiamo tuttora il rammarico di non essere stati capaci di riportare tra le mura di casa nostra quell’autentico inno alla cultura rappresentato dal Laceno D’ORO. Ciò è avvalorato dal fatto che registi e cineasti di grande prestigio, se non fosse stato per l’intrinseco valore culturale della kermesse bagnolese, non sarebbero mai scesi, per trent’anni consecutivi, nel Sud d’Italia semplicemente per ritirare un trofeo materialmente insignificante. La loro partecipazione era legata soprattutto all’importanza della manifestazione, che avrebbe dato loro motivo di vanto e di prestigio nel resto del mondo cinematografico.

Cosa non daremmo e non faremmo per riavere sul Pianoro quella piece fantastica che Tommaso e Camillo Marino, con l’ausilio dei padri nobili della cinematografia nazionale e degli uomini di cultura del calibro di Pier Paolo Pasolini, hanno tenuto a testa alta sotto le luci della ribalta mondiale.

Se l’antico progetto avesse avuto un’alba, avremmo avuto anche il piacere di rivivere quel clima fiabesco animato di personaggi fantastici, e sentiremmo ancora parlare di Tommaso, di Laceno, di Bagnoli e della sua stupenda gente che, della cultura, rappresenta l’humus che ha proiettato nel mondo, in ogni scibile, in tutto ciò che possa essere oggetto di apprendimento e conoscenza da parte della mente umana, intellettuali di primaria eccellenza.

Antonio Cella

(da Fuori dalla Rete, Marzo 2022, anno XVI, n. 2)

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