E’ soprattutto d’inverno che i fantasmi si fanno sentire. Quando c’è sempre, prima o poi, una finestra che sbatte, dentro qualche casa chiusa. E nel silenzio di strade deserte, il vento diventa la voce dell’assenza. La voce cioè di chi è partito, per cercare altrove fortuna.
Da anni, c’è un movimento costante in atto. Di svuotamento dei piccoli comuni, soprattutto montani o a vocazione agricola. Le scuole chiudono, per mancanza di bambini; le banche spostano gli sportelli; il trasporto pubblico è problematico, quando non inesistente. Le amministrazioni provano a condividere i servizi tra più comuni, ma i referendum per le fusioni sono quasi sempre stati bocciati dagli abitanti.
C’è un’Italia minore per dimensioni, che lotta per non sparire. Un mondo poco noto, richiamato dalla protesta dei pastori sardi, che «diventa idealmente la protesta di tutta l’Italia rurale che non trova spazi nelle politiche né italiane né comunitarie. Un’Italia che sta sparendo, ma se sparisce quest’Italia – avverte il delegato Anci per i piccoli comuni, Massimo Castelli – sparisce il senso della nazione». E a salvare questo piccolo mondo antico «non sarà il reddito di cittadinanza», concordano più sindaci, ma «iniziative, per richiamare altri abitanti: mettendo a disposizione le case abbandonate o accordando incentivi fiscali, per aziende e nuovi residenti. Come la tassazione ridotta, introdotta nella legge di Bilancio 2019, per chi trasferisce la residenza dall’estero nei paesi del Mezzogiorno. E soprattutto servizi.
La parola d’ordine è «trasformare i limiti, come l’isolamento, in opportunità per turisti e nuovi abitanti». Alla lotta dell’Italia rurale contro lo spopolamento sono dedicate due puntate di Storiacce, (domenica 3 marzo e domenica 10 marzo alle 21 su Radio24 e poi in podcast).
Numeri – Il dato peggiore a Roio del Sangro, in provincia di Chieti. O a Marcetelli, nel rietino, dove lo spopolamento ha superato la percentuale dell’81%. E ora gli abitanti sono meno di 100. Ma da Nord a Sud, sono tantissimi i piccoli comuni che dal 1971 al 2015 – ultima rilevazione Anci, sulla base di dati Istat – hanno perso più della metà dei loro residenti. Ben 115 registrano un tasso di spopolamento superiore del 60%. Si va dall’abruzzese Secinaro, al piemontese Calstelmagno, a Bagnoli del Trigno in provincia di Isernia. Ci sono sia paesi dell’estremo nord – da Ligosollu a Savogna o Drenchia in Friuli Venezia Giulia – ai borghi dell’estrema propaggine dello Stivale: Castroreggio o Staiti in Calabria o Soddì, Patru in Sardegna o ancora Fondachelli e Castelvecchio siculo in Siclia. Tutti hanno perso più della metà delle persone, in meno di mezzo secolo. Un quadro su cui anche il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha più volte posto l’attenzione, denunciando come «lo Stato appaia in ritirata da questi territori».
Anci Piccoli Comuni – «Siamo fiduciosi, perché abbiamo cominciato a vedere che alcune battaglie hanno portato a dei cambiamenti sulla visione della questione», riflette il delegato Anci per i piccoli comuni, Massimo Castelli, primo cittadino di Cerignale, 123 anime nel piacentino. «Ma ad agosto siamo mille- sorride. La decrescita è iniziata, come un po’ ovunque, dopo le guerre mondiali, quando gli agricoltori si sono ritrovati a fare gli operai nelle città e si davano anche contributi per vendere il bestiame», ricorda. Nel suo paese, le scuole sono state chiuse, la più vicina è a 23 km, mentre il primo ospedale ne dista 70. Qui l’ufficio postale è aperto solo due giorni a settimana. «Ma dopo una battaglia di Anci e dopo il cambio di managment, Poste ha bloccato la chiusura degli uffici nei piccoli comuni e anzi sta investendo». In realtà, così come in quasi tutti i piccoli comuni, «il problema oltre all’isolamento – elenca il sindaco – sono anche le terre abbandonate, per cui si perdono superfici in produzione da secoli e si perde il paesaggio. Per non parlare del rischio idrogeologico. Ma perché non è mai rimasto nulla sul territorio delle risorse primarie, che soprattutto dalla montagna derivano, a cominciare dall’acqua?», si chiede Castelli.
Tecnologia – La prima sfida riguarda il superamento del gap digitale. E l’orizzonte della svolta dovrebbe essere 2021-22, quando Open Fiber, grazie a finanziamenti soprattutto comunitari, dovrebbe aver portato “internet ad alta velocità” in modo capillare nel 90% del Paese. «Questo permetterà di superare le distanze fisiche e in tempi di smart working, consentire a chiunque di guardare la montagna dalla finestra, ma interloquire con il resto del mondo», progetta
Castelli. Già un migliaio i cantieri aperti in quelle che in gergo tecnico vengono definite “aree a fallimento di mercato”, dove cioè non c’è convenienza finanziaria. E altri ancora dovrebbero essere avviati nel 2019, con l’obiettivo di portare la fibra in 7mila Comuni. Poi spetterà al sistema Paese realizzare le condizioni, perché cittadini e aziende possano usufruire di questa rete.
Agenda Controesodo – Quello che a gran voce i piccoli comuni invocano è «una politica nazionale, per il sistema locale». L’Anci ha stilato un’ “agenda del controesodo” per invertire il flusso delle partenze e portare nuove famiglie in quelle aree non urbane, comuni interni, periferici, rurali, di piccole dimensioni demografiche – che però, a fronte dei disagi possono offrire qualità della vita e diventare motivo di attrazione. Per turisti e per fuori usciti della città. In Italia, esiste già – in via sperimentale – una strategia nazionale per le aree interne, rivolta a 1.000 dei 4.000 piccoli Comuni che rientrano in questa definizione. Obiettivo, da una parte rafforzare le infrastrutture – per potenziare i servizi fondamentali, dalla scuola alla salute alla mobilità; dall’altra fare da leva per gli investimenti. E dalla fiscalità di vantaggio, agli incentivi per le attività economiche, ai programmi di sviluppo rurale, sono molte le misure, che potrebbero rientrare nel piano a tutela di queste aree. E c’è un punto su cui molti sindaci insistono: far restare qualcosa sul territorio delle tante risorse fondamentali, che arrivano proprio dall’entroterra, a cominciare dall’acqua che poi serve gli acquedotti delle città. Nella scorsa legislatura, dopo 15 anni di battaglie, nel 2017 fu approvata una legge con una visione complessiva, per contrastare lo spopolamento.
«Ma per gran parte dei punti toccati, sono mancati i decreti attuativi», lamenta Ermete Realacci, all’epoca presidente della Commissione Ambiente della Camera e primo sostenitore della norma, che oltre a prevedere un fondo e misure per implementare servizi, «puntava innanzitutto – ricorda – ad invertire l’approccio verso questo mondo. Senza nostalgia, ma in modo propositivo». L’introduzione nell’ultima legge di Bilancio di agevolazioni, per provare ad attrarre pensionati nei paesi del Sud, è salutata «positivamente» da Guido Castelli, presidente IFel, Istituto finanza ed economia locale e sindaco di Ascoli. «Va nella direzione giusta, ma credo che soprattutto i non più giovanissimi scelgano dove vivere non solo in base agli incentivi fiscali, ma considerando anche i servizi essenziali, a cominciare dalla salute, ad esempio.»
Iniziative – Così in attesa di un nuovo piano nazionale, sono sempre di più i comuni che avviano proprie iniziative, per richiamare nuovi residenti. In Sicilia, ad esempio, da Salemi a Gangi le case abbandonate o di proprietà comunale sono state proposte gratis o a prezzi simbolici per futuri abitanti. Progetto, che ha incuriosito anche il New York Times e sono arrivate richieste da ogni parte del mondo. Strada che è stata replicata altrove e che era già stata un successo a Bormida, 300 anime in Liguria, grazie all’intuizione del sindaco Daniele Galliano, e alla consapevolezza che «erano troppi ormai per le strade del paese gli spaventapasseri, i pupazzi messi dagli abitanti per sostituire gli abitanti che non c’erano più». Qui, come altrove, è la prospettiva di futuro che si allontana, con ogni giovane che parte per cercare altrove lavoro. E allora, si è provato a richiamare persone, rispondendo all’emergenza abitativa diffusa. «Avevamo alloggi di proprietà comunale destinati ad anziani, che qui vengono accuditi ancora in casa come una volta. E allora abbiamo pensato di affittarli per 50 euro mensili, per non lasciarli vuoti. E ho fatto una richiesta alla Regione Liguria, che vogliamo proporre con l’Anci anche a livello nazionale, perché i piccoli comuni vengano aiutati con contributi una tantum. Avevo ipotizzato fino a 2mila euro per chi acquistasse un rustico o prendesse la residenza stanziale».
Le alternative per resistere ed invertire la tendenza demografica sono o «creare lavoro, o dare incentivi per venire», come quelli inseriti nella legge di Bilancio per i comuni del Mezzogiorno. Per Castel Del Giudice, in Molise, invece il punto di ripartenza è stata la riqualificazione, con un progetto di crowfunding, di un vecchio edificio scolastico, ormai inutilizzato per mancanza di bambini e trasformato in casa di riposo, che «ha dato lavoro a 22 dipendenti in modo stabile», spiega il sindaco, Lino Gentile. E poi la creazione di una cooperativa, per la coltivazione di mele biologiche in terreni abbandonati. E’ ora qui che ad esempio lavora uno dei giovani, trasferito da Torino nel paese di origine della madre. «Ho lasciato la città, dopo aver perso il lavoro nel mondo della finanza e sono stato richiamato anche dagli affetti, per una casa rimasta ormai vuota. Ora mi occupo di mele», sorride Omar, 30 anni. E poi proliferano in tutta l’Italia dell’entroterra iniziative per attrarre turisti e potenziali nuovi abitanti, con ogni modo. «Noi con l’arte e con l’iniziativa Terravecchia – artisti che dipingono i muri antichi del paese, ogni anno con un tema e vivono insieme agli abitanti che li ospitano – puntiamo a fare innamorare del nostro paese chi ad esempio può essere stanco della città. E allora facciamo conoscere la qualità dell’aria e della vita», racconta Giuseppe D’Amico, vicepresidente dell’ associazione culturale Terravecchia a Frasso Telesino, 3mila anime nel Sannio, ai piedi del parco nazionale del Taburno. Ecco che allora i limiti, come quello della distanza dalle metropoli possono diventare pregi. «Siamo su fortino assediato, lavoriamo per le generazioni future, ma sono certo che un ritorno su questi territori sarà fondamentale per la nazione», conclude Castelli dell’Anci, che indica la necessità di «ripensare lo sviluppo del nostro territorio, anche considerando l’inquinamento di aree come la pianura padana».
Raffaella Calandra (IlSole24Ore)