Identificato con il lupo sacro a Marte ed invocato come difensore delle greggi dagli assalti dei lupi e lupo egli stesso, Lupercus – “lupus-hircus”, ovvero “il lupo delle capre” – è un fauno.
Divinità silvestre, connessa alla natura e alla sfera degli istinti, è stata tradotta nella mitologia romana come corrispettivo del dio greco Pan Lykaios. In questa traslitterazione iconografica, la sua figura ha maturato gli attributi canonici dei satiri greci: corna e zoccoli di capra.
Abbigliato con le sue pelli e recando un flauto o una cornucopia o armandosi di una clava, Lupercus Faunus vaga nei boschi, insidiando le Ninfe delle fonti e delle sorgenti nel tentativo di possederle. L’antica festa romana dei Lupercalia, in tal senso, evoca la sfera dionisiaca in una dimensione selvaggia ed agreste, nell’ideale incarnazione di una vita primitiva in simbiosi con la natura. Nume ispiratore e invasante, spesso associato ad apparizioni spaventose e voci soprannaturali, LUPERCUS FAUNUS viene soprannominato anche Fatuus, in virtù delle doti profetiche che lo assimilano ancora una volta a Pan.
In una ricontestualizzata celebrazione degli incontaminati paesaggi irpini, la sua figura, qui, viene rappresentata nel suo ruolo di protettore delle greggi, legandosi strettamente alla tradizione dell’allevamento e della transumanza pastorale bagnolese.
In un ricercato contrasto con uno sfondo materico, il tratto delicato ed idealizzato di Maria Rachele Branca, che ne contraddistingue lo stile nel lirismo di un folclore mitizzato, sospende la scena nell’allusione all’invasante suono del flauto che ammalia la ninfa che gli siede di fianco. E proprio nel rimarcarne l’istinto predatorio, la tela accentua il potenziale di prosperità di LUPERCUS FAUNUS in un buon auspicio invocato per il territorio.