Maledetti africani. Anno 2087 è il mese di aprile e non ho ancora notizia di quando posso partire. Da quando è successo negli anni sessanta il mondo si è capovolto. Il virus A.T.A.V. che ha soggiogato le popolazioni bianche del Nord del mondo per oltre un decennio, ha sterminato famiglie intere cambiando la storia. Il mondo evoluto della mia infanzia e quello tecnologico e digitale della mia maturità è scomparso da anni sotto le macerie della nostra civiltà. Adesso stiamo alla periferia del nuovo mondo, non riesco ad abituarmi. Il mio amico medico non può più nulla, ho bisogno del trattamento. Si, noi sopravvissuti dobbiamo recarci nei centri con una certa regolarità per essere trattati con quella maledetta acqua (africana).
Maledetti africani. Si sono impadroniti di tutto: hanno comprato con il nostro denaro le grandi aziende, i marchi, le società.
Maledetti africani. Mia figlia mi dice che grazie all’interessamento del nuovo papa Francesco Pio II° e di quella brava funzionaria N.O.N.U, quella Carola Rackete, l’O.N.G.M. “Perdonateci” forse riuscirà ad organizzare una partenza per luglio. Per il caldo ci sono meno richieste e tutto costa meno: speriamo. La nostra pensione la spendiamo tutta per questi dannati trattamenti.
Maledetti africani. Quando venne la pandemia il paese si chiamava Bagnoli Irpino, una economia florida, tante associazioni, un clima sociale ottimo. Mi ricordo, tra l’altro, di una sorta di referendum per l’accoglienza dei profughi di allora: quasi tutti contro, quasi tutti omologati e perfino i piccoli di sinistra non aprivano bocca (argomento da evitare).
Maledetti africani. Adesso sono loro che non ci vogliono, il buon Dio si diverte con il contrappasso e ci ha resi loro schiavi.
Maledetti africani. Certo non siamo stati un esempio di civiltà dell’accoglienza ma, sporchi, brutti, malati, ne abbiamo accolto a decine senza chiedere nulla, solo rispetto per le nostre rive e poi, c’erano gli italiani, che potevamo fare. Molti di loro, quelli che venivano accolti nei campi a lavorare, li ospitavamo e mangiavamo i loro pomodori e le loro angurie. Li volevano anche aiutare a casa loro, ma erano così bellicosi, cosi rudimentali, così neri. Anche a Bagnoli Irpino non eravamo attrezzati, le badanti già le avevamo, i neri non sapevano fare nulla e non c’erano nemmeno castagne da raccogliere. La nostra gente finalmente non votava più i partiti tradizionali, l’Irpinia (così si chiamava il nostro comprensorio in quegli anni) era diventata la nuova Pontida; avevamo davanti un futuro roseo. In Italia (si anche allora si chiamava Italia) ci stavamo liberando della vecchia democrazia ed eravamo tutti entusiasti dei nuovi leader sovranisti e populisti. Finalmente avevamo capito che bisognava filare con la Russia e non con gli USA e che l’Europa fosse solo una stramberia geografica.
Poi quel maledetto virus, maledetti africani. Solo loro si sono salvati: la pelle nera, il DNA e quella loro maledetta acqua maleodorante a cui tutti noi siamo appesi. La stessa acqua che ne ha risucchiati tanti, tantissimi, oggi è la loro fortuna. Che condanna per noi. Il N.C.A.(Nuovo Congresso Africano) ha promesso di allargare le maglie dei controlli, di prendere in considerazione un ingresso controllato per il periodo limitato e un nuovo piano di Ripartizione, con nuove Clausole di Salvaguardia tra gli stati africani, speriamo.
Ma, un bagliore di botto, che succede? Stavo sognando? Che sudata, non mi rendo conto, sono sconvolto . Che brutto sogno. Mi viene in mente di Plutarco che narrava di Calpurnia, la moglie di Giulio Cesare, che sognò di avere tra le braccia il marito assassinato. Il sogno subito sembrò turbare Cesare, che pure non era uomo impressionabile, al punto che in un primo momento egli decise di non andare in Senato. Decimo Bruto Albino allora lo provocò dicendogli all’incirca: «Cesare, che fai? Mentre tutti ti aspettano, tu rimandi in attesa che Calpurnia abbia sogni più gioiosi?». Erano le Idi di marzo e Cesare, da condottiero senza paura, alla fine non diede ascolto alla moglie. Come, ahi lui, andarono le cose è noto a tutti.
Maledetti africani.
Nello Memoli
(da Fuori dalla Rete, Settembre 2019, anno XIII, n. 4)