Riportiamo un ‘intervista al prof. Nino Ferraiuolo apparsa sul quotidiano La Repubblica lo scorso 6 agosto 2023. Ferraiuolo è legato e conosciuto un po’ da tutti in paese. Bagnoli infatti ha dato i natali alla compianta moglie Rosaria Palermo. Quando gli è possibile viene ancora con piacere a Bagnoli per passare qualche giornata tra le mura di questo amato borgo, in uno dei contesti naturalistici più belli della Campania.
Nino Ferraiuolo cammina piano, e il tempo per percorrere il breve tratto di strada che da piazza San Domenico porta a piazza del Gesù si moltiplica, non per la folla dei turisti che ne impediscono il cammino, ma per le soste che ad ogni passo si susseguono. Un saluto, una parola, una domanda, un pensiero, un ricordo. Nino Ferraiuolo conosce le strade, i vicoli, i palazzi del centro storico come le sue tasche, ma quel che è più sorprendente del “professore”, come è chiamato da tutti, è che conosce davvero tutti, e di tutti conosce le storie, il passato delle famiglie, magari qualche piccolo peccatuccio di quelli che ognuno si tiene celato dietro le ante della porta di casa. Attento, acuto, ironico, critico. Due grandi passioni lo animano come una febbre, quella, incontrastata ed esaltata nel tempo, per i libri e quella per la politica, nel complesso rapporto di vita con i partiti della sinistra, importante presenza storica nel Partito comunista napoletano, segretario della sezione San Giuseppe Porto, consigliere comunale, presidente della Circoscrizione, maestro per tanti, storico e critico di riferimento per molti.
Ma conosce davvero tutti e tutti le vogliono bene?
«Ho ottantadue anni, li ho vissuti tra via Santa Maria la Nova, dove c’era casa di mia nonna e sono cresciuto, e piazza San Domenico Maggiore dove sono tornato poi ad abitare con la mia famiglia. Qui conosco davvero tutti».
E qui vive con tutti questi suoi libri
«Libri accumulati negli anni. Libri, riviste, annate di giornali. Questi che riempiono la mia casa sono solo una parte della mia biblioteca, molti altri sono sistemati e ordinati in un locale che ho in via Cirillo. Sessantacinque metri quadri, soppalcati e pieni di volumi ben ordinati».
Li ha mai contati?
«No, ma un amico esperto ha stimato siano almeno 30.000 volumi. Sono una parte inseparabile, e quindi indivisibile, di me».
Accumulati nel tempo e nel lavoro?
«Amo i libri per quello che sono e per quello che significano, ho sempre avuto molti interessi. Il mio primo libro lo comprai che ero un ragazzino, stavo in prima media, la mia anziana maestra di francese ci aveva consigliato di leggere Goldoni. Non ricordo perché ce ne parlò, ma ricordo che andai in libreria, ce ne era una a piazza Bellini, e di Goldoni avevano solo “Il ventaglio”, costava poche lire, era la mitica edizione Bur, e lo comperai».
Ma già aveva letto altro?
«Leggevo già parecchio, certo. C’erano i libri della biblioteca circolante del convento di Santa Maria la Nova, ho incominciato presto a leggere e a conservare i miei libri. Ma a una certa età questo amore diventa un vizio, è come una malattia, vedo un libro, lo sfoglio, lo leggo ed è come se mi impadronissi del suo contenuto».
Però tutto questo fa parte del suo lavoro
«È stato parte del mio lavoro fino a dieci anni fa. Ho insegnato italiano e latino e ho anche tanti altri interessi che ho sempre condiviso con i miei alunni, i miei amici, i compagni del partito. Io volevo e voglio essere sempre al corrente, sapevo di dovere dare ai miei alunni risposte e informazioni giuste e nuove idee. A volte loro mi interrogavano su argomenti che i libri scolastici non avevano, però bisogna sempre sapere rispondere. Capii subito che se volevo stare con loro dovevo essere documentato».
Sempre sulla corda
«Ero attento, osservavo i miei alunni e ne scoprivo il talento parlando con loro dei loro interessi. Li assecondavo e imparavo io stesso. Ne ricordo uno, si chiamava Cristofari, era appassionato di uccelli, così se trovavo un libro di ornitologia su una bancarella lo acquistavo, lo leggevo, ne parlavo con lui. Oggi è uno del Wwf e penso che le nostre conversazioni lo hanno aiutato. Penso di avere avuto alcuni alunni geniali che altri insegnanti trascuravano. Ne ricordo uno, Vincenzo Coppola, secondo liceo scientifico: ero convinto che fosse intelligentissimo ma forse aveva qualche problema in casa e non brillava per i suoi risultati. Gli altri professori gli davano valutazioni basse, mi sembrava ingiusto così lo chiamai, gli spiegai che doveva impegnarsi, adoperai forse le parole giuste, certo è che in consiglio pian piano mi dovettero dare ragione».
Qualcuno davvero speciale le sarà capitato
«Se notavo il talento in un ragazzo lo seguivo. Davo lezioni private per guadagnare qualcosa, il mio primo stipendio fu di 128 mila lire al mese. Venivano da me i ragazzi del quartiere per il doposcuola, ho spiegato letteratura italiana e ho corretto i compiti di Pino Daniele, abitava al piano sopra al mio, dalle signorine Lamberti, le chiamavano tutti “le ziette”, due sorelle fasciste che non vollero che venisse a suonare alla Festa dell’Unità della nostra sezione».
E quindi?
«E quindi disse di no, e mi dispiacque. Venne al suo posto Giannino Battelli, suo maestro di chitarra e figlio di don Nicola, popolarissimo anche per le pizzette che faceva nel suo bar, un vero capolavoro, un’arte appresa da don Peppino Ceratto, mitico pasticciere del quartiere per i suoi biscotti all’amarena che andavano a ruba tanto erano buoni. Ma tanti racconti li tengo per me anche se tanti mi chiedono di scriverne. Mi ha colpito un piccolo libro di Peppe Lanzetta, lui dice la verità di quegli anni e di questi posti. È la verità che non sempre si può dire, ma che vive oltre il tempo».
Intanto però lei alimentava un’altra sua passione.
«La politica, certo. Ho avuto la fortuna di avere amici e compagni di lavoro eccellenti, impegnati, colti. A Napoli in quegli anni c’era una borghesia napoletana d’eccellenza».
Era già forte la presenza del Partito comunista?
«Avevo poco più di dieci anni, i compagni della sezione facevano la diffusione dell’Unità, la domenica venivano a casa e si fermavano a parlare, a chiedere delle difficoltà del quartiere. Io leggevo qualche articolo, ne parlavo con un cugino di mamma che faceva la pantalonaia. Poi alle medie incontrai Raffaele Langella, che fu segretario della sezione Pci di Barra. Grandi discussioni, domande, risposte complesse per comprendere e fare comprendere la gente del quartiere. Al liceo ci fu l’incontro per me importante con Enrico Castelli, direttore di Civiltà Cattolica. Scritti straordinari. C’era Giorgio Salerno, c’era Eugenio Donise, alto ed elegante. Io ero uno scugnizzo, lui mi avvicinò per invitarmi a una riunione alla federazione del Pci. Ricordo Ciccio Di Battista, Anna Bocchetti moglie di Mario Catalano, Bruno Bruni, il mitico Pastore, segretario provinciale».
Qualcuno di loro svolse un ruolo più importante per lei?
«Certamente Eugenio Donise che mi convinse a iscrivermi alla Fgci, la Federazione dei giovani comunisti, quattro ore a parlare, tanti argomenti, cominciando da quello che lui chiamava il mio “comunismo ideologico”, frutto delle mie letture, del mio entusiasmo di ragazzo. Peppino Nastro poi mi convinse a dedicarmi di più al mio territorio. Potevo essere il collegamento più naturale con il quartiere, e fui nominato segretario della sezione Pci San Giuseppe Porto. Sono stato per otto anni segretario di sezione, ma sempre riuscendo a mantenere uno sguardo ironico e molto critico. Ho vissuto la sezione come elemento di collegamento con il quartiere e la città, pezzi di una società su cui voler incidere, però in un rapporto sempre eretico con il Partito comunista. “Lettere dall’interno del Pci” di Maria Antonietta Macciocchi mi vedeva sulle sue stesse posizioni. Ero vicino alle posizioni del Manifesto».
Oggi come si definisce?
«Come si definisce Aldo Tortorella, un comunista italiano. Mica rinnego il passato della mia giovinezza, ma so bene cosa significa essere critico e oggi lo sono, e molto».
Mantenendo con il quartiere sempre uno sguardo privilegiato
«Ma anche critico. Questo è un quartiere che mi riconosce, di cui non ignoro i cambiamenti negativi, all’interno del quale individuo con chiarezza le responsabilità politiche che ho continuato sempre a denunciare anche quando so di essere sgradevole».
Cosa pensa oggi di Napoli?
«Penso che non possa esistere una metropoli che non abbia una classe operaia impiegata nell’industria, e che il turismo non può essere la sua unica vocazione».
Giulio Baffi- La Repubblica 6 agosto 2023