Cosa ci lascerà il Coronavirus? Beh, potenzialmente e paradossalmente esso potrebbe avere una azione benefica, se non fosse l’uomo contemporaneo indisposto a qualsiasi processo educativo di crescita, di miglioramento personale e, quindi, collettivo. L’impatto sulla salute, molto meno grave della irrazionale percezione che ne ha l’uomo qualunque, poteva essere il prezzo da pagare (poco) rispetto all’impatto positivo del pensare l’uomo, gli uomini, il mondo, il vivere in una società diversa.
Poteva, perché alla fine non rimarrà nulla, solo un periodo frenetico e paranoico di gratuiti stati di ansia, panico e psicosi dove, ancora una volta, è emersa la vera natura egoistica, avida e irrazionale dell’uomo contemporaneo.
Rimarranno le nostre dispense piene di cibo da svuotare prima della scadenza, rimarranno confezioni chiuse di Amuchina per picnic e campeggi, mascherine per carnevale o per le domeniche di smog in città, rimarranno un sacco di cose, solo cose.
Eppure questa vicenda, ci aveva dato una bellissima opportunità, ma avrà il sapore amaro di un progresso tamponato, solo immaginato.
All’uomo, alla maggioranza della specie, da sempre direi, è mancata una componente più delle altre che lo facesse ergere sopra le bestie, e che venendo a mancare spesso e in larga misura, ha fatto sì che l’uomo continuasse a vivere da bestia con tutti gli istinti dell’esserlo; questa caratteristica, questo anello mancante, è l’empatia.
Non essendo uno studioso di scienza medica, ma di scienze sociali, credo che nel mio campo da un virus nocivo poteva innescarsi un positivo meccanismo di consapevolezza che avrebbe condotto ad un modello di società ideale, se non fosse per la riluttanza e intolleranza delle persone a imparare. La società interculturale, che nasce da un approccio didattico personalizzato e integrato nelle scuole, aveva avuto nel virus il suo sostegno esemplare al vivere e convivere tutti assieme, nel rispetto delle diversità e nell’arricchimento vicendevole dalle differenze culturali che si incontrano.
Poteva essere una storia, magari bella, come le cose belle che ti accadono solo dopo essere passati per un brutto trauma obbligatorio, ma non lo sarà. Storia di uomini e di miserie umane, mi sento già di poterla trattare come storia da analizzare.
Eppure il Coronavirus davvero mi è sembrato, a me agnostico purosangue, essere caduto dal cielo con una traiettoria perfetta, tipica di un virus intelligente quasi. Piombato nel punto più caldo del focolaio dell’inumanità nazionale, ha per un momento sospeso la indegna gerarchia attuale di classificazione umana, capovolto la piramide di superiorità razziale, etnica, territoriale, sociale, economica, religiosa. I primi, come per magia, sono diventati come gli ultimi. E come insegnare l’empatia meglio, se non mettendo quelli che si credono migliori e diversi allo stesso piano dei peggiori e ultimi, anzi, per un periodo magico, sotto questi. Così i lombardo-veneti, alti, biondi e belli, ricchi e in salute, superiori nella condotta di vita, quelli che non avevano bisogno di nulla se non di isolarsi e non essere “contagiati” dagli altri più meticci e barbari del sud, o peggio dai neri malvagi e primitivi dell’altro continente, si ritrovano a essere discriminati, indesiderati, rifiutati proprio come quelli che da sempre avevano disprezzato e schifato, per uno strano scherzo del destino i leghisti egoisti del nord si sono sentiti, per un momento, dall’altra parte.
Bizzarro davvero, da karma, da comunismo divino questo evento, verrebbe da dire “non tutti i virus vengono per nuocere”, perché una umanità con un imbarbarimento di tale portata culturale e dei valori civili, è più letale di una pandemia, nonostante non uccida fisicamente. Ma chi oggi viene fermato in quanto sospetto contagiato, farà tesoro empatico in futuro quando tornerà nella sua posizione di superiorità percepita rispetto ai terroni e agli immigrati? Si ricorderà di quando, seppur per poco, è stato lui il ripudiato e discriminato, continuerà dopo a trattare chi ha bisogno come faceva prima di questa esperienza (potenzialmente dunque pedagogica)?
Certo, un terrone o un immigrato avrebbero fatto lo stesso di un padano trovandosi in cima, perché l’uomo è uomo con i suoi vizi a prescindere da etnia, appartenenza territoriale, e tutto il resto. Vero anche che questa natura non è uguale dappertutto, vero anche che l’insegnamento fin da piccoli a scuola alla intercultura e alla multiculturalità può rendere il futuro uomo (e quindi società) un uomo migliore. Egli è anche lo sciacallo politico, lo sciacallo mediatico, lo sciacallo imprenditoriale che, come durante ogni emergenza, fa prevalere il suo interesse mettendolo davanti a ogni altra questione, un po’ come quando al supermercato, come è successo in questi giorni, il cliente compra 100 kg di pasta non curandosi di non lasciarne abbastanza per gli altri.
Chi doveva capire qualcosa da questa storia di virus e discriminazione, privo di memoria e di attitudine all’etica, se ne tornerà comodamente in cima alla piramide come se nulla fosse accaduto, incurante come sempre di tutti i mali che affliggono il mondo, purché questo mondo sia lontano, purché questi mali arrivino in un futuro indefinito. Purché non sia qui, non sia ora, non tocchi me.
Alejandro Di Giovanni
(da Fuori dalla Rete, Marzo 2020, anno XIV, n. 1)