La volete sapere l’ultima del Cognato-Ministro Francesco Lollobrigida? Eccola: “Fortunatamente quest’anno la siccità ha colpito il Sud e non il Nord!”.
E sapete che nel 2014 la Meloni (che in passato è stata anche Ministro, ma non se n’è accorto nessuno, probabilmente neanche lei) propose una legge per abolire le Regioni, mentre oggi il suo governo vuole l’Autonomia Differenziata?
E sapete cosa significa, in soldoni, l’Autonomia Differenziata? Significa togliere 75 miliardi alle Regioni del Sud e trasferirli a quelle del Nord.
Vi hanno detto che il governo ha abolito gli sgravi per le assunzioni al Sud, mettendo in pericolo 3 milioni di posti di lavoro nel Mezzogiorno?
E che lo stesso governo ha tagliato le assunzioni negli asili-nido, così nelle regioni meridionali i bambini che li frequentano resteranno ancora solo il 12%, mentre al Nord sono circa il 50%?
Questa storia, quella dei governi di destra che tolgono al Sud per portare al Nord, è vecchia, al punto che comincia ad annoiare. Ma è proprio vera.
Qualche anno fa lessi un bel libro: “Il Paese diviso. Nord e Sud nella storia d’Italia” (Rubbettino editore), scritto da Vittorio Daniele, docente di Politica Economica, che forniva in proposito dati e risposte inoppugnabili.
La prima consisteva in una spiegazione di origine antropologica o etnica sui ritardi del Sud: dietro le cause del divario c’è una differenza genetica tra la popolazione meridionale (di origine africana) e quella settentrionale di origine centro-europea. Una spiegazione che ha avuto un lungo successo nel tempo, protrattasi con la propaganda leghista fino ai giorni nostri (prima della attuale svolta nazionalista della Lega).
Nel 1860 Luigi Carlo Farini, politico e qualche anno dopo Presidente del Consiglio del giovane Regno d’Italia, così scriveva a Cavour: “Ma amico mio, che paesi sono mai questi, il Molise e Terra di Lavoro! Che barbarie! Altro che Italia! Questa è Africa: i beduini, a riscontro di questi “caffoni” sono fior di virtù civile”.
Cesare Lombroso, medico, filosofo e criminologo, qualche anno dopo cercò di dare una spolverata scientifica a questo sentire, sostenendo che l’Italia doveva “all’influenza degli elementi africani e orientali la maggiore frequenza di omicidi in Calabria, Sicilia e Sardegna mentre la minima è dove predominarono stirpi nordiche”. Nel 1951 il sociologo Friedrisch Vochting legò la persistenza della questione meridionale alla razza mediterranea, cioè a caratteristiche pre-ariane, quali “la piccola statura, il colorito bruno, il cranio allungato, volontà meno sviluppata, paziente sopportazione delle contrarietà, uso della malizia, dell’inganno, del tradimento come armi peculiari del più debole e, soprattutto, profondo senso dello scetticismo”.
E così secoli di storia delle civiltà mediterranee (quando l’Italia Meridionale era la Magna Grecia, patria di cultura e scienza, di Pitagora e Archimede, le popolazioni del Nord probabilmente avevano da poco scoperto il fuoco) venivano cancellate per fare posto a misurazione di crani e all’estetica del pregiudizio. Sulla base di una diversa composizione genetica, dunque, i settentrionali avrebbero maturato una maggiore intraprendenza, attitudine al lavoro e al darsi da fare rispetto agli oziosi meridionali, sfaticati e sempre alla ricerca di un aiuto dall’alto o dall’esterno (da Dio, dallo Stato, dagli altri). Questo è razzismo, punto e basta. Il guaio, però, è che esso è base e alibi di scelte politiche che hanno inciso sul passato delle nostre zone. Altrimenti non si spiega, ad esempio, perché intere regioni meridionali sono senza autostrade e senza l’alta velocità ferroviaria.
In compenso, però, per il futuro Salvini ci ha promesso il ponte sullo stretto di Messina. Se poi per andare in treno da Salerno a Reggio Calabria ci vogliono 5 ore (una media di 59 Km all’ora) e per andare da Palermo a Messina servono 4 ore (media: 49 km all’ora) non è colpa sua, ma delle origini africane e arabe dei terroni.
Luciano Arciuolo
(da Fuori dalla Rete giugno 2024, anno XVIII, n. 2)