I blasoni popolari avevano pure una funzione pratica. “Sorti a scopo informativo, specie in passato, quando erano destinati, sotto forma di detti e avvertimenti ritmici e rimati, a sostituire le guide e gli itinerari, per chi praticava i traffici e i commerci, che presentavano difficoltà e pericoli.” (Dizionario Treccani, alla voce blasone).
Un testimone di Bagnoli, Antonio Nigro (la registrazione risale a 1987), ha recitato come una cantilena una sorta di filastrocca dei paesi situati lungo il percorso dei pastori al ritorno dalla transumanza dalla Terra di Lavoro alle montagne irpine: Quasi come una mappa imparata a memoria, la cantilena riporta i paesi attraversati a piedi dal pastore bagnolese, al seguito del suo gregge, nel lungo viaggio da Terra di Lavoro fino ai nostri monti.
Scascia Campàne r’ lu Pagliaronu,
Figli r’ Muonici r’ San Ginnaru,
Nforna Pànu r’ Casamarcianu,
Strappa Cappotti r’ lu Pontu r’ Coppa;
Carrabbàri r’ Muntefortu,
Culacchiùti r’Avellinu,
Cappellàri r’Atripàulu,
Chianta Vruocculi r’ Serinu,
Mulunàri r’ lu Suoruvu,
Pezzienti r’ l’Auturàra;
Mangia Lupìni so’ r’ Cassanu,
Cammenanti r’ Vagnùlu.
Campanari quelli di Pagliarone, che era una contrada di San Gennaro Vesuviano; i suonatori di campane, volontari e dilettanti, si scatenavano nel tirare le funi per muovere il batacchio. Figli di monaci di San Gennaro, perché il paese vantava la presenza di un convento con numerosi frati. A Monteforte lavoravano i barili. Per i lavori prevalentemente sedentari, gli avellinesi erano dotati di grosse natiche. Ad Atripalda cucivano i cappelli. A Serino numerosi agricoltori piantavano broccoli. Molti mugnai erano di Sorbo. A Volturara non pochi vivevano in povertà. A Cassano coltivavano e consumavano spesso i lupini. I bagnolesi amano viaggiare.
A cura di Aniello Russo
(da Fuori dalla Rete, Luglio 2019, anno XIII, n. 3)