Qualche settimana fa l’ISTAT ha comunicato il dato definitivo dell’incremento del PIL (Prodotto Interno Lordo, cioè la ricchezza prodotta) italiano nel 2021. È andata meglio del previsto: più 6,6% rispetto all’anno precedente. La notizia è stata accompagnata da toni trionfalistici e da lodi sperticate verso il governo presieduto da Mario Draghi.
Tralascio il fatto che l’ottimismo è durato solo pochi giorni, visti gli aumenti del prezzo di petrolio e gas e tenuto conto della guerra scatenata dal dittatore sanguinario Putin in Ucraina.
Vorrei concentrarmi, infatti, su un altro aspetto di questo risveglio dell’economia. Qualche giorno dopo il comunicato dell’ISTAT, il CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro) ha reso noti i dati sul mercato del lavoro nel 2021, cioè nel periodo in cui l’economia italiana ha fatto il balzo di cui scrivevo prima. Ebbene:
- I contratti a tempo determinato sono aumentati del 6%, arrivando a quasi 3 milioni e 100 mila;
- I nuovi contratti di durata inferiore ad un anno sono passati dal 75% circa del totale a più dell’82%;
- I contratti di durata inferiore a tre giorni (sì, esistono anche questi) sono aumentati del 63% circa, arrivando al numero complessivo di 430 mila;
Insomma i nuovi contratti di lavoro sono stati più di mezzo milione, ma di essi più di 430 mila sono a tempo determinato. Questo significa che anche un aumento così importante del PIL ha prodotto solo 100mila posti di lavoro “vero”, contribuendo anzi ad aumentare il numero dei precari. Che è come dire che l’aumento di ricchezza dell’Italia è stato prodotto per quattro quinti da un vero e proprio esercito di figli di un Dio minore.
Non solo: nello stesso periodo, l’INPS ha comunicato che oltre due milioni di lavoratori guadagnano meno di 50 euro lordi al giorno, con un reddito, quindi, che è di poco al di sopra del livello di povertà e che, comunque, non permette di programmare un futuro. Questo mentre l’economia italiana va a gonfie vele…Nel discorso di ri-insediamento, il Presidente Mattarella ha detto testualmente: “Il mio pensiero, in questo momento, è rivolto… in particolare, a quelli più in sofferenza, che si attendono dalle istituzioni della Repubblica garanzia di diritti, rassicurazione, sostegno e risposte al loro disagio”.
Per quel discorso il Capo dello Stato ha ricevuto decine di applausi scroscianti dai parlamentari. Molti non avevano evidentemente capito che le esortazioni e le tiratine d’orecchio erano rivolte proprio a loro. Occorre invece che la politica cominci ad occuparsi nuovamente di lavoro, ma anche di “dignità” del lavoro che, nel mondo del liberismo imperante, è stato decisamente accantonata e che a molti suona, ancora oggi, come una bestemmia.
Luciano Arciuolo
(da Fuori dalla Rete, Marzo 2022, anno XVI, n. 2)