Nicola Zingaretti si è dimesso da segretario del Partito Democratico, dimostrando di avere la dignità e la passione che molti politici italiani, in questo tempo così triste, non hanno più. Si è dimesso dicendo che ormai nel PD è guerra tra correnti (franceschiniani, orfiniani, sindaci, addirittura renziani) e di fatto si parla solo di poltrone (e come dargli torto…).
Questa cosa mi ha fatto pensare ad una intervista a Fausto Bertinotti di qualche settimana fa. L’ex segretario di Rifondazione Comunista affermava tra l’altro che oramai, a sinistra, si sia sostituita la rivoluzione con il governo e il Palazzo d’Inverno con Palazzo Chigi (ha impiegato 80 anni, il compagno Fausto, per dire finalmente una cosa sensata…).
Non solo. Le dimissioni di Zingaretti suggeriscono a quelli della mia generazione, io credo, di ripensare a quando hanno cominciato ad impegnarsi in politica, a cavallo tra gli anni “60 e “70. All’epoca fare politica e partecipare alla vita dei partiti significava discussione, confronto, anche animato, su grandi temi e a tutti i livelli. Quelle discussioni hanno portato a grandi conquiste di civiltà: lo Statuto dei Lavoratori, il divorzio, l’aborto, l’obiezione di coscienza, l’accessibilità vera dell’istruzione e della cultura… La scuola, ad esempio, diventò effettivamente in quegli anni un ascensore sociale. Oggi, invece e ad esempio, i partiti, ed il PD in particolare, visto che suole ancora definirsi un partito di sinistra, non hanno sostanzialmente mosso un dito per migliorare le condizioni di lavoro degli schiavi in bicicletta che portano la cena nelle case degli italiani (i “riders”). Il problema lo sta risolvendo la magistratura…
E dunque, che cos’è oggi, fare politica? Lo hanno detto bene Zingaretti e Bertinotti. E vale per tutte le realtà, anche le più piccole. Un esempio: nel 1985, a Bagnoli, fu approvato il Piano Regolatore Generale e l’approvazione arrivò al termine di un processo, di un confronto, di una discussione aperta durata più di un anno (durante la Festa dell’Amicizia, con la DC all’opposizione, le tavole planimetriche furono esposte in piazza!). Un Piano Regolatore discusso, forse con errori, ma che da allora è rimasto l’unico strumento urbanistico del Comune (ma questa è un’altra storia e servirebbe un altro articolo…).
Oggi l’iter per l’approvazione del PUC (Piano Urbanistico Comunale: agli italiani piace cambiare i nomi, non la sostanza) è avviato da qualche anno, ma nessuno ne ha mai parlato e nessuno (o quasi) lo ha visto. Oggi nelle sezioni dei partiti non si discute più, per il semplice motivo che sono chiuse. Nelle Amministrazioni locali invece, a quanto si sente, si discute continuamente, ma quasi sempre di nomine e incarichi. Poltrone, direbbe Zingaretti. Sarebbe allora interessante chiedere ai nostri consiglieri comunali più giovani, che magari si sono avvicinati alla vita pubblica con entusiasmo, quale idea si siano fatti, del fare politica. E quanta passione stimolino in essi le discussioni alle quali sono costretti a prendere parte.
Poi ci chiediamo perché molti giovani preferiscono impegnarsi nel sociale (dove si parla di problemi e fatti concreti e se ne cercano le soluzioni) e non nella politica.
Alla luce della mia personale esperienza, fatta di una passione vecchia ormai di 50 anni, io ritengo che quella cosa lugubre che chiamano ancora “politica” non abbia nulla a che vedere con l’altra, quella vera, che mi appassionò agli inizi degli anni “70. E se qualcuno sa o vuole farla solo così, abbia almeno la decenza di chiamarla con un altro nome.
Luciano Arciuolo