Radici di Pietra (Parte seconda)

Racconto storico della nota dinastia degli Scultori Patroni operativi in Italia a cavallo di due secoli

Era il 1874 e a 21 anni, desiderando di migliorare sempre e con spirito intraprendente, Raffaele Patroni accettò la proposta del compagno di bottega e partì per Napoli. Nella capitale del Sud, nei giorni festivi o liberi da impegni lavorativi, il giovane promettente scultore autodidatta andava a visitare le più importanti chiese partenopee, il Museo Nazionale, il Museo di San Martino, la Reggia di Capodimonte e anche il monumentale cimitero di Napoli,  allargando così il suo bagaglio culturale ed artistico cercando di formarsi da solo artisticamente per diventare, come infatti divenne,  un importante artista, uno scultore che non rimase soltanto un marmoraro, pur non rinnegando le esperienze acquisite in questo campo e ancor prima come piccolo scalpellino al fianco del nonno materno.

Iniziò, perciò, a procurarsi  libri di Storia dell’Arte da leggere e spesso nei giorni liberi del suo periodo napoletano, anziché tornare da sua madre a Salerno, si recava invece in  treno a visitare le più importanti città toscane quali Firenze, Pisa, Pietrasanta e Carrara. Fu affascinato soprattutto dalla scultura gotica e anche da quella romanica e la passione per questi due stili  di epoche diverse la manifesterà in importanti lavori che realizzò poi durante la sua carriera e di cui parlerò in seguito.

 Ma anche il periodo partenopeo non ebbe lunga durata per il Patroni; le società spesso incrinano i rapporti tra soci e quasi sempre per motivi di interesse. Così avvenne che, dopo qualche amarezza e delusione, Raffaele rientrasse a Salerno ricongiungendosi alla madre che era rimasta nuovamente vedova del secondo marito. Raffaele a Salerno aprì nuovamente il suo laboratorio di scultura nei pressi della loro abitazione in Piazza Plebiscito. Madre e figlio spesso ritornavano a Bagnoli Irpino a far visita ai parenti restando ospiti dei familiari per qualche giorno. Durante uno di questi soggiorni bagnolesi Raffaele conobbe e si innamorò di Maria Luigia Conte, la ragazza che sposò all’età di 26 anni il 4 agosto 1879. Maria Luigia era una ragazza di  diciannove  anni di carattere mite e prima figlia di Arcangelo Conte il quale, in qualità di gendarme, negli anni 1862-1863 aveva combattuto per la repressione del brigantaggio in Irpinia. Egli, in un conflitto a fuoco rimase seriamente ferito al petto dall’arma di un fuorilegge (che però riuscì a far catturare e anche imprigionare); rimasto  perciò invalido, ottenne dal governo di quei tempi, l’incarico  di custode delle carceri di Bagnoli Irpino e nel penitenziario in cui lavorava,  Arcangelo Conte ebbe in comodato l’uso di un appartamento nel quale abitava con la moglie e le figlie. Una notte avvenne l’evasione dalla cella di un malavitoso molto pericoloso che riuscì a scappare dal carcere grazie all’aiuto esterno di suoi complici. Arcangelo Conte, che fu ritenuto ingiustamente dai suoi superiori responsabile della fuga di questo brigante e perfino accusato di non aver ben vigilato il luogo di pena (che in verità era stato improvvisato nel paese ma non certamente adeguato alla funzione di penitenziario), fu sospeso dal servizio ma gli fu data la possibilità di cercare di riacciuffare, ma in breve tempo, il malvivente e i suoi complici. Solo in tal caso il Conte sarebbe stato riabilitato e avrebbe ripreso il servizio di custode nel carcere di Bagnoli Irpino. Arcangelo Conte organizzò la caccia ai delinquenti aiutato da fidati colleghi esperti e con lui solidali e dopo alcuni giorni ed in seguito ad una drammatica sparatoria, avvenuta nei boschi tra Montella e Bagnoli Irpino, il brigante evaso e i suoi complici, circondati, si arresero per non essere uccisi e furono rinchiusi però nel carcere di Avellino.

Arcangelo Conte potè quindi riavere il posto di custode e ritornare a vivere con  la sua famiglia nell’appartamento sito nello stesso carcere del suo paese natìo. Dopo il matrimonio, Raffaele e Maria Luigia, che erano in disagiate condizioni economiche, furono costretti a restare ad abitare per qualche tempo  in casa dei genitori di quest’ultima; Raffaele faceva il pendolare tra Salerno, dove lavorava nel suo laboratorio di scultura, e Bagnoli Irpino dove rientrava a fine settimana. Il Patroni, a Bagnoli Irpino,  godeva della stima e dell’affetto del sindaco del tempo Michele Lenzi (Bagnoli Irpino 1834-1886) il quale era prima di tutto un valoroso pittore che aveva dato lustro alla sua terra natìa; questi già da anni aveva seguito ed apprezzato i lavori di scultura sia a tutto tondo che in bassorilievo eseguite da Raffaele, tanto che avrebbe voluto aiutarlo a crescere artisticamente, facendolo perfezionare a spese del Comune da lui amministrato  presso i maestri della scultura che in quei tempi insegnavano alla Reale Accademia di Belle Arti di Napoli e che conosceva personalmente molto bene. Ma questa nobile proposta avanzata dall’illustre sindaco durante una giunta comunale in cui si sarebbe dovuta approvare l’intenzione del Lenzi in favore del Patroni non venne  deliberata perché contestata, non solo  da alcuni consiglieri dell’opposizione, ma per invidia verso il promettente artista nato a Bagnoli Irpino ma operativo a Salerno, anche da assessori facenti parte della stessa giunta comunale guidata dal bravo sindaco. Tutto questo non fece diminuire la “febbre dell’arte” di Raffaele Patroni anzi, per amor proprio, il giovane scultore imperterrito continuò a lavorare dimostrando sempre di più il suo talento di artista sebbene non avesse mai frequentato scuole specifiche. Un anno dopo il matrimonio, nella casa dei genitori,  il 28 giugno 1880 Maria Luigia diede alla luce un figlio maschio, il loro primogenito, a cui lo scultore Raffaele diede nome Diomede. (Fine Seconda Parte)

Dino Vincenzo Patroni

(da Fuori dalla Rete Marzo 2024, anno XVIII, n. 1)

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