Restauro della chiesa e del convento di San Domenico

di Alfonso Gambardella

Il documento storico che vi proponiamo è datato 1969 ed è una pubblicazione curata dallo storico dell’architettura Alfonso Gambardella sulla chiesa ed il convento di San Domenico. Il testo propone al lettore un excursus storico sul complesso monumentale, che risultava fatiscente già in quel periodo, a cui fa seguito un’idea di restauro della struttura.

Alcune delle soluzioni proposte, un mix fra restauro conservativo e istallazioni contemporanee, viste con i modelli moderni, potrebbero sembrare fuori luogo e non adatte ad una struttura realizzata a cavallo fra il XV e il XVI secolo, ma se si contestualizza il testo nell’epoca in cui è stato realizzato ci si rende conto che fino a qualche decennio fa si prediligevano le tecniche di costruzioni moderne per l’epoca piuttosto che restauro conservativo e la valorizzazione dei monumenti nella forma originale, ne testimonia il fatto che, il complesso di san Domenico, nel corso dei secoli ha subito varie ristrutturazioni, modifiche e ampliamenti e non sempre le soluzioni adottate sono risultate appropriate al contesto.

Per una più agevole lettura abbiamo deciso di dividere il testo in due parti. Oggi vi proponiamo la seconda parte dedicata alla proposta di  restauro del complesso. Buona lettura. GT


La chiesa ed il convento di San Domenico in Bagnoli Irpino
Problemi di stratificazione storica e restauro

L’aspetto del porticato d’ingresso è oggi completamente alterato per le trasformazioni subite dalla chiesa in seguito al terremoto del 1694, che arrecò notevoli danni alla fabbrica, distruggendone in particolare le parti alte. In tale occasione venne realizzato il muro ad arcate che, posto addossato alle sei colonne del pronao, mentre contribuisce a sostenere la pesante volta a padiglione lunettata, che copre il porticato, sconvolge l’originario intento compositivo negando la dinamica chiaroscurale del- l’insieme, intenzionalmente sottolineata dalla piena coscienza dei rap- porti tra pieni e vuoti.

Anche la chiesa ed il convento subirono notevoli trasformazioni in seguito al terremoto: stucchi settecenteschi ricoprirono le pareti e le volte degli ambienti conventuali, delle navate minori e del transetto della chiesa. Il secondo ordine della navata centrale, andato completamente distrutto, fu ricomposto nel gusto del tempo e soltanto nello spartito fu conservata la scansione cinquecentesca. In tale occasione, il monumento si arricchì del prezioso soffitto ligneo intagliato, dorato e dipinto, che contiene nei tre riquadri centrali scene della vita di S. Domenico e nei quattro riquadri laterali ritratti dei santi dell’ordine domenicano. I toni verdi ed azzurri, l’oro dei cartigli, dei festoni e delle riquadrature lignee conferiscono all’insieme un accento di particolare preziosità.

L’abbandono del convento da parte dell’ordine domenicano, dopo la soppressione del monastero nel 1808, le calamità naturali, quali il fulmine che nel 1837 abbatté la cuspide della torre campanaria e bruciò parte del prezioso soffitto ligneo della navata centrale, i malaccorti restauri che si susseguirono negli anni sino all’immediato dopoguerra hanno contribuito al progressivo scadimento della fabbrica. Il secondo piano del chiostro è diruto e rischia di crollare, gli ambienti del convento sono in un pauroso stato di abbandono, il restauro dei tetti ha notevolmente mutato sia l’aspetto esterno della fabbrica sia quello interno. Alcune falde di tetto, per raggiungere la pendenza voluta, sono state innalzate e tagliano a diverse altezze i vani delle finestre della navata centrale e del transetto. Un lato del secondo piano del chiostro, quello adiacente la chiesa, è stato abbattuto e sostituito da una falda di tetto. Grande pericolo corrono due notevoli opere d’arte che arricchiscono la chiesa: la grande tavola rappresentante la Madonna del Rosario di Marco Pino da Siena, firmata e datata dall’autore, che è posta nella cappella a destra dell’altare maggiore ed il cinquecentesco coro ligneo. (14)

La proposta di restauro che si vuole formulare per la chiesa ed il convento di S. Domenico parte dalle considerazioni su esposte e si pone l’obiettivo di ricreare la spazialità originaria per quelle parti dell’edificio in cui gli interventi successivi non assumono valore artistico o di documentazione della stratificazione storica del monumento. Il rispetto delle vicende multisecolari della fabbrica viene evidenziato dall’intervento attuale che, rifuggendo da facili ricostruzioni stilistiche, propone la propria presenza attraverso l’utilizzazione di materiali configurati secondo l’esigenza della moderna tecnologia. Il restauro di consolidamento statico, reso necessario dalle precarie condizioni delle murature e delle volte, la ricomposizione di cornici, modanature e stucchi rovinati per l’incuria e l’abbandono, rappresentano interventi di immediata soluzione che non richiedono una particolare scelta progettuale. Rilevante importanza assumono, al contrario, gli interventi nel porticato d’ingresso alla chiesa ed al convento, nel chiostro a due piani, nella torre campanaria e le relative soluzioni.

Il porticato d’ingresso è oggi suddiviso in due zone, una che funge da vestibolo d’ingresso alla chiesa e che occupa i primi tre intercolunni verso il campanile e l’altra che dà accesso al convento. In origine l’invaso spaziale era unico, come testimonia la volta a padiglione lunettata che è brutalmente interrotta dal muro divisorio tra i due spazi. La divisione fu realizzata nel rifacimento settecentesco con l’intento di porre il portale d’ingresso — che conserva ancora la bella porta cinquecentesca a riquadri con cornici decorate ad ovuli — in posizione centrale, poiché l’asse della chiesa è traslato verso il campanile e corrisponde al secondo intercolunnio del pronao. L’abolizione dell’elemento divisorio e la demolizione del pesante muro posto a sostegno della volta, di cui si è fornito in precedenza notizia, ricompongono l’unità spaziale del porticato d’ingresso e riaffermano quella profondità di chiaroscuro che doveva essere, nell’intento dell’ignoto architetto, uno degli accenti peculiari della composizione. La liberazione dell’elemento di sostegno settecentesco può essere realizzata sia per il previsto consolidamento della volta attraverso una soletta di cemento armato, resa ad essa aderente mediante iniezioni di cemento, che assume funzione di catena, sia demolendo la muratura che oggi funge da attico in modo da alleggerire il peso gravante sulla trabeazione. Tale accorgimento consente di abbassare il tetto con la con- seguente liberazione della grande finestra della navata centrale, che allo stato attuale è per metà chiusa.

Dal pronao d’ingresso, attraverso una porta posta sul lato sinistro, si accede ad un deambulatorio coperto da volte a crociera, sopraelevato rispetto al pavimento del porticato di circa 60 cm., che conduce al chiostro a due piani, ridotto in precarie condizioni statiche, tanto che il secondo ordine è andato quasi completamente distrutto. Il chiostro, di forma rettangolare, è composto al primo ordine da cinque arcate sui lati lunghi e quattro sui lati corti poggianti su pilastri quadrati resi otta- goni nelle parti centrali dalle profonde smussature degli angoli. Al primo piano il loggiato era formato da colonne, poste sul muro che funge da parapetto, sulle quali poggiava una trabeazione lignea orizzontale secondo il gusto catalano in voga negli anni di costruzione del convento. Gli ambienti conventuali, ricoperti da volte a crociera costolonate, che hanno una pietra di chiave su cui è scolpito uno scudo aragonese, il deambula- torio che conduce al chiostro ed il chiostro stesso sono le uniche testimonianze del primitivo impianto di epoca catalana del complesso monumentale.

Delle membrature architettoniche del secondo ordine del chiostro sono conservate in opera soltanto alcuni fusti di colonne, non scanalate, senza base né capitello, dei quali parte sono in vista, utilizzati per sostegno della piattabanda che reggono gli spioventi del tetto, e parte sono inglobati in murature di tompagno realizzate in tempi molto recenti. Al centro del chiostro vi era una fontana con una larga vasca circolare in pietra calcarea retta da una elegante colonnina, che fu rimossa dopo la soppressione del convento e collocata nei giardini dell’attuale piazza Di Capua.  L’intervento di restauro ha come fine la ricomposizione del chiostro attraverso la sistemazione del pavimento del quadriportico e dello spazio centrale, la sistemazione degli intonaci ed infine la ristrutturazione del secondo ordine.

Poiché non è stato possibile reperire alcun documento che fornisse una visione di quanto oggi è andato perduto, né vi sono descrizioni esaurienti dell’aspetto primitivo della fabbrica, si ritiene di dover ricomporre, nel rispetto delle attuali volumetrie, i tre lati del chiostro ancora esistenti. A tal fine saranno utilizzati fusti di colonne in pietra calcarea, su cui verrà poggiata una piattabanda di calcestruzzo di cemento armato martellinata e lasciata a vista che dovrà reggere l’orditura del tetto. Il quarto lato, di cui esistono ancora le tracce del muro terminale e degli attacchi del tetto, verrà ricomposto con gli stessi elementi degli altri lati. L’accesso al secondo ordine avviene oggi dalla nuova strada di recente costruita, essendo andata perduta la scala che, posta all’estremità nord-ovest, collegava i due piani del chiostro. Poiché e nel porticato d’ingresso e nella chiesa si conservano capitelli, lastre marmoree con incisioni, mensole ed elementi di cornici, che appartennero alle parti diroccate della fabbrica, sarebbe opportuno utilizzare il secondo piano del chiostro per l’esposi- zione ordinata di quanto può ancora fornire preziose indicazioni del- l’antico splendore del complesso monumentale. Reperti archeologici, che testimoniano della multisecolare storia del circondario di Bagnoli Irpino, potrebbero trovar posto in tale esposizione, sì da far assumere una nuova funzione all’episodio in esame che ne garantisca l’uso continuo e la manutenzione.

La proposta di restauro del chiostro assume valori dimessi, condizionati dai particolari rapporti spaziali e volumetrici dell’episodio, mentre volutamente polemica è la proposta di ricomposizione del campanile. Il proporre un traliccio metallico, che alluda alla cuspide diruta, riafferma la presenza del momento attuale nella vita del monumento e sottolinea il significato particolare che l’ignoto architetto volle dare alla torre campanaria, che, posta in posizione dominante rispetto al nucleo urbano, rappresentava con la sua colta espressione un simbolo di quello che, oltre ad essere un luogo di meditazione religiosa, era un centro di vita culturale.

In conclusione, dalle considerazioni svolte nelle pagine precedenti, appare l’urgente necessità della esecuzione delle opere di restauro proposte che, a differenza degli interventi operati in passato, si pongono l’obiettivo di un effettivo recupero e consolidamento delle membrature architettoniche esistenti. (15) Potranno così essere recuperati alcuni temi spaziali della fabbrica cinquecentesca in special modo per quanto attiene al pronao, alla torre campanaria ed al chiostro, mentre il restauro del soffitto, del coro ligneo ad intaglio, il rifacimento del pavimento maiolicato settecentesco, la liberazione dall’intonaco e dalla pittura di calce delle membrature architettoniche cinquecentesche della navata centrale, contribuiranno a ridare vita agli spazi interni della chiesa. Lo squallido rifacimento settecentesco, delle parti dirute in seguito al terremoto, opera di maestranze locali, sarà conservato quale testimonianza delle secolari vicissitudini del complesso monumentale.

Alfonso Gambardella

  1. Cfr. A. SANDUZZI, Memorie Storiche di Bagnoli Irpino dall’origine fino alla metà del secolo XIX, Melfi, 1924, p. 148.
  2. Cfr. F. SCANDONE, L’alta valle del Calore: il feudo e il municipio di Bagnoli Irpino, dalle origini sino al nostro tempo, Napoli, 1954, p. 190.
  3. Cfr. L. DE ROSE,  Due monumenti artistici in Bagnoli Irpino, Napoli 1912,    p.  9.
  4.  Cfr.   A.    SANDUZZI,   op.    cit.,   p.    149.
  5. Il testo della « bolla » di padre Bartolo’ Comatto, superiore dei domenicani, è integralmente riportato dal Sanduzzi {op. cit., pp. 149 e 150). La pergamena è così datata: « Datum Neapoli die XXVII mensis Martiis, MCCCCLXXXV – As- sumptionis meae, Anno primo ».
  6. Cfr.   A.    SANDUZZI,    op.    cit.,   p.    150.
  7. Cfr.   L.   DE   ROSE,   op.    cit.,    p.    9.
  8. Cfr.   A.    SANDUZZI,    op.    cit.,   p.    151.
  9. Cfr. S. PAULI, Della vita del ven. Mons. F. Ambrogio Salvio dell’ordine dei predicatori eletto vescovo di Nardo, Benevento, 1716, passim.
  10. Cfr.   A.    SANDUZZI,   op.    cit.,    p.    267.
  11. Il SANDUZZI (op. cit., pp. 579, 580, 581), nel dar notizia della soppressione del convento ricorda il disappunto dei cittadini bagnolesi per la chiusura della chiesa e la supplica fatta il 6 ottobre 1809 al barone Ronca, affinché intervenisse, presso le autorità, per consentirne la riapertura, che avvenne nel corso dello stesso anno. Il convento subì una sorte diversa, perché, trasformato prima in case d’abitazione, fu utilizzato poi come carcere mandamentale. Trasferito il carcere, dopo l’unità d’Italia, la fabbrica senza una precisa destinazione, fu abbandonata e « ogni cittadino si permetteva usarne a suo libido, finché per mancanza di cura e manu- tenzione (i locali) non deperirono, ed il Cenobio Domenicano si ridusse col progredire del tempo in tale stato da minacciare ruina e pericolo per i passanti, e per pubblica sicurezza fu in buona parte abbattuto… ».
  12. Cfr. G. A. SUMMONTE, Historia della città e regno di Napoli, vol. I l i , Na- poli, 1748, p. 362.
  13. Per un illuminante esame dei problemi dell’architettura del cinquecento cfr. M. TAFURI, L’architettura del manierismo nel cinquecento europeo, Roma, 1966.
  14. Sulla sinistra del quadro, in basso, si legge la firma del pittore e la data: « Pio aere – Marcus de Pino Senesis – Fac. Bat – MDLXXVI ».
  15. Dopo la trasformazione e l’ampliamento cinquecenteschi altri lavori furono eseguiti nel complesso conventuale, prima del rifacimento settecentesco1, come attestano alcuni documenti trascritti da F. SCANDONE (in op. cit., pp. 230 e 235). In particolare: il 15 giugno 1630 furono stanziati 500 ducati per la costruzione della cappella in onore di S. Domenico1 costruita lungo la navata minore, in corrispondenza del campanile, prima del transetto. Il 23 luglio 1641 l’università spende 400 ducati per riparare il monastero di S. Domenico. Il 17 aprile 1644 l’università ottiene l’autorizzazione per poter spendere 1000 ducati per lavori di restauro delle maggiori chiese della cittadina, divisi in parti uguali.
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