A seguire la terza e ultima parte del racconto di Maria Patroni durante il suo soggiorno a Raito. La prima e seconda parte, con premessa di Vincenzo Dino Patroni, sono state pubblicate nel numero di maggio e giugno di Fuori dalla Rete.
C’erano poi altre esigenze per altri lavori minori, pure da farsi ma il cui compenso da essi ottenuto sarebbe servito per i bisogni giornalieri della nostra famiglia.
Intanto, con questa improvvisa sventura che, come tegole scagliateci addosso da forte vento, ancora una volta ci aveva colpiti e tutto questo poco tempo dopo non solo la morte di mamma, ma anche la conseguente partenza definitiva per gli Stati Uniti d’America di Antonio che con sè quella volta aveva portato la sorella Lucia, sperando in un futuro migliore. Insomma, era avvenuto lo sfascio di una bella famiglia unita e serena.
Mio padre si trovò, pertanto, a dover ripetere i lavori senza aver guadagnato proprio nulla ed inoltre costretto a comperare nuovamente altri marmi pregiati da far venire dalla Toscana in sostituzione di quelli ormai persi.
Intanto eravamo senza soldi e con immensi impegni addossati a papà! Un dramma per gli scultori Patroni e anche per me, giovinetta e unica donna rimasta in famiglia.
Diomede, a causa di questo momento così difficile, da bravo figlio e fratello maggiore, in conseguenza a questi problemi che assillavano anche lui, si immerse nel lavoro e si adoperò con mio padre in opere più commerciabili, cimiteriali, che solitamente erano affidate agli aiutanti di laboratorio e scalpellini prima di essere rifinite dal capo bottega, mio padre.
Ma bisognava pur portare il pane a casa!
Diomede, quindi, per molti giorni non pensò proprio più al romanzo da leggere. La sera andava a letto stanco e il mattino successivo con nostro padre presto scendevano nel laboratorio che si trovava sotto la nostra abitazione in Raito per scolpire, l’uno affianco all’altro, o per intagliare o per incastonare marmi colorati e decorativi da consegnare al più presto ai committenti.
Mio fratello non aveva voluto lasciare solo nostro padre nel dramma familiare, ma devotamente era rimasto accanto a lui e voleva aiutarlo con ogni sforzo nei lavori da farsi, tralasciando però le proprie opere, più importanti, che lo soddisfacevano artisticamente quale giovane scultore innovativo. Intanto, io avevo segnato su un foglietto di carta i numeri delle pagine mancanti alla raccolta del giornale amato da mio fratello: 17, 31, 41 e lo avevo messo nella tasca del grembiule. Spesso, però, mi capitava di trovarmelo tra le mani!
Era un venerdì di agosto quella mattina quando, non so neppure adesso perché, pensai di giocare i tre numeri al lotto; in vita mia non avevo mai giocato e appositamente mi recai a Vietri sul Mare all’unica ricevitoria del banco lotto locale puntando solo sulla ruota di Napoli e solo per terno secco. I numeri vincenti sarebbero stati pubblicati la domenica successiva nella pagina centrale del “Il Giornale d’Italia”. Due giorni dopo la mia giocata, quella domenica Diomede ritornando da Vietri sul Mare a casa e poco prima dell’ora di pranzo, posò sulla tavola il suo giornale acquistato in paese. Si rivolse a me dicendomi: “Oggi voglio incominciare a leggere “Il sole del sabato”, me lo prendi?” A quell’improvvisa ed inaspettata richiesta, evidentemente, dovetti cambiare l’espressione del viso; forse ero impallidita, perché mio fratello mi chiese: “Che c’è? Non stai bene? Cosa ti senti?”. Con voce tremante gli dissi che non avevo cucito le pagine raccolte, ma lui, rassicurandomi: “Non importa, dammele lo stesso”. Andai a prendere il fascicolo accuratamente conservato nel cassetto del mobile, con le pagine ritagliate e messe in ordine numerico e progressivo. Diomede allora domandò: “Le pagine sono tutte?”; risposi di si, ma mio fratello notò, forse dalla mia voce, che non stavo dicendo la verità e, con un tono tra il seccato ed il severo, aggiunse: “Quante ne mancano?”. Risposi: “tre”, ma non osai guardarlo in viso per evitare il suo sguardo. I miei occhi bassi si posarono sul giornale rimasto aperto sul tavolo e, guarda caso, quella pagina aperta era proprio la pagina che riportava i numeri vincenti dell’estrazione del lotto sulla ruota di Napoli. Come per un’attrazione incredibile mi soffermai sui numeri estratti: 17 – 31 – 41. Non credevo ai miei occhi, erano proprio quelli che io avevo giocato due giorni prima!
Diomede, a cui non avevo dato risposta, incalzò alzando il tono di voce: “Ti ho chiesto, quanti numeri mancano?!”. Stizzita, gli avvicinai il giornale e con l’indice della mia mano destra gli puntai i tre numeri vincenti e ben visibili. “Questi sono i numeri che mancano ed io li ho giocati sulla ruota di Napoli ed abbiamo fatto il terno secco!!”, gli risposi. Poi, irruppi in un forte pianto ma di gioia per la soddisfazione. I miei occhi velati dalle lacrime non mi permisero di vedere l’espressione di mio fratello quando si rese conto di ciò che avrebbe stravolto la nostra sorte in positivo. Però gli sentii esclamare, lasciandosi cadere sulla sedia, “Il sole del sabato, il sole del sabato!”.
Un sole più splendente non poteva esserci per noi né poteva illuminarci e riscaldarci ancor più in quel periodo così terribile della nostra vita.
Con quella vincita del terno secco, grazie ai numeri da me giocati e mancanti alla raccolta dei fogli di giornali con la pubblicazione del capolavoro di Marino Moretti, pubblicati in anteprima su “Il Giornale d’Italia”, la mia famiglia si risollevò più che sufficientemente e così potemmo lasciare Raito per Salerno tutti nella speranza di un avvenire migliore.
L’aiuto ci venne da quel romanzo e mi sentirò sempre grata, benedicendolo ogni giorno, a Marino Moretti, il suo autore, il nostro salvatore!!!
Maria Patroni
(da Fuori dalla Rete, Agosto 2021, anno XV, n. 4)