«Sono tornato in Sila» racconta Piero Bevilacqua in un incontro organizzato dalla coraggiosa associazione Terre di domani, presieduta da Francesco Paglia (Pescasseroli, 28 dicembre. «Percorrendo i piccoli villaggi silani ho dovuto constatare che una meraviglia della natura e del lavoro umano, tesoro di potenzialità economiche viene sistematicamente abbandonato a se stesso». È la progressiva desertificazione della dorsale interna del nostro Paese. La popolazione «si addensa sempre più nelle città costiere e le agricolture collinari e i suoi borghi vanno perdendo presidi sanitari, scuole, trasporti». Stessa cosa succede ai boschi e alle sorgenti di acqua che, trascurate, danno luogo al fenomeno delle erosioni, per cui «città, imprese, infrastrutture, “polpa” del Paese, saranno sempre più esposte al pericolo delle alluvioni».
Che fare? Non si tratta solo di costruire dighe o muri di sostegno ma di creare un piano economico e sociale per valorizzare le aree interne. Come sostiene Andrea Salamone dello Sprar dell’Aquila,«le aree interne, da grave problema territoriale possono diventare una grande opportunità per il Paese». In Italia si contano circa 5.000 borghi in abbandono, continua Bevilacqua, ricchi di «santuari, torri, casali, chiese, palazzi, necropoli, mausolei, sepolcri, statue e anfiteatri, aree archeologiche, cinte murarie, cisterne, acquedotti: resti di una civiltà impareggiabile». Non è da incoscienti abbandonare tutto alle ortiche e ai topi? Come rimediare? La risposta è: fare rinascere la silvicoltura, riprendere l’agricoltura collinare, rivalutare le piccole città medioevali, compresi i cibi locali, dando nuove opportunità al turismo, economia sociale e ripopolazione scolastica. Da qui l’idea di chiamare, oltre alle popolazioni fuggite, i migranti, che sono un’occasione straordinaria per affrontare il problema demografico e ambientale. Per questo, come dice Francesco Paglia, bisogna creare un nuovo sguardo sul nostro passato mescolando l’antico con il presente. L’Agenzia dei borghi solidali dell’estrema Calabria per esempio, ha messo in cantiere dei campi di lavoro estivo nazionale e internazionale che portano nei piccoli centri abbandonati centinaia di ragazzi proveniente da tutto il mondo. E dove c’è movimento si aprono caffè, ristoranti, uffici postali e la vita riprende salvando non solo quei centri spettrali ma anche le grandi città di pianura.