Risveglio

di Franco Lo Monaco

È tanto che correggo la mia vita

usando la matita rosso-blu.

Cattiva e intransigente sugli errori,

con essa ho disegnato la mia storia.

Senza orizzonti chiari e senza stelle

seguivo rotte incerte e perigliose.

L’assurdo navigare in mare aperto

lontano mi spingeva dagli approdi.

Finché un gabbiano col suo

verso strido

scosse il torpor di chi si dà per vinto

e mi spronò a seguirlo… e lo seguii.

Tenni il timone a scia di quel volo,

fra turbinosi venti e flutti avversi;

con gli alberi e le vele fatti a pezzi,

riuscii a tirarmi fuor dalla burrasca.

Drizzata al faro da quell’ali bianche,

fende or sicura l’onda la mia prora,

libera dagli artigli dell’abisso,

 in cerca di lidi all’ancora clementi.

Ho messo le mie angosce alla catena,

la museruola ai critici arroganti.

Preda non sono più della tristezza,

né dei capricci sciocchi della noia.

Quella speranza che credevo morta

i sogni infranti mi riaccende in core.

Ho regalato un frac all’amicizia, 

  il saio del perdono alla rivalsa.

Ho riscaldato il freddo,

ho messo in fuga il vento,

ho spento le saette alla tempesta.

Di nuvole ho imbottito i miei cuscini,

di stelle ho incastonato i miei gioielli.

Porto in borsetta il sole dell’estate,

sulle mie vesti i prati in primavera.

A Raffaello ho fatto da modella,

Leonardo si è ispirato al mio sorriso.

Ad Archimede ho dato quattro più,

e ho rotto il cannocchiale a Galileo.

Vagato ho per il mondo senza meta

appesa con le trecce a un aquilone,

seguendo il corso dell’arcobaleno,

spinta dal soffio lieve della brezza.

Anche il deserto or sazia la sua arsura

con l’acque fresche di sorgenti e fiumi

che scorrono soltanto sul mio atlante.

A girotondo gioco coi bambini

che il grembo delle madri rifiutò,

e con gli scarti della razza umana,

già nati in croce e lì dimenticati.

Con loro me ne andrò per l’universo

a bordo di una fulgida cometa

in cerca d’una Terra più materna,

laddove non avranno sete e fame.

…Pensate voi che sono fuor di senno?

Giudici lesti a dispensar sentenze,

che per follia felicità scambiate,

svestitevi del tocco e della toga,

e all’umiltà prestate fede e cura!

Questa felicità sì forte e grande

è come morbo che non lascia scampo.

L’animo prende e lenta l’avvelena…

e l’animo inerme ad essa

s’abbandona.

Dolce è il patirne, morirne… è bello!

Qual dea severa al suo voler mi piega,

 ogni speranza di fuggir

m’ammazza.

Col canto e la malía d’una sirena

la volontà m’annienta, mi stordisce;

i polsi m’incatena e mi trascina

nelle segrete della sua dimora.

Ignara della sorte che mi attende,

ribelle mi dimeno, mordo il freno;

fuma il sudor che s’alza dalle carni 

ribelli al giogo di libertà rovina.

La “carceriera” che m’appar nemica,

con l’impeto animoso di un auriga,

ritta sul carro e con le briglie tese

doma il furor e al rito mi destina.

Cintami di peplo candido m’aduna

ai piedi dell’altar di fochi acceso,

e lei, solenne e di splendore adorna,

del tempio sua vestale mi consacra.

Franco Lo Monaco

(da Fuori dalla Rete Marzo 2024, anno XVIII, n. 1)

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