In un saggio di prossima pubblicazione, il professore Gerardo Bianco, partendo da un’analisi del cosiddetto “federalismo differenziato” e dai pericoli insiti in questa “riforma” costituzionale, ha sostenuto, parafrasando alcune riflessioni di Gianfranco Viesti, che abolire il Sud significherebbe abolire l’Italia. Vengono in mente queste parole dopo aver ascoltato la relazione inaugurale della “Scuola di politica” di Nusco, che Sabino Cassese ha tenuto il 15 febbraio scorso nell’Auditorium del Seminario vescovile, invitato dal sindaco Ciriaco De Mita e dal “Suor Orsola Benincasa”. Dopo un’ampia analisi della storia dell’Unione europea, dei suoi squilibri, dei successi, dei modelli ideali, dei perché e del come sia nato questo ambizioso progetto, che ha condotto alla nascita dell’Unione europea, le riflessioni di Cassese sono passate ad analizzare i temi contingenti dei nazionalismi, dei sovranismi, dei populismi, sino a scivolare verso la questione recente del federalismo fiscale, che oggi dilania non poco la discussione politica nazionale.
Vengono in mente le parole di Guido Dorso: “Il Sud non ha bisogno di elemosina, ma di giustizia”.
Ecco, il Sud non ha bisogno di un inutile reddito di cittadinanza in cambio di un “federalismo differenziato” tutto a vantaggio del Nord.
Il professore Cassese, sollecitato dagli studenti del Liceo di Nusco, non si sottrae alla discussione. Anzi, compie un’analisi accurata del federalismo ponendo in evidenza da un lato le riforme costituzionali (a partire dalla L. 3 del 2001), che hanno condotto a questa discussione, dall’altro le conseguenze del referendum regionale dell’ottobre 2017.
Nel cosiddetto “Federalismo differenziato”, tuttavia, si possono scorgere subito dei limiti gravi, che sembrano collidere direttamente con la nostra Costituzione e con il significato stesso della Nazione moderna. La Repubblica è nata per garantire a tutti non solo un’eguaglianza formale, ma anche sostanziale, come chiarisce tra gli altri l’articolo 3. Immaginare un federalismo, che nega aprioristicamente l’eguaglianza tra i cittadini diventa la negazione dell’eguaglianza costituzionalmente riconosciuta tra gli Italiani.
Non meno grave è un altro vizio di forma, che collide con il buon senso e con i dettami costituzionali. Infatti, pensare che il federalismo possa essere fondato su un accordo tra una, due o tre Regioni e lo Stato, senza coinvolgere tutte le altre Regioni, rende il federalismo stesso un provvedimento privo di qualsiasi validità e legittimità. Insomma, pensare che il federalismo possa essere applicato per una parte del Paese e non per l’altra, rende il progetto leghista non solo poco plausibile, ma illogico: in una Nazione moderna le regole valide per alcuni devono necessariamente valere per tutti.
Ma in questo quadro fosco e ricco di rischi e di conflitti, Sabino Cassese ha parole soprattutto di speranza. Si congeda, osservando che la politica come tutela del bene comune sia una speranza plausibile e non l’auspicio di un sognatore. È piuttosto l’auspicio di un intellettuale, che è capace di vedere nelle pieghe della storia la possibilità che ogni crisi sia indispensabile per realizzare un altro tassello verso un mondo migliore.
Paolo Saggese
(da Fuori dalla Rete, Marzo 2019, anno XIII, n. 1)