San Rocco e la Vacca di fuoco, una tradizione tutta bagnolese

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“La vacca di fuoco” è un rito unico nel suo genere, è un qualcosa di inspiegabile, trasmette adrenalina e gioia allo stesso tempo.  Ma che cos’è “La vacca di fuoco”?

Chiedetelo ad un bagnolese e ve la racconterà con orgoglio è dovizia di particolari, perché parlare della vacca di fuoco lo farà sentire fiero di appartenere alla sua comunità.

“La vacca di fuoco” è uno spettacolo che si svolge a conclusione della festa di San Rocco il 16 agosto.  Una sagoma di latta a forma di mucca, montata su un supporto a rotelle, viene riempita di mortaretti, bengala, e fuochi pirotecnici e fatta girare intorno alla piazza principale del paese, da volenterosi che la tirano fra lo scoppiettare dei fuochi d’artificio e il rimbombo dei mortaretti, creando uno sfolgorio di colori ed esplosioni che quasi toccano la folla accalcata ai margini della strada, che urla e incita i valorosi tiratori creando entusiasmo e allegria.

Ma come nasce questo evento folkloristico?

Gli storici locali sul tema si dividono in due “scuole di pensiero”, il risultato è che nessuna delle due teorie prevale sull’altra in quanto non ci sono documenti storici a supporto delle tesi in campo, ma soltanto il retaggio di una tradizione orale che nel corso dei secoli è stata trasmessa da generazione in generazione.

Secondo il prof. Michelino Nigro, storico locale, “il rito è senza dubbio antico e di origine pagana. Questo rituale è da collocare al “Giuoco della vacca” presente in ogni festa a Bagnoli. A conclusione di qualsiasi festeggiamento, una mucca vera (in carne e ossa) veniva fatta girare per le strade del paese, dopo averla pungolata opportunamente facendola così imbizzarrire, tra una folla festante, con schiamazzi, grida e spari di mortaretti. L’animale inferocito tendeva ad incornare tutti quelli che le venivano a tiro. Quando l’animale era sfinito dalla triste agonia, veniva portato alla periferia del paese, ed in particolare al largo davanti al castello, dove sotto il secolare tiglio, oggi albero monumentale, veniva macellato e arrostito a beneficio degli astanti ed in particolare dei più poveri del paese che godevano così dei benefici della festa.”

La versione sostenuta invece dal prof. Giuseppe Dell’Angelo, memoria storica di Bagnoli e autore di diverse pubblicazioni, sulla storia e le tradizioni bagnolesi, discosta totalmente da quella del prof. Nigro. Nel suo libro Florete flores, tradizioni e riti a Bagnoli Irpino”, (Delta3 Edizioni) scritto a quattro mani con il nipote, il prof. Ermenegildo Parenti, riporta la notizia riferitagli oralmente da suor Immacolata Patroni (nipote dell’arcivescovo di Sulmona, Tobia Patroni e zia dell’arcivescovo di Cosenza, Aniello Calcara), secondo cui l’origine della tradizione della “Vacca di fuoco” è da ricercare nel culto e la devozione dei bagnolesi a San Rocco. “Per risalire all’origine di questa manifestazione bisogna tornare indietro nel tempo al 1648, quando un incendio distrusse il convento e la chiesa di San Rocco. Proprio da questo evento disastroso nacque il rito della “Vacca di fuoco”.  In occasione della riedificazione del convento, infatti, furono offerti numerosi oggetti di valore: non solo denaro, ma animali, terreni e addirittura alcuni edifici. Fra questi venne donata da alcuni “vaccari” anche una mucca con il suo vitellino. Tutte le elargizioni furono rivendute all’asta. Quando giunse il momento di mettere all’asta la mucca, il comitato ebbe l’idea di addobbare l’animale con un campanaccio, fiocchi e nastri colorati e lo condusse in giro per le strade del paese, accompagnato da botti e spari. L’iniziativa riscosse un enorme successo tanto che i bagnolesi fecero a gara a chi offriva di più pur di entrare in possesso dell’animale. Da allora i mandriani divennero i maggiori sostenitori della festa ed ogni anno fino al 1956 fu sempre donato un vitello da mettere all’asta. Così, a ricordo di quell’animale parato a festa ancora oggi viene allestita la famosa sagoma infuocata della mucca.

Anche il poeta e religioso arianese Pietro Paolo Parzanese riporta nel suo resoconto dettagliato del suo viaggio a Bagnoli, che cento anni dopo un altro scrittore arianese recuperò e pubblicò con il titolo: “Un viaggio attraverso l’Irpinia compiuto da P. P. Parzanese”, si sofferma sul rito della vacca di fuoco. Nel suo soggiorno a Bagnoli avvenuto tra il 9 e il 15 agosto del 1835, invitato dal parroco bagnolese Titta Buccino a tenere un panegirico, il Parzanese nel descrivere l’indole dei bagnolesi affermava: “È  però a riprovarsi, in popolo così gentile, la costumanza di dar la caccia al bue, nelle solennità del paese, mentre gli urla feroci di una plebe sfrenata, il latrato de’ sciolti mastini e lo spettacolo di un pacifico animale, tutto insanguinato e lecero, fanno un triste contrasto coll’indole dolcissima dei Bagnuolesi, e danno un sentore di barbarie dannevoli”. Il biasimo e la disapprovazione del Parzanese fu probabilmente il primo germe di quella condanna a questo barbaro gioco che indusse il Sindaco Nicola Pescatori fra il 1867 e il 1867 a decretarne l’abolizione.

Anche il Circolo Culturale Palazzo Tenta 39, ha dato il suo contributo alla ricerca dell’origine di questo rito, realizzando diverse edizioni del concorso “La vacca di fuoco”. La curiosità è stato il filo conduttore delle diverse edizioni realizzate insieme all’artista Maria Rachele Branca. Artisti provenienti da tutto il meridione d’Italia si sono cimentati nella ricerca di una personale interpretazione, attraverso una visione contemporanea, di questo evento, oltre ad una ricerca antropologica condotta dalla stessa associazione che ha portato a prendere in considerazione anche altre ipotesi oltre a quelle in campo.

Qualunque sia l’origine di questo rito ad oggi non è dato saperlo e allora non ci resta che ringraziare il comitato festa di San Rocco che, dopo due anni di stop dovuti alla pandemia, quest’anno il giorno 16 agosto, a partire dalle ore 22.30 in piazza Leonardo Di Capua, ripropone la tradizionale “Vacca di fuoco”. L’attesa sta per finire, non perdetevi questo spettacolo unico ed inimitabile.

 Giulio Tammaro

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