Che io ricordi, credo sia la prima volta che un partito di sinistra di caratura PD non abbia partecipato alle recenti elezioni amministrative che si sono tenute anche nel nostro paese. Dal 14 novembre 1946, data di nascita delle elezioni libere della prima giunta municipale (durante i primi anni del dopoguerra, 1944-1946, le amministrazioni venivano nominate con decreto prefettizio), formata da elementi facenti capo al PCI-DC-PNM, la sinistra locale è sempre stata presente in tutte le votazioni che si sono susseguite fino al 2018. Poi, inaspettatamente, come dicono i francesi: “après nous la nuit”.
C’è qualcosa che, in modo surrettizio, intenzionale, si vuole nascondere a chi con abnegazione ha militato per anni, in modo discreto, silenzioso, nella sinistra bagnolese, senza mai intralciare i piani e le iniziative di chi assommava nelle mani la responsabilità giuridica e politica del sodalizio; che ha fatto di tutto per partecipare all’abbattimento degli storici steccati tra laici e cattolici ed aprire le porte alle opposte intransigenze, al fine di allargare sempre di più quella forma di coesione ideale, compatta, di cui il paese aveva urgenze vitali; che non ha lesinato dare lezioni di buon senso e di onestà a quei personaggi divisivi, incrociati nel cammino della vita amministrativa del nostro Comune.
La colpa è soprattutto di chi ha considerato il partito come il luogo dove una volta all’anno ci si incontra per il rinnovo della tessera d’iscrizione. Dove sono finiti quegli anfitrioni che ambivano ad occupare lo scranno di quella sede per appropinquarsi agli improbabili fasti di un renzismo menzognero?
Secondo un mio modesto parere, la frana ha avuto inizio immediatamente dopo l’allontanamento dal partito, per vari motivi, di alcuni falsi epigoni che ne cementavano le fondamenta e, inconsapevolmente, avevano trascinato con sé una moltitudine di gente spossata, stanca di assistere all’abbattimento della meritocrazia da parte di instancabili custodi del carattere padronale localistico della politica. A tanto, va aggiunta, poi, la gestione della sezione locale del partito condotta in forma pressappochista, piuttosto debole, svogliata (per non dire inesistente) che non ha prodotto un solo proselito, ma soltanto il resto di niente.
La funzione di un partito, per piccolo che sia, non è certamente quella che conduce alla dissoluzione di persone e cose, ma è soprattutto quella di realizzare e rinforzare una comunità di soggetti di diritto che, a prescindere dalle opinioni, si aggregano, socializzano e discutono in liberi dibattiti delle istanze e dei bisogni della comunità.
Il tutto, era maturato anche dall’inciampo in una pietra d’angolo dell’Amministrazione dimissionaria di stampo PD, che qualche giorno fa ha causato la vittoria della lista di centrodestra. Inciampo, che poteva essere superato se i rappresentanti dell’esecutivo avessero fatto mea culpa e, conseguentemente, appianata ogni forma di ostilità intestina, che aveva rasentato addirittura un conflitto di natura fisiologica (la politica, come tutti sanno, si trasforma a volte, in arte dei mediocri) facendo appello alla dialettica o, per meglio dire, al confronto sociale, storico e politico, si fossero peritati nel trovare nuove vie per rinforzare la sensibilità collettiva e per portare finalmente a termine la legislatura. Ma quella ch’è venuta meno nella diatriba per tentare una sintesi ricucitrice, è stata la mancanza di autorevolezza intellettuale; la mancanza di forza di capire, prima di trovare quella di reagire; la capacità di comunicare al momento giusto senza mai assumere il complice ruolo di osservatore passivo, servendosi del bagaglio acquisito in più anni di partecipazione in esecutivi politici pregressi (antifona, rivolta ad un mio amico, che fa finta di non vedermi e di non conoscermi) per evitare di essere trascinati nel baratro.
La cosa che mi prude e mi causa enorme dispiacere è il pensare che nella maggior parte delle regioni italiane la sinistra finalmente ha alzato la testa. Siamo rimasti unici nel tenerla abbassata! Forse il mio amico Emilio, se fosse ancora tra noi, avrebbe più motivi di me per essere triste. E forse, con la sua pregnante ironia, avrebbe consigliato che per commettere idiozie, anche se d’impianto ideologico, dottrinario, non occorra rubare le braccia all’agricoltura.
Antonio Cella