La professoressa Lucia Scotto Di Clemente si è laureata nel 1987 a Napoli in Lettere Classiche all’Università “Federico II” e subito dopo ha iniziato a insegnare latino e greco all’Istituto Magistrale Pareggiato del “Suor Orsola Benincasa”. Trasferitasi a Bagnoli nel 1988, ha insegnato Latino e Greco al Liceo Classico di S.Angelo dei Lombardi e poi è passata a insegnare Italiano e Latino presso il Liceo D’Aquino di Montella. Dal 2012 insegna al Liceo “P.E.Imbriani” di Avellino. Risiede stabilmente a Bagnoli.
Sempre in ambito scolastico è stata impegnata in progetti e azioni dell’Invalsi sulla valutazione delle scuole e degli apprendimenti in qualità di componente dei Nuclei Esterni di Valutazione e come formatore nelle azioni sulle prove OCSE PISA e Invalsi. Ha inoltre partecipato, sempre in qualità di formatore, ai Piani Nazionali di Educazione linguistica e letteraria in un’ottica plurilingue e di Didattica Digitale con l’Indire e con l’Ufficio Scolastico Regionale della Campania. Questa esperienza le ha consentito di conoscere diverse realtà scolastiche non solo della nostra provincia, ma anche di altri ambiti su tutto il territorio nazionale.
Svolge da circa 34 anni con amore e passione il suo lavoro, ha avuto sempre grande feeling con tutti i colleghi ed empatia con gli alunni di diverse generazioni, con i quali ama mantenere contatti e rapporti anche dopo il loro percorso scolastico.
Nel 1993, a capo di una lista civica è stata eletta, a soli 30 anni, Sindaco di Bagnoli Irpino, la prima volta per una donna. Il suo mandato è terminato nel 1997. Da allora, però, non ha più partecipato alla vita politica del paese.
Una vita nella scuola e per la scuola. Cosa pensa di aver finora “dato” in questa lunga esperienza professionale e cosa, invece, di aver “ricevuto”?
Inizio da cosa ho “ricevuto” perché sicuramente è molto più di quello che ho dato. Ogni alunno che ho avuto il piacere di incontrare è stato un arricchimento umano e professionale, anche quelli più restii allo studio o più refrattari a ogni forma di “disciplina”. Molti di loro li ho visti crescere e maturare accompagnandoli nel corso del quinquennio liceale. Con loro ho condiviso anche i momenti belli o brutti della mia vita professionale e personale, rendendoli partecipi delle esperienze extrascolastiche (i tanti convegni e seminari ai quali spesso ho preso parte) e delle vicende più intime e familiari. Progetti extracurricolari, viaggi ed esperienze all’estero ci hanno offerto occasioni di confronto e hanno aperto le nostre menti a ciò che è diverso e distante da noi, un po’ come lo studio dell’antichità classica. Quello che ho “dato” è più difficile da definire e quantizzare. Sicuramente considero l’insegnamento non semplicemente un lavoro, ma la messa in atto di una vera vocazione.
Dagli anni ottanta ad oggi, la scuola, la formazione scolastica, gli stessi alunni ed insegnanti, sono molto cambiati. Che tipo di cambiamento è stato?
In quest’arco di tempo sono cambiate tante cose nel mondo della scuola, non solo a livello legislativo. Abbiamo avuto l’autonomia scolastica, la riforma radicale del primo ciclo (si passa dal maestro unico a più figure di insegnanti per classe), il riordino delle scuole superiori, l’introduzione di nuove discipline. Purtroppo non sempre queste innovazioni hanno avuto una ricaduta positiva sulla formazione degli alunni e degli insegnanti. Nel primo caso i ragazzi sono sempre più diversi dai loro predecessori: ogni volta che ricomincio a insegnare in prima, trovo alunni sempre meno propensi allo studio sempre meno attratti dai libri e dalle “sudate carte”. Allora spetta a noi insegnanti cambiare la nostra mentalità e soprattutto il nostro modo di fare scuola per catturare l’interesse degli alunni e motivarli allo studio. Il cambiamento determinato dalle nuove tecnologie non riguarda solo gli studenti, che oggi definiamo “nativi digitali”, ma deve spingere soprattutto noi adulti ad evitare e superare il cosiddetto “digital divide” intergenerazionale, il divario digitale che allontana le generazioni e determina situazioni di incomunicabilità. Per questo motivo occorre, a mio avviso, investire nuove e maggiori risorse sulla formazione degli insegnanti: la sospirata “cattedra” non deve essere un punto di arrivo per chi lavora nella scuola, ma il punto di partenza per la formazione continua e l’aggiornamento professionale.
Negli ultimi 30 anni tutti i Governi, di destra di sinistra e di centro, hanno provato a riformare la Scuola per migliorarla, senza però grandi risultati ed ingenerando spesso disorientamento e confusione.
Credo che le riforme debbano partire dal basso ed essere condivise effettivamente con chi lavora sul campo. Noi lavoratori della scuola, purtroppo, siamo quelli che meno conoscono le direttive e i regolamenti del nostro datore di lavoro, il MIUR: conosco colleghi che non si sono ancora resi conto del cambiamento introdotto dal riordino dei Licei del 2010, al punto che continuano a insegnare ad esempio latino al liceo linguistico con le stesse metodologie e gli stessi contenuti di 10 anni fa. Solo che prima il latino era un insegnamento quinquennale, dal 2010 invece è limitato solo al primo biennio, con una revisione totale dell’impianto metodologico-didattico. L’altra nota dolente è l’ansia di riforme di ogni nuovo governo che mette in essere cambiamenti radicali del sistema-scuola prima ancora di far sedimentare le precedenti riforme e valutarne gli effetti a lungo termine.
Oggi ci troviamo con un corpo decenti sotto pagato rispetto alla media europea, spesso precario e quasi sempre demotivato. Negli ultimi anni c’è stata (almeno questa è la nostra impressione) una corsa all’insegnamento più come “occupazione” che come “vocazione”. E questo non ha sicuramente contribuito ad elevare la qualità dell’istruzione nel nostro Paese. Cosa ne pensa?
E’ vero, oggi in molti casi la scuola è vista come ammortizzatore sociale, ovvero si riversano nel mondo dell’insegnamento frotte di docenti che né per preparazione né per vocazione dovrebbero salire in cattedra per “insegnare”, poiché non hanno molto da trasmettere ai loro alunni. Eppure la scuola è il luogo in cui si formano i futuri cittadini, gli uomini del domani che avranno il compito di migliorare la società con il loro contributo costruttivo. Per raggiungere questi obiettivi abbiamo bisogno di un corpo docente motivato e preparato. Invece oggi si assiste alla corsa al posto fisso nella scuola, a un commercio di titoli per acquistare punteggi e salire la classifica delle graduatorie, il dilagare di ricorsi e controricorsi che hanno rimpinguato le casse degli studi degli avvocati amministrativisti specializzati in diritto scolastico, che ormai dilagano a macchia d’olio su tutto il territorio nazionale. Non si pensa, però, ai danni che alcuni insegnanti possono arrecare alle menti e ai cuori dei ragazzi a loro affidati. Un docente poco preparato o, ancora peggio, attaccato solo all’aspetto economico della professione che svolge finisce per demotivare e allontanare dallo studio. Eppure noi docenti siamo responsabili del processo di insegnamento/apprendimento e dobbiamo garantire il successo formativo degli alunni, come recita ormai da circa 20 anni il regolamento dell’autonomia.
L’emergenza coronavirus ci ha “segnati” un po’ tutti. Stiamo vivendo in queste settimane un’ondata di ritorno, che al Sud in particolare fa molta paura. Lei come ha vissuto il lockdown della primavera scorsa e come le è sembrato l’insegnamento a distanza? La scuola secondo lei oggi deve ripartire, aprendo gli istituti, o aspettare?
Credo che il lockdown sia stato un trauma soprattutto per i nostri giovani, abituati a un tenore di vita socialmente attivo, mentre per me è stato un modo per rivedere abitudini e rapporti umani alla luce dell’emergenza sanitaria e sociale. E’ nelle situazioni di pericolo o di emergenza che si scopre l’animo di chi ci sta vicino. A scuola ci siamo adattati subito alle richieste della Didattica a Distanza, ma c’è il rammarico di vivere in un paese privo dei collegamenti veloci della fibra. La DaD e lo smart working in genere non si adattano alla nostra linea dell’ADSL ultra-lenta, appesantita ancora di più della presenza massiccia nella rete nelle stesse fasce orarie di studenti, docenti o lavoratori del settore pubblico e privato. Purtroppo la riapertura in presenza della scuola necessita del potenziamento dei trasporti intercomunali, che fino ad oggi non sono stati per nulla implementati. Di fatto le scuole sono sicure, tutti i dirigenti hanno investito fondi e risorse umane per curare il distanziamento e la sanificazione, ma ammassare decine e decine di studenti su autobus obsoleti non è certo un modo per arginare i contagi. A mio parere, infatti, per riaprire in presenza le scuole – soprattutto gli istituti superiori frequentati da un alto numero di alunni pendolari – si dovrebbe prima rivedere e migliorare l’intero piano dei trasporti intercomunali. Discorso diverso per le scuole del primo ciclo, soprattutto nelle zone montane, dove i Comuni sono in grado di garantire non solo i trasporti idonei, ma anche locali ampi e spesso sovradimensionati rispetto ai numeri degli alunni, in quanto si tratta di edifici costruiti in periodi di incremento demografico.
E veniamo adesso alla sua breve ma intensa esperienza politica. È stata la prima donna ad essere eletta Sindaco di Bagnoli. A distanza di quasi trent’anni ci può raccontare quell’esperienza amministrativa? Cosa ha significato per lei essere il sindaco di questa comunità?
E’ stata un’esperienza difficile ma al tempo stesso gratificante. Sicuramente è complicato trovarsi improvvisamente a capo di un settore complesso come un Ente Locale, ancora più problematico nel caso del nostro Comune: una realtà numericamente variegata a seconda dei periodi dell’anno, in quanto la presenza allora massiccia di villeggianti nei periodi estivi o quando c’era la neve avrebbe richiesto maggiori risorse economiche e sicuramente un maggior numero di personale. E’ stato anche gratificante perché mi ha consentito di conoscere il complesso mondo della pubblica amministrazione: quello che forse mi riesce meglio è lo studio, per cui in quegli anni con grande umiltà intellettuale ho fatto tesoro di tutti gli insegnamenti che mi hanno dato i dipendenti comunali. Anche il contatto con i cittadini è stato un elemento positivo, perché mi ha consentito di rapportarmi con i problemi della gente e aprire gli occhi e la mente di fronte a situazioni non sempre piacevoli. Ho ricoperto la carica di sindaco in un periodo della mia vita abbastanza complesso, ma forse proprio per questo ho apprezzato ancora di più il ruolo assegnatomi, quello di mediare in tante situazioni locali e di rappresentare il paese anche al di fuori dei confini comunali. Ricordo con piacere i tanti viaggi a Roma, ad esempio, con alcuni impiegati e con la Panda sgangherata del Comune per chiedere finanziamenti utili alla comunità.
Ha ricoperto la carica di Primo Cittadino negli anni ’90, quando la politica si svolgeva tutta all’interno delle varie sezioni di partito. La sua lista fu il risultato di un accordo politico trasversale, fra i vari partiti della sinistra, il movimento sociale Italiano e la società civile. Come si arrivò ad indicare il suo nome?
Credo che la domanda dovrebbe essere rivolta a chi organizzò la lista e pensò di coinvolgere anche me. Forse si cercava un qualcosa di nuovo per uscire dal chiuso dei partiti e trasformare la casa comunale in un “palazzo di vetro”, caratterizzato dalla trasparenza e dall’equità. Questo, in sintesi, il motto della coalizione da me guidata e questo è quello che abbiamo cercato di garantire in quell’amministrazione: ricordo i preconsigli fra di noi nella sala comunale, preceduti spesso da altri preconsigli nelle sedi dei partiti. Almeno era un periodo in cui ci riuniva, anche pubblicamente, per condividere le decisioni da prendere.
Nei quattro anni di mandato cosa realizzò principalmente la sua amministrazione? E di quell’esperienza amministrativa cosa ricorda con maggiore piacere, quello di cui ancora oggi va fiera, e cosa invece non rifarebbe?
La valutazione dell’operato di un’amministrazione credo che non spetti a chi ne fa parte, ma a coloro che l’hanno vissuta dal di fuori, ossia ai cittadini. Alcune azioni le ricordo con maggiore piacere, fra cui il finanziamento ottenuto per ristrutturare l’edificio scolastico di Via Anna Frank, l’avvio dei lavori della nuova sede dell’ITIS, l’ampliamento del cimitero, nonché il riassetto degli uffici comunali. Il 1993, l’anno in cui ha avuto inizio la nostra amministrazione, è non solo quello della Legge n. 81 e l’elezione diretta del Sindaco, ma è anche l’anno del Decreto Legislativo n. 29 con il quale il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni imbocca la strada della privatizzazione.
Terminato il mandato perché decise di non ricandidarsi allontanandosi completamente dalla scena politica bagnolese? E nel corso di tutti questi anni ha mai pensato, anche solo per un momento, di ridiscendere “in campo” e fare politica attiva?
Terminata l’esperienza amministrativa, facendo un bilancio dei pro e dei contro di quanto vissuto durante il mandato, ma soprattutto analizzando quello che avrei desiderato fare per il paese e per i cittadini ma che non ero stata in grado di realizzare, ho concluso che il mio posto nella società era ed è nel mondo della scuola, fra i banchi del liceo. E alla scuola ho continuato a dedicare tutto il mio impegno, senza aver mai avuto ripensamenti o rimpianti.
A distanza di 25 anni dalla sua elezione, nel 2018, due donne si sono sfidate per la poltrona di primo cittadino a Bagnoli. Oggi in consiglio comunale la quota rosa è predominante. Le donne entrano di diritto nei processi decisionali del nostro paese. Qual è la sua opinione in merito?
Credo cha la presenza femminile possa garantire un contributo fattivo e concreto. Infatti, nei vari contesti lavorativi e sociali, il più delle volte sono le donne ad essere meno impulsive e più razionali soprattutto perché hanno una maggiore capacità di ascolto e di empatia, che consente di comprendere e mediare in varie situazioni. In particolare questo si verifica quando ci si abitua a gestire contemporaneamente il lavoro, la casa e la famiglia, cercando di venire incontro alle necessità di tutti mantenendo la calma e l’equilibrio interiore.
Qual è il suo giudizio sulla politica nazionale e quella a Bagnoli in particolare? Ha la sensazione anche lei che a prevalere siano sempre di più le ambizioni personali, gli egoismi e gli interessi di bottega, sul bene comune? Su cosa si dovrebbe puntare per ritornare ai fasti di un tempo?
Sicuramente negli ultimi anni si assiste sempre di più alla tendenza di prevaricare sugli altri per far valere interessi personali e non per tutelare il paese e la comunità. Soprattutto a livello locale, i fatti spesso dimostrano che non tutti quelli che siedono sugli scranni comunali o parlamentari ricordano che sono stati eletti per il bene del popolo e del territorio. Dissidi e beghe prevalgono spesso nei consessi nazionali e locali, finendo per essere un esempio negativo per le giovani generazioni (i futuri cittadini del domani) e un deterrente che finisce per allontanare dalla politica chi vorrebbe dare un contributo positivo al paese. Credo che spetti alla scuola, oltre che alla famiglia, ripristinare la fiducia nei valori civili che hanno reso grande l’Italia nel passato e che oggi servono per ripristinare un clima sociale sereno e positivo. Dobbiamo investire maggiormente sui nostri giovani, motivandoli a crescere giusti e onesti per innescare quello che Roger Abravanel e Luca D’Agnese hanno definito “il circolo virtuoso delle regole” in tutta la società: “un processo che coinvolga i cittadini, che devono essere informati e partecipare alla definizione e al miglioramento delle regole grazie a una scuola che non deve solo trasmettere nozioni, ma formare le competenze della vita necessarie per interagire efficacemente con gli altri; una giustizia civile veloce; un sistema dell’informazione indipendente dalla politica e dagli affari”.
La redazione di PT39
(da Fuori dalla Rete, Novembre 2020, anno XIV, n. 5)