Per quanto tu possa godere di luoghi ameni di montagna sparsi per le Alpi del nostro Paese, oggettivamente imparagonabili per bellezza ai nostri, il ritorno agli appennini di casa sarà sempre unico e ineguagliabile nel creare sentimenti di trasporto emotivo di autentica e ineguagliabile letizia, perché sul loro humus è scritta la nostra storia, il fruscio del vento tra i faggeti sussurra le nostre radici, i tronchi che avanzano computano il tempo che abbiamo consumato, gli odori ci restituiscono infanzia, adolescenza, giovinezza.
Ovunque tu vada, ogni montagna battuta e cima goduta, ogni volta sarà come rinascere, ma solo le montagne dove sei nato, cresciuto e formato, sapranno donare l’ancestrale fascino di una reminiscenza di quella vita realmente vissuta, l’unica a poterti scuotere davvero lo spirito.
Dopo aver goduto di incantevoli paesaggi alpini per mesi, il ritorno nei monti di casa divenne un momento sospirato, a lungo desiderato e immaginato. Quelle montagne sono scrigni di vita, sono parti di noi che non partono mai, se ne stanno lì imperiture ad attenderci sempre, non tradiscono mai: sono la parte migliore di noi bagnolesi.
Dopo aver salutato i tuoi genitori, senti il bisogno di raggiungere il respiro dei tuoi monti, e al primo giorno utile tornai a trovarli. Arrivato sul Laceno, dallo slalom sulle piste da sci di anni addietro mi ritrovai a schivare zigzagando escrementi di bovini sparsi come paletti sul fondo stradale del circuito, e dato che avevo appena lavato la macchina, l’approccio con l’altopiano fu accompagnato da imprecazioni dovute.
L’altopiano si presentava a me come una immensa distesa di bestiame vario, anche in strada (a realizzare appunto paletti per lo slalom su auto). Vicino al lago, dove avevo pensato di passare qualche volta delle ore per studiare al sole o a bere qualcosa, minacciosi si aggiravano grossi e spavaldi cani pastori, e vabbè, lo farò altrove. Quella volta avevo con me il mio cane, che proprio come me da mesi non andava in montagna (le nostre intendo). Con l’abitudine di un paio di anni trascorsi in Valcamonica, dove non vi è traccia alcuna di bovini e ovini nei pressi di corsi d’acqua che attirano gente (laghi e fiumi) o lungo i sentieri di escursionismo segnati, nei primi giorni di ritorno nelle mie montagna ci tornai sovrappensiero, sciolto, proprio come se stessi ancora in Valcamonica. Presi a fare qualche sentiero, e ogni sentiero fu selvaggio, pericoloso, una roulette russa. La mia abitudine biennale di andare per sentieri e non incappare in minacciosi cani pastori a difesa di greggi, si interruppe di colpo. Se in Valcamonica puoi imboccare in tutta tranquillità un sentiero di montagna senza l’ansia di poterti ritrovare un gruppo di cani violenti di grossa stazza, che comunque in ogni caso indossano museruole e sono sempre in compagnia dei pastori, pronti dunque a richiamarli in ogni evenienza, qui imboccare un sentiero è un atto di coraggio, sfida, di rischio non calcolato.
Le aggressioni e gli attacchi già segnalati che ho letto da lontano, mi ritornano ora con un suono diverso, molto più greve. Questi gruppi sciolti e non sorvegliati di cani rabbiosi stazionano pressoché su ogni sentiero segnato, li puoi incontrare spiacevolmente in ogni angolo, e non stanno lì di certo ad aspettare coccole o carezze.
Così, dopo qualche sentiero selvaggio, ho ben presto capito che il mio rapporto con la montagna sarebbe tornato quello che per un po’ avevo dimenticato: un rapporto ansioso e proibito, per nulla rilassante (motivo principale che spinge a vivere la montagna). Spingersi nelle nostre montagne, soprattutto con un cane, significa attraversare col terrore terre che dovrebbero stare lì a donarti pace, silenzi, estasi, riconciliazioni con la natura, riflessioni.
Privati di tutto ciò, vien dunque da chiedere: chi dovrebbe garantire la nostra tutela, la nostra libertà di poter godere dei sentieri senza l’ansia continua di poter essere attaccati e aggrediti da questi cani adirati? Pare evidente che, se ai pastori non viene da sé, debba essere la politica a farsi carico di questo annoso problema.
Da sempre, da che io abbia memoria, è mancata una virtù ai vari governatori del nostro comune passati e presenti, una virtù che per il nostro Laceno pesa ancora di più: il coraggio. L’essere politico contempla per connotazione naturale, attitudine, inclinazione e predisposizione una continua ricerca e sviluppo della propria conservazione e tutela (del politico in quanto persona), in pratica una sorta di primaria vocazione alla propria salvaguardia. Essere politici, e saperlo soprattutto fare, significa sapere e voler rischiare ad ogni costo, sia in termini di perdita di elettorato o popolarità, sia di minacce eventuali alle quali ci si potrà esporre facilmente, in nome della cosa più giusta da fare per la collettività e per il progresso della comunità; metodi gentili alternativi non esistono, se vogliamo rendere il Laceno un posto più ospitale di un selvaggio west ottocentesco. Evitare il pascolo in alcune aree frequentate o potenzialmente frequentabili (lago, sentieri, aree di ritrovo/ristoro), obbligare per i cani l’uso della museruola, esigere la presenza dei pastori in ogni caso, sono tre regolette vigenti in ogni luogo turistico di montagna rispettabile.
A quanto pare, invece, il nostro turismo punta più sullo stile adrenalinico western, sulla ricerca di brividi ed emozioni di altra natura. Memore dei bivacchi aperti e fruibili in quota sparsi per la Lombardia e il Trentino (con confort che nemmeno potete immaginare), pensai alla canadese posta sul monte Rajamagra, raggiungibile dalla Nordica o dalla Settevalli, una struttura in legno che potesse ospitare escursionisti, per sostare o bivaccare. Se non tenerla aperta sempre (come succede al nord), quantomeno poterne far richiesta dietro semplice domandina da compilare al comune, ovviamente dopo essere stata arredata del minimo indispensabile (tavoli, sedie, stufa, letti, ecc.). Sono presenti anche altre due strutture, in vetta il rifugio Amatucci e una a tragitto intermedio. La canadese, manco a dirlo, con finestrone alla base sfondato e finestra in alto spaccata, è stata vandalizzata, sfregiata e saccheggiata, stessa sorte per gli altri due rifugi, dove orde di incivili si sono dati alla pazza gioia di accedere senza delicatezza alcuna per poterne perlustrare internamente gli spazi, speranzosi di trovare qualche antico patrimonio storico come in una tomba egizia e fuoriusciti con qualche doppia presa o qualche cavetto.
La politica, certo, ma anche e soprattutto un grado accettabile di civiltà dei bagnolesi mai raggiunto, non hanno mai reso facile o stimolante il lavoro degli amministratori. Escrementi sparsi ovunque, cani pastori sciolti rabbiosi, strutture inesistenti, fatiscenti o inagibili, inciviltà dilagante: eccomi, sono di nuovo a casa, ora devo solo ripassare qualche rocambolesca e spavalda azione alla John Wayne e godermi questa mia estate bagnolese in montagna.
Alejandro Di Giovanni
(da Fuori dalla Rete, Giugno 2020, anno XIV, n. 3)