Tarcisio Musto, chi era costui?

di Antonio Cella

Non credo proprio che il suo nome sia finito nel dimenticatoio. Anzi, risuonano  ancora, nel piazzale antistante la basilica di Pompei, gli applausi di migliaia di Irpini scesi da ogni parte della provincia per omaggiare, in un lontano giorno di un lontano mese del secolo scorso, l’evento che aveva come protagonista non soltanto il nostro amato francescano ma, addirittura, il vicario di Cristo.

Erano cinquantamila, sessantamila o forse centomila in quella piazza S. Pietro, momentanea, a pregare con il Papa il 21 ottobre 1979. Uomini, donne e bambini dall’accento forte, meridionale che, stretti nel rosario della Vergine, volgevano il pensiero nel donare il cuore a quell’umile faro di fede.

Ma, non è soltanto dell’umiltà di Papa Wojtyla che intendo parlare in queste pagine, essa è nota in tutto il globo terracqueo, ma anche dell’opera bronzea che raffigura la persona di Padre Massimiliano Kolbe, vittima dell’odio nazista nel campo di sterminio di Oswierim (Polonia) che, con Wojtyla, il 21 ottobre 1979 ha dominato, dall’alto del suo scranno di pietra, la moltitudine di fedeli accorsa nella stupenda piazza intitolata al beato Bartolo Longo.

L’opera, in pietra e bronzo, frutto del nostro conterraneo frate Tarcisio Musto, all’epoca poco conosciuto dalla stampa nazionale più attenta (fatta eccezione per Riccardo Sica che ha curato la pubblicazione di un volume d’arte intitolato “Padre Tarcisio Musto Scultore” edito dalla Casa Editrice Laurenziana di Napoli) ma notissimo ai fedeli “mariani” di tutto il mondo, per aver essi ammirata l’opera insigne che insiste, nel giardino del santuario pompeiano, sicuro punto di riferimento religioso d’importanza universale.

La statua di kolbe, d’ispirazione classico-romanica (caratterizzata da uno stile architettonico solido e massiccio, che gli scultori dell’epoca ricavavano direttamente lavorando pietre e mattoni), stile che nasce durante il Medioevo con ispirazione dell’arte romana antica, non è priva di una certa monumentalità e di un virtuosismo spontaneo che, secondo i critici d’arte, prescindono dai canoni stigmatizzanti del formalismo accademico essendo l’autore valente autodidatta dell’arte buonarrotiana.

La figura di Kolbe s’innalza, in pieno rapporto scultura-ambiente, su di una pietra che, simboleggiando il mondo, vuole significare “L’arena in cui si consuma, attraverso l’uomo, l’eterno contrasto tra due eterni antagonisti della storia: il bene e il male”.

Tarcisio, largamente influenzato da una marcata sensibilità pittorica di natura veristica (che tuttora viene definita dai critici “preraffaellita”) che produce grandi effetti di mobilità luminosa e di profondità, riesce a tradurre la stessa in termini plastici che esaltano: razionalità, proporzione, misura e sorprendente realismo. Il richiamo a motivazioni classico-ellenistiche, è molto spiccato nelle opere del nostro autore.

E’ motivo di onore per me, ricordare, dello stesso autore, i rilievi bronzei racchiusi in sei pannelli incastonati nel portale del Santuario del SS. Salvatore di Montella, la porta centrale del duomo di Nola e l’altare della chiesa di Santa Maria al Mare di Maiori (Salerno).

Antonio Cella

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