Storia travagliata e presente roseo per un prodotto che ha incantato i grandi del passato e delizia gli odierni buongustai. Quali sono le caratteristiche e come riconoscerlo
Cosa accomuna Teofrasto, discepolo di Aristotele nell’Antica Grecia, Giovenale, poeta latino nato 2000 anni fa e Re Carlo III di Borbone? Tutti andavano matti, letteralmente matti, per il tartufo! Fra i tre però solo il sovrano borbonico si è certi che abbia assaggiato (ed anche apprezzato) il Tartufo Nero di Bagnoli Irpino!
Se oggi il Nero di Bagnoli è un’istituzione culinaria, è nel 1700 che la sua fama esplode, grazie all’interessamento di illustri personaggi dell’epoca. Carlo Vittadini, importante naturalista, nel classificare i tartufi lo denomina Tuber Mesentericum, fornendogli un’identità che da quel momento lo rende un prodotto unico. Ulteriore fama il Tartufo di Bagnoli la ottiene grazie al cuoco e letterato napoletano Ippolito Cavalcanti, che lo usa sovente nei suoi libri di ricette. E infine Carlo III, che lo pretende ad ogni tavolata regale. Con l’avvento dell’Unità d’Italia, tuttavia, per il Tuber Mesentericum si apre un periodo buio. Nel tentativo di favorire la diffusione e l’utilizzo di tartufi provenienti da altre parti d’Italia, il Nero di Bagnoli venne bollato come “tartufo pezzente“, finendo presto nel dimenticatoio.
Col tempo però il tartufo ricavato nella ristretta area dei Picentini è ritornato ai fasti che gli competono: prima il riconoscimento regionale come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT), poi l’utilizzo costante da parte di un numero sempre crescente di chef. È recente infine l’inserimento tra i Percorsi Golosi 2023, il progetto che ha tracciato le 30 tappe e i relativi eventi associati al tartufo in Italia.
Nonostante il suo nome sia legato al paesino patria anche del pecorino bagnolese, dell’uscieddu e del Lago Laceno, il tuber mesentericum nasce in un areale più ampio. È possibile cavare questo tartufo anche negli adiacenti comuni di Montella e Nusco. In questo triangolo baciato da madre natura, tra tartufaie libere o controllate, ogni anno il mese di ottobre si trasforma in un profluvio di eventi, ricette, esperienze di ricerca che culminano nella Mostra Mercato che ogni anno travolge il paese di Bagnoli Irpino negli ultimi due weekend di Ottobre. Pur non trattandosi di un prodotto esclusivo della provincia di Avellino (una piccola produzione la si trova anche nelle province limitrofe), quello che sorprende del Nero di Bagnoli è l’incredibile prolificità nei boschi irpini: prodotto raro per eccellenza, qui cresce in maniera molto più copiosa che in qualsiasi altro posto.
Ma che cos’è un tartufo e quali caratteristiche ha il Nero di Bagnoli?
Il tartufo è un fungo ipogeo (vale a dire che si sviluppa sotto terra), spontaneo e che nasce in simbiosi con alcune specie arboree. Il Nero di Bagnoli in particolare si forma grazie alla simbiosi con nocciolo spontaneo, pino nero, pioppo, tiglio, quercia e carpino, ma soprattutto faggio. Il segreto sta nella natura del suolo, argilloso, con pH acido o sub-neutro, senza dimenticare l’altitudine. Laddove infatti si conclude la fascia pedemontana caratterizzata dai castagneti (fino agli 800 metri di altitudine), comincia quella appannaggio delle faggete (dagli 8-900 metri slm fino ai 1500 delle vette più alte), il vero regno del Tuber Mesentericum. Le tartufaie della zona sono un habitat ideale, in cui le migliori condizioni si verificano nel periodo autunno-inverno, soprattutto dopo grandi piogge o nevicate.
In realtà però i tartufi che assaggiamo in autunno sono frutto di un processo che parte qualche mese prima. Le abbondanti piogge estive forniscono difatti il giusto nutrimento per la nascita dei cosiddetti “fioroni” (un termine che ricorda i fichi di San Mango sul Calore!). Si tratta dei primi esemplari di tartufo, quelli che fungono da apripista per le sporate che porteranno a quelli disponibili nel periodo autunno-invernale. Il tartufo Nero di Bagnoli è dunque disponibile tutto l’anno, tuttavia la raccolta può avvenire, nel rispetto delle leggi vigenti, soltanto dal 1 ottobre al 31 gennaio. Così come rigide regole sono introdotte anche in merito alla modalità di raccolta: per la ricerca è obbligatoria la presenza di un cane (lo Spaniel e il Lagotto sono le razze più esperte), che lo individua, prima che il frutto venga raccolto rigorosamente a mano.
La conservazione del tartufo deve avvenire avvolgendolo per alcuni giorni (fino a due settimane) in un panno di stoffa o carta assorbente, mentre la pulizia avviene solo successivamente, rimuovendo la terra residua (che intanto si è asciugata) attraverso l’uso di uno spazzolino.
Come riconoscere il Tartufo Nero di Bagnoli Irpino? La forma è spesso irregolare con dimensioni variabili. La scorza è nera, con verruche poco rilevate, mentre la polpa, detta gleba, ha venature color bianco-grigiastro, tendenti talvolta all’ocra. Inconfondibile, croce e delizia, è l’aroma intenso che sprigiona al naso. Il sapore è gradevole e penetrante, molto peculiare. Una caratteristica unica di questo geotipo di tartufo è il fatto che anche di fronte a cotture prolungate il sapore caratteristico rimane pressoché invariato.
Fino a pochi anni fa lo si acquistava esclusivamente fresco, da conservare in casa per le proprie preparazioni gourmet. Poi l’industria conserviera ha trasformato questo prodotto in modo da averlo a disposizione tutto l’anno. Oggi lo si trova in commercio sotto forma di olio aromatizzato, paste tartufate, lamelle sott’olio, come elemento principe per l’affinamento di alcuni formaggi, addirittura alla base di apprezzati liquori.
Numerose infine le ricette che lo vedono protagonista. Affettato sottilmente è un must sull’uovo al tegamino, sui tagliolini e le altre paste fresche in genere (provatelo sui ravioli di ricotta bagnolese!). Grattugiato è invece un apprezzato accompagnamento per la ricotta di pecora locale, per gli spaghetti aglio e olio, nelle frittate e perfino sulla pizza. Anche se io in assoluto lo preferisco su una bella fetta di pane con caciocavallo impiccato…
A Bagnoli Irpino è alla base della cosiddetta insalata alla bagnolese, piatto tipico delle feste natalizie. Per chi ama il tartufo bagnolese il mio consiglio è di assaggiare almeno una volta nella vita il sacco del brigante, una ricetta proposta dalla ristorazione locale. Si tratta di un involtino, formato da un primo strato di carne, seguito da uno di tartufo a lamelle e infine da caciocavallo grattugiato, chiudendo l’estremità superiore con un’altra fetta di carne. Il sacco si forma quando un grosso spiedo di legno sigilla il tutto. Questa millefoglie bagnolese viene cotta ai ferri a fuoco lento, finché la carne non è cotta all’esterno e, di conseguenza, il ripieno si scioglie amalgamandosi. Va servito rigorosamente insieme a due fette di pane locale che torneranno utili per la doverosa scarpetta finale. Insomma, una summa del giacimento gastronomico bagnolese in un solo piatto.
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