Nel leggere alcune lettere di Vittorio Imbriani, inviate al suo collega Saro Cucinotta il 15 luglio 1866, ho potuto cogliere notizie importanti riguardanti la fucilazione di quattordici preti sanfedisti nel comune di San Giovanni Rotondo nel lontano 1860. Credo sappiate chi sia stato a suo tempo Vittorio Imbriani, e quali rapporti abbia avuto con il nostro concittadino Michele Lenzi nella seconda metà dell’ Ottocento, avendo parlato di lui in un articolo pubblicato da palazzotenta39 una decina di anni fa.
Non ho mai creduto che il comando del plotone di esecuzione capitale dei 14 preti sanfedisti fucilati nel Comune di San Giovanni Rotondo fosse stato assegnato a Michele Lenzi, per il semplice fatto riconducibile alla struttura mentale e culturale dell’artista che ben conosciamo. Lui, con i suoi soggetti pittorici strappalacrime (vedi “I primi passi”, “Il bimbo ammalato” e “Grazie Gesù”) dove veleggia la poesia artistica e i sentimenti miti, gentili, casti, affettuosi dei soggetti realizzati, scaturiti dai suoi pennelli, non può essersi materializzato, nel giro di qualche cambio di luna, in un inumano ufficiale garibaldino.
Forse, Imbriani, amante delle belle donne e del buon vino, (vedi “Inno al tartufo”) pur essendo un accorto giornalista e critico d’arte di fama nazionale, avrà alzato più di tanto il gomito nel definire, nella prefata lettera, in evidente contraddizione, le diversità delle mansioni attribuite da lui al Lenzi, quali: “Sorvegliante dell’esecuzione”, “Comandate del plotone” e la certezza che“egli non avrebbe mai compiuto un fatto iniquo.”
A chi dobbiamo credere?
“Tra i condannati si trovavano preti assassini che avevano eccitato la canaglia a sterminare i liberali, che non avevano neppure tanta forza nelle ginocchia da marciare fino al luogo della fucilazione: abituati a confortare, pareva loro un assurdo di dover essere confortati. Ebbene, Michele ne prese uno sotto al braccio e fé anche da confortatore.”
L’improbabile aiuto che Michele diete quel giorno al povero prete non fu soltanto un aiuto ma, forse, un gesto misericordioso se è vero, come dice Imbriani, che: “…non può immaginarsi animo più mite, più gentile, più quasi puerilmente buono di quello del Lenzi”
Il Sindaco pro tempore di San Giovanni Rotondo, Michele Grisetti, nel dedicare una lapide alle vittime di quella strage sanguinosa cadute in un clima di incertezze e di notevole agitazione politica, le definisce martiri di libertà e non “preti assassini”:
“Qui cieco furore di plebe rinchiuse e da fautori di borbonica tirannide istigato senza cristiano consiglio in un’ora sola il 23 ottobre 1860 con miseranda strage 24 egregi uomini trucidò che la postuma cittadina riconoscenza martiri di libertà proclama e l’Italia redenta ai posteri tramanda.”
L’Imbriani, in altra occasione, riferendosi al quadro del Lenzi “I primi passi”, (che ha virtù d’incantare per ore chi lo guardi), si esprimeva come segue: “Guarda la curiosa contraddizione! Il feroce tenente che nelle guerre civili condannava, quasi nulla fosse, un quattordici persone alla fucilazione ed assisteva al supplizio barzellettando e fumando impassibilmente, nel dipingere, poi, si compiace di scene caste, gentili e piene d’affetto per la vita provinciale; sa idealizzare quella goffaggine e te ne innamora. Questo è un rivoluzionario come li amo e li voglio, che prese le armi non da avventuriero per farsi una posizione o per ismania di rovesciare e subbugliar tutto; non perché avesse in fastidio i costumi e le istituzioni della patria; anzi, trascurando gli affari propri nel determinato scopo di abbattere quel governo che ci impicciava. Raggiunto lo scopo, ottenuta l’unità, conseguita una dinastia nazionale, Lenzi, invece di fremere sterilmente è ritornato ai suoi cari pennelli, lieto di poter vagheggiare con libertà qualunque cosa gli piacesse.”
Per me, buona parte di quanto lasciato ai posteri dal critico d’arte di Pomigliano, va presa col beneficio d’inventario.
Antonio Cella
(da Fuori dalla Rete Marzo 2024, anno XVIII, n. 1)