Iniziai a sentire parlare di Corona Virus ad inizio anno, una zona della Cina con circa 60 milioni di abitanti era stata contagiata. Le notizie e le immagini televisive ci fecero conoscere il pericolo e soprattutto la durezza delle misure per fronteggiare il devastante virus: tutti chiusi in casa, tutte le attività bloccate, le strade monitorate dalle forze d’ordine.
Come però per ogni cosa che capita lontana da noi, la percezione del pericolo non era palese ma provavo dispiacere per la situazione in cui versava la popolazione colpita. Dopo qualche mese, il micidiale virus si presenta in due paesi del Nord Italia, interessando il Veneto e la Lombardia, ma i nostri governanti unitamente ai virologi e esperti in materia (tranne qualche eccezione), con leggerezza e spavalderia, dichiararono che non c’era nessuna preoccupazione o pericolo e che erano prontissimi a fronteggiare quella che definirono “una semplice influenza”.
Da lì a poco si scatena l’inferno, migliaia di contagiati, ospedali colmi e soprattutto impreparati e scoperti dei dispositivi di sicurezza personali a partire dalle mascherine! Fu così che la propagazione del virus fu immediata e i morti incominciarono a raggiungere numeri sconcertanti con scene di fila di camion militari che trasportavano le bare per la cremazione. Si iniziò a capire la pericolosità della tragedia in atto e il governo prese decisioni drastiche, tutta la nazione viene messa in Quarantena si blocca tutto o quasi e iniziò per noi cittadini una nuova dura prova: per gli irpini un’altra, dopo il terremoto del 1980.
Il Terrore del contagio, la paura per la nostra situazione in cui versano le strutture sanitarie campane: infatti inizia subito una martellante e oppressiva pressione da parte delle autorità preposte a non uscire di casa, con le forze dell’ordine a vigilare sul rispetto delle direttive emanate. Nella nostra provincia, manco a dirlo, il contagio inizia clamorosamente proprio in un ospedale (Ariano Irpino), ma fortunatamente non si espande in modo violento nei paesi della nostra provincia; da subito si evidenziano le carenze dei presidi ospedalieri, eroi medici e infermieri costretti a lavorare senza materiale di prima necessità e quindi gli operatori sanitari esposti inermi al Virus (nemmeno in Burundi).
La cosa più grave è che a oggi che sto scrivendo questo articolo, a due mesi dall’inizio della Pandemia, nell’Ospedale Civile di Avellino ci sono dei contagiati: mentre i cittadini terrorizzati vengono privati della libertà, coloro che devono assicurare la salute, invece sono più a rischio, compromettendo così lo sforzo dei tanti cittadini in Quarantena nonostante siano l’unico faro di speranza, un teatrino dell’assurdo. Ciliegina sulla torta, ad oggi non vengono effettuati i tamponi per coloro che svolgono attività lavorative quindi più esposti al contagio.
A tal proposito, ricordo, le parole del mio defunto padre Alfonso, che dopo la distruzione e le macerie del sisma del 1980 mi disse “il terremoto è una forza della natura che con la mano dell’uomo diventa devastante”, ecco il Covid19 con la mano umana (si pensa creato in laboratorio) complice della spavalderia e leggerezza iniziale, alimentato dalla inefficienza porta Terrore e Morte. Non essendoci ancora un vaccino e/o una medicina specifica, la scienza fa vari tentativi per combattere e innescare l’efficacia del Virus. Le uniche cose certe al momento è stare chiusi in casa, mantenere la distanza di almeno 1 m, l’uso della mascherina e dei guanti, il disinfettare le mani ed evitare assembramenti.
Infine mi viene spontanea una considerazione: c’era veramente bisogno di tutti questi esperti chiamati dal Governo, psicologi, scienziati, circa 450 con costi alla comunità di svariati milioni di euro che vengono tolti ai tanti cittadini in grave difficoltà economica e sociale? Io penso di no.
Quando tutto questo sarà finito (se usciamo indenni dal contagio) le uniche persone da ringraziare oltre medici e infermieri siamo solo noi stessi cittadini che siamo riusciti con le nostre azioni e comportamenti a vincere il Virus.
Carmine Marano ’60
(da Fuori dalla Rete, Maggio 2020, anno XIV, n. 2)