Tra “coccodrilli” e cliché

di Lucio Garofalo

Dopo l’improvviso ed iniziale shock emotivo che mi ha colto nel momento in cui ho appreso la triste notizia della scomparsa di Diego Armando Maradona, un fatto che ha destato un profondo cordoglio nell’ambiente del calcio, e non solo del calcio, il giorno seguente mi sono un po’ riscosso dal trauma e ho subito avvertito il bisogno urgente di stendere un articolo sulla personalità fuori dagli schemi, sulle contraddizioni e sul talento smisurato di Maradona, ma in termini differenti da quanto ho letto in questi ultimi giorni.

Per tale ragione ho dovuto ritagliarmi un po’ di tempo ed ho impiegato più giorni per riuscire a redigere un pezzo che avesse senso.

Inoltre, ho voluto imprimere un taglio differente alla mia riflessione. Dalla sera in cui si sono diffuse le prime voci sul decesso di Maradona ho letto una cifra enorme di “coccodrilli”, di post e di articoli intrisi di ipocrisia, oppure di taglio apologetico, se non agiografico, come si fa con le figure dei santi, dei martiri e degli eroi.

Interventi rivolti ad incensare, ovvero a santificare chi non è mai stato santo nella propria vita.

Articoli impregnati perlopiù di banali e dozzinali stereotipi e di pregiudizi sulle vicende esistenziali di Maradona, come i luoghi comuni sul talento sconfinato e sulle magnifiche prodezze tecniche del Pibe de Oro, sul valore simbolico da lui incarnato per la gente napoletana e per l’intera nazione argentina, che oggi piangono un “eroe”.

A dire il vero, anche il mio primo post, scritto d’impulso e di getto, ovvero in veste di tifoso (non fanatico, però) del Napoli e di Diego Maradona, è stato di quel tenore, cioè di tipo agiografico, legato a vari cliché.

Poi ho riflettuto ed ho capito che nella ressa dei tifosi “pro e contro”, urge una riflessione diversa, non banale, bensì controcorrente ed alternativa rispetto alla canea dei tanti farisei e moralisti, o degli apologeti per mera convenienza.

Ho pensato ad un articolo dal sapore critico, non verso la figura di Maradona, bensì rispetto alla strumentalizzazione politica di cui egli è stato oggetto e vittima nella vita, in primo luogo quella che è la “mafia” nel mondo del calcio.

Urge, quindi, una riflessione critica verso il sistema di potere mafioso (la FIFA e altro) che lo stesso Maradona ha contestato con coraggio. E ne ha pagato molto caro le conseguenze. A cominciare dal clan che lo ha attorniato fino alla morte, per sfruttarlo in modo cinico e vorace.

La figura popolare di Maradona ha travalicato i confini calcistici e sportivi, per tramutarsi in un fenomeno di natura e portata più vasta, che è sfociato nella sociologia e nella mitologia, oramai.

Un fatto è certo: la morte di Maradona l’ha reso immortale ed eterno, poiché ne ha perpetuato la mitologia nei secoli futuri. Un mito che era già incarnato in un essere umano concreto, vitale e pieno di vizi, difetti ed imperfezioni del carattere. Un mito che lo ha elevato a “paladino” di cause popolari e politiche rivoluzionarie, alla stregua di una sorta di novello e di redivivo “Che” Guevara, anch’egli argentino, prestato alla causa della rivoluzione cubana, come il Pibe de Oro aveva sposato la causa napoletana.

Il connubio tra la città di Napoli e Maradona era già insito nelle radici meridionali della famiglia Maradona. Il cui cognome è un tratto tipicamente italiano, ma per la precisione avrebbe origine dal paese di Boscoreale. Da qui sembra discendere il cognome della famiglia Maradona, che potrebbe essere scaturito da “Madonna”, diffuso tra Boscotrecase e Torre Annunziata.

Maradona, quindi, sembra avere degli antenati partenopei emigrati tanti lustri fa in Argentina. Le origini di Maradona sono anche umili e sottoproletarie, dal punto di vista dello status economico e sociale della sua famiglia, che era estremamente povera e viveva in una baraccopoli di Buenos Aires, Villa Fiorito, la periferia più degradata della capitale argentina.

Tra Maradona e la gente di Napoli si è subito stabilito un legame viscerale e indissolubile, direi intramontabile. Un affetto che rasenta la venerazione di massa verso un simulacro divino. E tale s’è confermata l’adorazione della gente partenopea dopo il lutto corale e popolare per la dipartita di Diego.

Ma come potevano trattenersi i tifosi napoletani di fronte alla tragica morte della loro divinità calcistica? Ma si sa che il “buon senso” non appartiene al popolo partenopeo, incline agli eccessi, esattamente come l’uomo Maradona, eccessivo in tutto, nell’estro calcistico come nei suoi vizi, nella generosità e nella iracondia, o nella irruenza, cioè in tutti gli aspetti e le manifestazioni della sua indole caratteriale, assai sanguigna, genuina e passionale, tipica delle popolazioni latine e meridionali.

Per la cronaca, chi ha paventato rischi di esplosione della pandemia, soltanto nelle prossime tre settimane vedrà se la curva dei contagi da Covid-19 si sarà impennata tra gli abitanti dell’area di Napoli in virtù degli assembramenti per rendere omaggio al “divino Maradona”.

Ma, ripeto, in simili circostanze non si poteva reclamare il buon senso ad una città che ha perso il suo idolo pagano.

Un vivo, insanabile contrasto tra luci ed ombre, tra bene e male, tra sacro e profano, è presente nella personalità e nella vita sregolata, quanto geniale, di Maradona, nel suo culto pagano e nel suo mito profano, nella sua esistenza intensa, spericolata e travagliata, nel sentimentalismo e nel fatalismo che si riverberano nella rappresentazione e nella conclusione del suo dramma esistenziale: una infausta parabola discendente che lo ha condotto ad una morte prematura.

Il tragico destino di Maradona è simile a quello di altri geni e di tante altre vite “maledette”. Penso, ad esempio, ad un artista geniale ed assoluto come Michelangelo Merisi, meglio noto come Caravaggio. Il quale ha vissuto un’esistenza a dir poco dissoluta e “maledetta”: risse, accoltellamenti, duelli, omicidi, costellano la breve quanto turbolenta vicenda personale del grande pittore.

Eppure, egli viene ammirato per le sue straordinarie opere d’arte, i suoi capolavori pittorici. Di Caravaggio non ricordiamo i suoi misfatti, ovvero le sue azioni orrende e delittuose. Anzi.

Il parallelismo con la personalità del Caravaggio (o di altre figure “geniali e maledette” della letteratura, della poesia, delle arti figurative e della musica: da Charles Baudelaire, il primo nome illustre di un indice proibito, al “poeta maledetto” per antonomasia ed eccellenza, cioè Arthur Rimbaud, al suo “amico intimo” Paul Verlaine, da Edgar Allan Poe a Charles Bukowski, da Vincent Van Gogh ad Amedeo Modigliani, da Jim Morrison a Janis Joplin, al grande Jimi Hendrix, da Ian Curtis fino a Kurt Cobain e via discorrendo, solo per citare alcuni tra i nomi più celebri) è utile ad evidenziare come durante la propria esistenza si possano compiere azioni scellerate e deplorevoli, tuttavia i posteri ricordano i sommi geni solo (o soprattutto) per le opere elevate, per le gesta immortali e sovrumane, che sono soltanto il frutto di capacità fuori dal comune.

Ebbene, nel suo campo (il calcio, cioè uno sport alla mercé di cinici e di luridi faccendieri, di affaristi rapaci e di speculatori privi di scrupoli) Maradona è stato il talento più grande di tutti, un genio che non si può mai discutere, ma solo ammirare.

Per cui bisogna saper discernere, se possibile, l’etica dall’estetica, l’uomo dal genio, le azioni eventualmente commesse nella propria vita privata, pur detestabili ed esecrabili sul piano morale, dalle opere straordinarie, che sono il risultato più prezioso, ineffabile, incommensurabile, di un ingegno quasi sovrumano e di un talento smisurato nel proprio ambito espressivo, che si tramutano in gesta eterne e immortali.

In tale prospettiva ho azzardato una sorta di confronto e di parallelismo storico con un altro personaggio della storia, altrettanto “dannato”, reprobo e “maledetto”, ossia il Caravaggio. Un animo inquieto ed un uomo irrequieto, che ha commesso azioni malvagie ed empie nella propria vita. Tuttavia, ancor oggi sa deliziare ed appagare con le sue opere geniali ed i suoi quadri sublimi e mirabili, qualsiasi persona che si avvicini al suo estro creativo, pur non essendo necessariamente un critico d’arte.

Lucio Garofalo


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