Un plasmatore d’argilla approdato in Lituania

Ricordi, sensazioni ed emozioni di Dino Vincenzo Patroni in una repubblica baltica

Il viaggio da Francoforte a Vilnius fu di breve durata. Dal finestrino dell’aereo notavo sconfinati e verdi paesaggi ma senza montagne né colline. Il cielo limpido, azzurro illuminava corsi d’acqua provenienti da innumerevoli sorgenti. Dall’alto vedevo stagni e laghi in tante forme sfrangiate e frastagliate; simile ricchezza di acqua forse l’avevo vista solo diciotto anni prima all’interno del Venezuela. I paesaggi della Lituania sono quindi simili a quelli della Svizzera per il verde intenso ma privi di monti e sono perciò solo pianeggianti.

La saletta dell’aeroporto di Vilnius era rimasta in stile Decò, con le pareti pitturate di color verde prato chiaro. Al centro del soffitto bianco, caratterizzato da cariatidi modellate in stucco, era posto un enorme lampadario di cristallo. L’aria piuttosto afosa all’interno era rinfrescata da due grandi ventilatori elettrici le cui eliche erano cesellate in ottone lucido.

Ad attendermi era venuta Jolanta Lebednykiené accompagnata dal rappresentante della Stiklo Fabrikas di nome Rimantas Reciunas. La bella ed affascinante storica dell’arte, Direttrice della Dailés Galerija di Panevezys, vestiva con molta eleganza ed aveva un portamento di classe. Rivolta verso i passeggeri provenienti da Ovest e guardando verso l’unico varco obbligato dal quale sarei passato, dopo il controllo del mio passaporto, esibiva tra le mani un cartoncino chiaro su cui lessi il mio nome; mi avvicinai, salutai cordialmente e mi presentai. Dopo i convenevoli uscimmo all’aperto dove ci aspettava un giovane di origine tartara ed autista della fabbrica di vetro e ceramica di Panevezys.

Il piccolo autobus si avviò verso il centro di Vilnius. Percorse strade alberate, pulite, spaziose e niente affatto rumorose. Notai che i cittadini camminavano tranquillamente e dignitosamente. Molte giovani donne, alcune davvero belle, nelle loro mani reggevano mazzi di fiori freschi. I finestrini dell’autoveicolo erano semi aperti e nell’abitacolo penetrava un’aria odorosa e pulita, anche se io non so perché, l’avvertivo diversa da quella dei paesi dell’Europa Occidentale. Ero curioso ed interessato per tutto quanto constatavo, minuto su minuto, particolare dietro particolare della città bagnata dai fiumi Vilna e Neris.

Attraversando i lunghi ponti fluviali dell’Atene lituana, notai che su di essi erano installate enfatiche statue di bronzo scuro eseguite negli Anni Venti-Trenta da scultori accademici allineati alla retorica del trascorso regime sovietico. Inneggiavano con palese pomposità il lavoro dell’operaio nelle fabbriche o quello, pur pesante ma meno alienante, dei contadini.

Poco lontano, osservavo guglie a forma di cipolla poste su campanili affiancati a splendide chiese con facciate in stile tardo barocco o in stile neoclassico e pitturate all’esterno di bianco e giallo cromo, recanti sulle cime delle guglie croci di ottone dorato. In particolar modo, fui colpito da una chiesa invece in stile gotico dalle eleganti proporzioni e tutta in mattoni di granito ma con il tetto invece caratterizzato da tegole in terracotta rossa. Jolanta gentilmente mi spiegò un po’ con gesti e in parte in lingua inglese che quella era la Chiesa di S. Onas (S. Anna), la perla dell’antica Vilna (oggi Vilnius). Poi, con lo sguardo orgoglioso, aggiunse che Napoleone Bonaparte durante la campagna di Russia, giunto a Vilius, se ne innamorò e stava per farla smontare pezzo per pezzo dai suoi tecnici per rimontarla successivamente a Parigi ma i cannoni dell’armata zarista, sempre più vicini, lo distolsero e dovette abbandonare il prezioso bottino di guerra. Poco dopo, Jolanta commentò compiaciuta che l’Imperatore francese subì l’eclatante sconfitta presso il fiume Beresina nella vicina Bielorussia. Così la bellissima chiesa di S. Onas rimase, com’era giusto che fosse, a Vilnius.

Dopo la breve visita panoramica nella capitale lituana, con il piccolo autobus entrammo in autostrada diretti a Panevezys, città famosa per la lavorazione del vetro e per le ceramiche d’arte per esterni e per l’arredo urbano ma anche per quelle più piccole per le collezione di pezzi d’autore originali e prodotti, ogni anno, da artisti stranieri invitati  nei relativi ed annuali simposi della scultura ceramica di grandi dimensioni svoltisi a Panevezys.

L’autostrada, per la quale in Lituania non si paga pedaggio, era ben asfaltata, larga e dritta con due corsie di marcia, doppio senso di circolazione, e tra una carreggiata e l’altra, ampi spazi divisori ottenuti con verdi prati abbelliti da alberi di betulle, patrimonio vegetativo nazionale. Non mancano aree per soste di emergenza o per relax, però rarissimi sono i motels e le aree di servizi. Seppi poi da Vitalija, l’interprete messami a disposizione dalla Biblioteca comunale della città, che i fornitori di benzina sono situati nei villaggi adiacenti l’autostrada. Per i rifornimenti, quindi, si deve prima uscire dall’autostrada e poi rientrare. In compenso, il traffico non è intenso.

Di tanto in tanto vedevo passare autotreni stranieri provenienti dalla Germania, Austria, Polonia e Svezia diretti in Lettonia ed Estonia. L’aria, in quella giornata di fine giugno del 1994, era pulita ed il paesaggio tutto intorno trasmetteva nell’animo un senso di tranquillità. Jolanta, durante il percorso di circa 150 chilometri, mi offrì biscotti caserecci e bibita fresca e dissetante che aveva portato in un contenitore con ghiaccio.  Il piccolo autobus non superava la velocità i 60/km orari ed io, in tal modo, avevo possibilità di percepire bene la splendida campagna dalle tonalità gialle, verdi, ocra o azzurre. Ogni tanto, notavo sui prati pascoli di mucche, di capre e poi tanti alberi di mele. Tra una distesa e l’altra il mio sguardo si fermava ad osservare le immense ed intense foreste. Jolanta mi riferì che quel percorso autostradale era tra i più panoramici del Baltico.

Dall’autostrada vedevo le case dei contadini che erano isolate o raggruppate in borghi. Tutte costruite in legno e pitturate color giallo senape o color celeste o in rosa mentre le finestre, piccole, avevano sempre dietro i vetri tendine ricamate come il colore delle case stesse e su tessuti di bianco lino. I tetti erano pure di legno e spioventi ma con comignoli in mattoni cotti. Durante il viaggio da Vilnius a Panevezys, appariva pure nelle campagne circostanti qualche vecchio mulino a vento, costruito con pietre e su base esagonale, ristretto in alto e con le grandi pale. Mi fu detto che quasi tutte queste storiche costruzioni, ormai non più utilizzate, stavano divenendo ristoranti economici per turisti in transito per la Lituania. Tra una campagna e l’altra, osservavo tanti stagni ma pure una infinità di corsi d’acqua ove in una natura rimasta davvero incontaminata, vivevano anatre ed uccelli acquatici di ogni specie; per la prima volta nella mia vita udii e vidi il battito ritmico delle cicogne danzanti. Arrivammo a Panevezys  e ci fermammo di fronte ad una piazza alberata e ben tenuta, ricca di aiuole fiorite. A destra, vi era l’hotel Nevezis, il più grande ed importante della città: 14 piani, circa 1.200 camere, lavanderia, un lussuoso ristorante al secondo piano, un bar in stile sovietico arricchito da drappi, mentre i tavoli erano ricoperti da tovaglie di color rosso scuro. In questo albergo ho pernottato circa 40 giorni, il periodo della mia permanenza di artista ceramista in Lituania.

A sinistra della piazza, una volta intitolata a Lenin dove su un piedistallo era stato posto un imponente busto celebrativo del capo della “Rivoluzione di ottobre”, oggi c’è invece una spaziosa aiuola adorna di fiori variopinti, simbolo di speranza e di avvenire per le generazioni future. Tutto il piazzale, luogo d’incontro dei cittadini, ospita stormi di piccoli corvi, tipici nelle repubbliche baltiche. Essi saltellano o chioccolano simpaticamente attorno ai passanti e i bambini ogni giorno portano loro briciole di pane. Non lontano, di fronte all’hotel Nevezis, vi è il grande teatro “Dramos” dall’architettura moderna e razionale, dal cui terrazzo sventola perennemente, perché possa essere vista da tutti, la bandiera nazionale simbolo della libertà riscattata.

In serata, Jolanta e il signor Reciunas fecero gli onori di casa ed io e gli altri artisti invitati, provenienti dall’Irlanda, dalla Svizzera, dall’Austria, dalla Germania e Lettonia, ci recammo in un tipico ristorante dove in nostro onore, fu offerta una cena a base di pesce, vari contorni e tante insalate condite in modo particolare e degustate a lume di candela. In quell’occasione noi artisti stranieri conoscemmo i rispettivi interpreti che pure cenarono con noi, così cominciammo tutti a colloquiare e quindi a conoscerci. La serata fu molto piacevole e rallegrata perfino da uno champagne russo. La concludemmo con una passeggiata attorno ad un laghetto formato dal fiume Nevezis, sulle cui sponde, su verdi prati, erano poste statue di bagnanti, e una di Narciso che si specchia nell’acqua, eseguite in bronzo; tutti noi però ci soffermammo su un dorso muliebre, opera molto ben modellata dallo scultore lituano Smilingis. L’indomani, per ognuno di noi scultori ceramisti stranieri, sarebbe stato il grande giorno: l’apertura cioè del VI Simposium Internazionale d’Arte Ceramica per cui rientrammo ben presto in albergo per riposare.

Nella Sala delle Cerimonie della Stiklo Fabrikas fui tra i primi a prendere la parola nella veste di artista rappresentante la Repubblica Italiana. Rivolto ai giornalisti, ai fotografi e al pubblico, dichiarai che mi sentivo onorato di essere stato prescelto tra altri artisti del mio paese in seguito all’originalità riconosciuta delle mie opere ed ero felice di partecipare a questo convegno internazionale. Ringraziavo perciò le autorità lituane per tutto questo ed ero contento di essere lì nel nome dell’arte, che è aggregazione universale tra uomini di nazioni diverse e che ha il nobile merito di unire i popoli rendendoli amici. Promisi di impegnarmi per lasciare in Lituania un pezzo originale realizzato nella loro città, che rappresentasse la storia dell’Italia del Sud da cui provenivo e da destinarsi per una collocazione perenne per la Galleria nazionale. Infine, resi il saluto dell’Italia al rappresentante del Ministero della Cultura, al Sindaco di Panevezys, agli organizzatori della manifestazione e agli altri artisti invitati nonché a tutti i cittadini presenti tra cui gli stessi giornalisti.

A conclusione dell’apertura del Simposio, ad ogni scultore ceramista straniero, venne donata da una giovinetta in costume tipico una lunga rosa rossa. Questa è una usanza che rispecchia il carattere del popolo lituano sensibile, spontaneo, semplice ed ospitale, dignitoso ed aperto verso le problematiche dell’arte contemporanea.

Il giorno dopo iniziammo a plasmare ognuno la propria scultura a tema libero con un’argilla chamottatta che, quando cruda, si presenta di colore grigio chiarissimo; essa è molto plastica e proviene dall’Ucraina. La cottura perfetta ha bisogno di 1380 gradi. Una volta giunta in fabbrica, questa creta di qualità eccellente, viene trattata dagli operai per la lavorazione delle ceramiche. Noi artisti fummo sistemati in un padiglione della Panevezyo Stiklo Fabrikas distante alcuni chilometri dalla città lituana, ma raggiungibile con l’autobus.

La luce del giorno illuminava molto bene il laboratorio dove operavo perché penetrava da alti e ampi finestroni lasciati socchiusi tutto il giorno sia per il considerevole calore proveniente dai vicini forni a gas accesi quasi sempre, sia per il caldo eccessivo del mese di luglio 1994. Negli altri edifici attiguo a quello per la lavorazione ceramica, si producevano invece vetri lavorati finemente che oltre ad essere smistati per tutta la nazione, venivano esportati nelle altre repubbliche baltiche, in Russia e in alcuni paesi dell’Europa Occidentale tra cui la stessa Italia poiché il prezzo d’acquisto era molto concorrenziale.

Eseguii così il mio “grande castello arabo” adoperando le antiche tecniche degli artisti mediterranei ed a noi pervenuti dagli Etruschi, Egizi e Greci. Infatti, saldai con la barbottina le lastre in creta, precedentemente trattata, battuta ed amalgamata. Poi pressai le forme modellate, saldandole l’una con l’altra, nella fase cuoio, finchè divennero un unico grande corpo plastico modellato su un carrello  per forno ceramico.

I colleghi lituani e anche gli altri stranieri spesso venivano a trovarmi, incuriositi da questo tipo di lavorazione. Infatti, contrariamente a me, questi ceramisti modellavano con la tecnica del “colombino” oppure con quella di “foggiatura aggiuntiva”, che consiste in una esecuzione ed un essiccamento più rapido, soprattutto quando le forme scultoree si eseguono a mano libera e senza l’uso del tornio.

Ricordo con piacere che ogni giorno una ragazzina, alta e con una lunga treccia bionda e due grandi occhi azzurri, la più giovane apprendista ceramista della scuola di Panevezys, si fermava per molto tempo ad osservare l’esecuzione dl mio arduo lavoro. Il suo sguardo esprimeva gioia e stupore e vedendo crescere, giorno dopo giorno, il mio castello arabo, (lungo m. 1,10, alto cm. 60 circa e profondo cm. 50 circa), il quale prendeva sempre più consistenza, penso che lo vedesse come un oggetto magico, come una fiaba che si stava realizzando. Ricordo che questa ragazzina rimaneva di fronte a me, silenziosa e timida seguendo però attentamente il movimento delle mie mani per capire forse la tecnica usata. Poi, sorridendo felice prima di rientrare al suo posto, accennava con la mano un saluto ritornando alle sue esercitazioni plastiche e/o decorative. Era un’allieva di Augis (Eugenius Cibinskas) che oggi è uno dei più famosi ceramisti lituani e divenuto mio amico, nonostante parlassimo idiomi diversi.

Infine, ricordo pure che, mentre modellavo, ero solito ascoltare da una radio installata con alto parlante nel laboratorio della Stijlo Fabrikas di Panevezys, musiche e canti tipici lituani, dolci ma malinconici. Un giorno, durante il notiziario nazionale in quella lingua che non capivo, fui felicemente sorpreso nell’udire: “Sculptorius italas Vincentas Dinas Patroni….”! Parlavano dell’importante simposio di Panevezys ed in quel momento della trasmissione in particolare, della mia scultura e pure di me.

Sono trascorsi circa 28 anni da allora, ma ancora è vivo e forte in me il ricordo di quella stupenda esperienza, dove confrontandomi con nuove idee di altri bravi artisti invitati,  ho sperato di aver lasciato una mia bell’opera lavorata con argilla particolare per qualità, lavorabilità e durabilità; imparai nuove tecniche dagli altri ceramisti, arricchendo il mio bagaglio culturale; conobbi brave persone, autentici artisti; tra noi si creò empatia, entrando nelle loro case e mangiando tutti insieme alla stessa tavola. Soprattutto lavorai con loro unito dall’entusiasmo di manipolare quella creta. Scambiammo liberamente le nostre idee, raccontandoci l’uno all’altro e confrontando le nostre precedenti esperienze   attraverso la proiezione di diapositive rappresentanti i nostri lavori migliori.

Infine, a conclusione del Simposium esponemmo tutti i nostri lavori, in quella indimenticabile città, situata al centro settentrionale della piccola repubblica baltica e a pochi chilometri dalla Lettonia e dalla sua capitale Riga, dove una domenica pure ci recammo.

Spero un giorno di ritornare, per ritrovare forse qualche amico lasciato, per le intuizioni avute in quel felice soggiorno… per quell’argilla che ricordo di aver amato plasmandola e forse anche per gli azzurri e ingenui ma profondi, teneri e penetranti occhi di quella ragazzina di Panevezys di cui non ho mai conosciuto il nome ma che veniva tutti i giorni a trovarmi.

Dino Vincenzo Patroni

(da Fuori dalla Rete, Ottobre 2022, anno XVI, n. 4)

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