Arrivederci Ugo, l’insegnante che ci ha accompagnato nel volo della vita e della conoscenza

di Damiano Santoriello

La notizia è giunta proprio durante la Giornata Internazionale della Felicità, mentre ero immerso nella correzione di alcuni compiti, qui a centinaia di chilometri di distanza dal Liceo in cui l’ho incontrato, da cui ho imparato ed in cui sono cresciuto. Sono certo che molti conoscessero la straordinaria persona che era Ugo Tesone: un padre, un compagno, un pioniere della pallacanestro lionese e un ex cestista della Scandone Avellino negli anni ’80. Per noi del Liceo Scientifico “Rinaldo d’Aquino” di Montella, era il professore di filosofia e storia.

Ricordo vividamente il primo giorno in cui lo vidi. Indossava una felpa grigio chiaro un po’ madida di sudore, alto e imponente, mentre tirava a canestro, perché gli piaceva farlo durante le pause, tra una lezione e l’altra. Ricordo l’odore di gomma di quella palla arancione, il suo rumore che rimbalza e riecheggia nella palestra. Non l’avevamo ancora avuto come professore, dato che eravamo nel biennio e la filosofia sarebbe stata materia del triennio.

Conoscevamo le leggende che circolavano intorno alla sua figura: tutti lo rispettavano e temevano, perché sapevamo che con lui era vietato sbagliare. Era un insegnante preparato, riservato e autoritario, dalla voce profonda e cavernosa. Eppure, nonostante tutto, quel giorno il destino ha voluto che io fossi in palestra durante l’ora di educazione motoria e il caso ha deciso che lui sbagliasse un tiro da tre punti, facendo rimbalzare la palla dal tabellone fino a finire davanti a me, così che potessi afferrarla d’istinto. Si è avvicinato, ho restituito la palla timidamente e ha detto: «Dai, vieni a fare due tiri anche tu con me! Facciamo la campana». Io balbettante ho risposto: «Ma professore, io non sono capace, non l’ho mai fatto!». E lui mi ha replicato con delle parole che mi hanno segnato profondamente e che sono diventate il mio mantra per tutta la vita: «E tu ti arrendi ancor prima di provare? Se non ci provi, rimarrai con il rimorso. In fondo, cosa saranno mai due tiri?».

Ero in piena adolescenza e nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere, nessuno mi aveva mai detto tu puoi provare, tu puoi farcela. Quel giorno ho conosciuto non solo il professore Ugo Tesone, l’istituzione, ma ho conosciuto l’uomo, ho conosciuto Ugo. La persona a cui ho dedicato entrambe le tesi di laurea, un esempio di saggezza e conoscenza.

Gli aneddoti si perdono nel corso dei cinque anni di liceo e oltre: il primo giorno in cui è entrato in classe e si è presentato in un modo che pochi dimenticheranno, attraverso la linea della soglia di attenzione. Le sue lezioni didattiche e di vita, le sue verifiche scritte e orali, che solo a pensarci facevano venire il mal di pancia per la loro difficoltà. Non potrò mai dimenticare l’euforia e le lacrime di felicità quando ho superato l’esame universitario di Filosofia del diritto con 30 e lode, grazie alle sue interrogazioni e lezioni che avevo seguito con entusiasmo.

Tutti lo ammiravamo, ma per me era qualcosa di più, era davvero una guida che mi ha accompagnato verso le mie attuali passioni e ambizioni. Sento ancora risuonare nella mia testa e nel mio cuore il suo “E’ vero, o no?”, o durante le verifiche scritte quando per non rispondere ad eventuali aiuti che gli chiedevamo, rispondeva con un: da adesso in poi avrò una memoria a breve termine, già non mi ricordo più nulla, nemmeno chi sono. Buon lavoro!

Gli avevamo dato anche un soprannome, il Demiugo, la fusione del suo nome con il demiurgo di Platone, colui che mette ordine nel caos. La barba che incorniciava i suoi lineamenti decisi lo faceva sembrare un autentico filosofo greco agli occhi di molti di noi. Le gite, il progetto Comenius in Lituania dove ho scoperto il suo lato scherzoso, il suo talento musicale con la chitarra e il test della personalità HTTP a cui ci ha sottoposto, risultando con una personalità attivista. Ci salutava con un fragoroso Buonanotte suocere! durante i viaggi di istruzione, quando avevamo la camera comunicante con la sua. Le discussioni, le confessioni sui propri sogni, gli amori corrisposti e non, con consigli annessi.

Ricordo quando mi ha raccomandato in quinto anno di tenere d’occhio le classi prime, perché si fidava del nostro e del mio giudizio. Quando mi ha fatto tenere una lezione su Nietzsche all’intera classe, perché il giorno prima, ormai all’ultimo anno, aveva discusso con mio padre dicendogli che avevo un dono e una passione per la filosofia e la storia. Persino durante l’Università è continuato ad essere, almeno per me, un punto di riferimento. Pochi sanno che era una persona un po’ scaramantica e per questo mi aveva regalato per la laurea un portachiavi con un cornetto napoletano portafortuna, che custodisco ancora gelosamente. Le ultime conversazioni con lui risalgono proprio al momento in cui gli ho detto che avevo finalmente intrapreso la strada dell’insegnamento e ho condiviso con lui le foto di alcuni compiti andati male a dei miei studenti in cui gli dicevo: «Prof credo che oggi io la possa capire un po’ di più». Lui era come il personaggio interpretato da Robin Williams, il Professore John Keating. Un ispiratore e un traghettatore di cuori, capace di dare a chi sapeva coglierlo lo slancio vitale tanto decantato dal filosofo Henri Bergson.

Custodiremo per sempre con noi le sue lezioni e le sue parole, tramandandole a nostra volta. Perché se io sono quello che sono e tanti suoi studenti sono quello che sono, è anche e soprattutto grazie a lui. Dalla passione per la didattica alla politica, perché come una volta mi disse parlando di Giordano Bruno: «Se hai una passione, Damiano, devi difenderla fino alla fine e coltivarla». L’ultima volta abbiamo discusso su una canzone, davanti a un’officina meccanica a Bagnoli Irpino. Il brano era Nessuno vuole essere Robin di Cesare Cremonini, precisamente ci siamo soffermati sulla parte che recita intanto i giorni che passano accanto li vedi partire come treni che non hanno i binari, ma ali di carta e quanti inutili scemi per strada o su Facebook che si credono geni, ma parlano a caso mentre noi ci lasciamo di notte, piangiamo e poi dormiamo coi cani.

Oggi ci sentiamo tutti più soli, ma la sua figura e la sua persona continueranno a vivere attraverso di noi e le nostre azioni, nei nostri cuori, soprattutto per coloro che hanno intrapreso la strada dell’insegnamento, seguendo il suo esempio. Chissà cosa direbbe vedendoci oggi insegnare, in parte come faceva lui.

Forse avrebbe detto, sorridendoci, un perentorio ma orgoglioso buon lavoro! .

Damiano Santoriello

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