Uno degli aspetti più gravidi di conseguenze per il futuro della crisi economica del 2008, nella quale noi italiani siamo ancora impelagati, è stato, per il nostro paese, quello della ulteriore diminuzione delle nascite. Nel 2018 sono nati, in Italia, 439 mila bambini; nel 2008 furono 576 mila: una riduzione del 25% circa. In sostanza, abbiamo 67 nascite ogni 100 morti. Un vero e proprio disastro demografico.
Viene da ridere pensando che l’ex ministro per la famiglia Lorenzo Fontana, leghista, attribuiva alla legalizzazione dell’aborto questa diminuzione. Viene da ridere, ma fa anche riflettere, perché dimostra quanto la nostra classe politica sia lontana non solo dalla gente, ma anche dalla vita quotidiana delle persone.
Da un lato, infatti, le statistiche dicono che il paese europeo dove, in percentuale, avvengono più aborti è la Svezia. Ma le stesse statistiche dicono anche che proprio la Svezia è il paese europeo che ha raggiunto, negli ultimi anni, l’indice di natalità più alto. Il problema non è dunque l’aborto, ma il modo nel quale uno Stato affronta il proprio calo demografico.
In Svezia per ogni nuovo nato lo Stato dà alla famiglia, indipendentemente dal reddito, circa 1.500 euro all’anno per sedici anni. In Italia, nonostante qualche sforzo maggiore fatto per il 2020, 960 euro per un solo anno e solo alle famiglie con reddito basso.
In Svezia il congedo dal lavoro per i genitori dura quasi 500 giorni, a stipendio quasi intero. In Italia dura 300 giorni e lo stipendio si può ridurre fino al 30%.
In Svezia l’asilo nido costa in media al massimo il 4% dello stipendio. In Italia gli asili nido (che sono un grande indicatore di civiltà e sviluppo), quando esistono, sono carissimi.
In sostanza, mentre la Svezia spende il 3% del proprio PIL per incentivi alla natalità e ai nuclei familiari, l’Italia spende solo l’1,8%. Questo è il vero problema che, in periodi di crisi economica drammatica, quando il lavoro è un miraggio e, se c’è, spesso è precario, trasforma i figli in un lusso che non ci si può permettere o in scelte che si è costretti a non fare.
Tutto ciò porterà l’Italia ad essere, nel 2050, una nazione di soli 50 milioni di abitanti e con una maggioranza relativa molto alta di persone anziane. Chi pagherà le pensioni di queste persone? E’ un mistero che la nostra classe politica fa finta, ormai da decenni, di non vedere.
Per rispondere a quella domanda, inoltre, io credo che, anche ragionando col solo utilizzo del cinismo e lasciando da parte la solidarietà (questa sconosciuta…), bisognerebbe rivedere radicalmente le politiche sull’immigrazione e sull’accoglienza. Ma questa è un’altra storia, che merita più spazio e più tempo…
Luciano Arciuolo
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