Bagnolesi straordinari raccontati dalla Treccani: Francesco Saverio De Rogatis
La toponomastica di Bagnoli dedica ampio spazio a figure che nei secoli scorsi hanno dato lustro al nostro paese. Spesso però di questi personaggi conosciamo a malapena il nome apposto sulla targa semplicemente perché è quella della strada in cui abitiamo. Chi erano e cosa hanno fatto per meritarsi una targa con il proprio nome?
Un aiuto ci arriva dalla più famosa enciclopedia italiana, la Treccani che riporta le biografie degli uomini che maggiormente si sono distinti nelle scienze, lettere ed arti, nel corso dei secoli.
Il nostro viaggio parte da Francesco Saverio De Rogatis, a cui Bagnoli ha dedicato una delle strade principali del paese. Nei prossimi mesi andremo alla riscoperta dei “figli migliori” di Bagnoli che con la loro azione si sono distinti in ogni professione portando in alto il nome del nostro piccolo paese.
Francesco Saverio De Rogatis
Nacque il 9 gennaio 1745, da Tommaso e Giovanna Bonelli, a Bagnoli (Bagnoli Irpino in prov. di Avellino), dove compì i primi studi di grammatica nelle scuole dei domenicani. Per gli studi superiori si trasferì prima a Napoli e, dopo due anni, a Roma, presso uno zio paterno, dove frequentò i corsi di latino, greco e filosofia al collegio Calasanzio degli scolopi e in seguito di matematica e fisica al Collegio Romano. Fu ammesso all’Accademia degli Infecondi grazie all’amico poeta Domenico Petrosellini e fece parte dell’Accademia dell’Arcadia con il nome di Argisto Genesio. Rientrato a Napoli nel 1764, continuò lo studio del greco con Crescenzio Morelli ed intraprese quello della giurisprudenza con G. Pasquale Cirillo e G. Maffei, per dare inizio in seguito all’attività forense sotto la guida di Domenico Antonio Avena e Saverio Mattei.
Numerosi furono gli incarichi ricoperti dal De Rogatis: dal 1783 fu ispettore della giunta della Cassa sacra in Calabria, uditore e poi capo ruota della regia udienza; nel 1788 fu nominato procuratore fiscale della giunta suprema della Posta in Napoli. Durante il Decennio francese fu nel 1806 preside della Provincia di Catanzaro e poi dal 1808 intendente nella Calabria Ulteriore. Tornato a Napoli, nel 1809 fu nominato giudice della Gran Corte di cassazione, il nuovo supremo tribunale.
In questi anni troviamo il De Rogatis anche tra i membri della Società reale di storia ed antichità (ennesima trasformazione dell’Accademia Ercolanese fondata nel 1755 da Carlo di Borbone e allora presieduta da B. Tanucci, per lo studio dei monumenti di Ercolano e degli antichi papiri) istituita da Giuseppe Bonaparte il 17 marzo 1807, ed era ancora presente quando nel 1808 questa si trasformò in Società di Napoli.
Tornato il Regno sotto Ferdinando IV (poi I), fu scelto come consigliere della Suprema Corte di giustizia, tribunale che sostituì quello di cassazione. Dopo la concessione della costituzione spagnola nel luglio 1820, il D. fu eletto tra i deputati supplenti per la provincia di Principato Ulteriore nel Parlamento delle Due Sicilie ma la sua elezione venne annullata perché contemporaneamente era consigliere della Suprema Corte di giustizia, carica dalla quale fu esonerato dopo qualche tempo a causa dell’età avanzata. Fu nominato infine da Francesco 1 vicepresidente della Suprema Corte di giustizia.
Partecipò attivamente alla vita letteraria napoletana della seconda metà del Settecento, tra l’altro prendendo parte, con il Mattei, il Serio, il Campolongo, il Rezzonico, il Fantoni, lo Zacchiroli e altri, alle riunioni nella villa di Posillipo di Antonio De Gennaro, duca di Belforte, arcade – per la morte del quale anche il De Rogatis scrisse un’ode commemorativa – in cui si improvvisavano e si leggevano versi.
Il suo inserimento nell’ambiente letterario non solo napoletano è d’altra parte provato dalla corrispondenza che intratteneva con Melchiorre Cesarotti. In una lettera, datata Napoli 15 ott. 1801 (conservata presso la Bibl. civica di Bassano del Grappa, con la segnatura XI.B.17), il De Rogatis sollecita un giudizio del Cesarotti – definendolo “principe del mestiere” – su una traduzione di tutte le opere di Orazio pubblicata da un suo amico, il Nobili-Savelli.
Per la sua produzione letteraria – che, sebbene non copiosa e non di grande respiro, fu tuttavia sufficiente a fargli godere di una certa notorietà presso i contemporanei – il De Rogatis può essere agevolmente inserito tra gli imitatori di Metastasio. Il melodramma in tre atti Armida abbandonata (in Raccolta di melodrammi seri scritti nel secolo XVIII, II, Milano 1822) – modellato sulla Didone abbandonata di Metastasio – musicato da N. Jommelli e rappresentato per la prima volta al S. Carlo da Anna De Amicis e Giuseppe Aprile il 30 maggio 1770, ebbe una notevole fortuna ed assicurò una certa notorietà all’autore soprattutto grazie alla musica, in un momento in cui la riforma operata da R. Calzabigi tendeva invece a subordinare la musica alla poesia e a condurre il melodramma alla dignità del dramma greco. Lo stampo metastasiano si riconosce sia nella scelta dell’argomento eroico e nel tono patetico sia nell’assicurazione del lieto fine e nella predominanza delle ariette.
La tipica tematica metastasiana del contrasto amore-dovere questa volta vede protagonista Rinaldo, trattenuto nel suo castello, insieme ai prigionieri Tancredi. Clorinda ed Erminia, dalla maga Armida, che, innamorata di lui, non esita a mettere in atto un tentativo di suicidio pur di non farlo partire. Un susseguirsi di decisioni di partenza, rinvii, addii, tentativi di liberazione di Rinaldo da parte di Ubaldo e Dano appositamente giunti al castello, conduce all’azione finale in cui Rinaldo, invano trattenuto in un bosco da Armida grazie ad un gruppo di ninfe, fuggirà insieme agli altri.
Nelle Riflessioni sul dramma intitolato Armida abbandonata – pubblicate nel tomo II di Le odi di Anacreonte e di Saffo recate in versi italiani da Francesco Saverio de’ Rogati (Colle 1783), insieme al dramma stesso, al brevissimo Pigmalione di J.-J. Rousseau tradotto in italiano e a numerose canzonette per musica – il D., sotto forma di lettera, datata Napoli 10 genn. 1784, in cui non compare il nome del destinatario, oltre ad affermare di aver pubblicato anonimo per la prima volta il dramma nella primavera del 1770, e di ripubblicarlo ora, dopo che è stato rappresentato in teatro nel 1770, nel 1771 e ancora nel 1780, si autodefinisce metastasiano, lamenta di aver dovuto scrivere il dramma in troppo poco tempo, e di essere stato costretto, dato l’argomento, a ricorrere a vari artifici per assicurare, anche se solo in parte, l’osservanza delle leggi delle unità.
Il De Rogatis fu molto apprezzato dai contemporanei soprattutto come traduttore di Anacreonte – fu definito da molti “italo Anacreonte” – e le sue traduzioni delle odi in ariette metastasiane furono in genere considerate migliori di quelle del Salvini, del Regnier o del Pagnini. Presentando la propria traduzione di alcune odi di Anacreonte, invece, Troiano Marulli – in Una nuova poetica o sia Quattro discorsi accademici … e della traduzione di Anacreonte fatta dal sig. S.D. Con altra traduzione di ventiquattro odi scelte di Anacreonte … (Napoli 1810) – opera una severa critica della traduzione di Anacreonte del De Rogatis, analizzandone vari brani per giustificare e provare i propri rilievi. Marulli osserva che il De Rogatis si è troppo preoccupato del metro e di adattare le odi alla musica, invece di rendere il senso della poesia anacreontica; trasformando a proprio piacimento il metro, ha cambiato, trasfigurato, reso più languido il testo e, infine, ha parafrasato più che tradotto.
Le osservazioni del Marulli erano in qualche modo già state anticipate dallo stesso De Rogatis che, nel Discorso preliminare intorno alla traduzione delle Odi di Anacreonte, premesso a Le odi di Anacreonte e di Saffo (Colle 1782 e ibid. 1783) – ristampato sia nella seconda edizione (Colle 1818) sia in Anacreonte Teiotradotto da varii (Parnaso straniero, VI, Venezia 1841) – afferma di essere stato spinto a tradurre le odi dopo aver letto la traduzione del Mattei e avverte di essere stato sostanzialmente fedele ai metri originali, pur nella ricerca di un’armonia che si adattasse alla musica, ma ammette di essersi a volte allontanato dall’originale per non cadere nella monotonia. I volumi sono corredati di una Vita di Anacreonte Teio e di una Vita di Saffo Lesbia quasi sicuramente scritte dal De Rogatis e, oltre al testo greco e alla traduzione a fronte, di note esplicative e critiche piuttosto elaborate, che mancano invece nell’edizione di Livorno del 1824: Le odi di Anacreonte e di Saffo recate in versi italiani … coll’aggiunta di alcune versioni dal greco del cav. Angelo Maria Ricci. Il De Rogatis morì a Napoli il 9 ag. 1827.
Il volume di Poesie varie – pubblicato postumo a Napoli nel 1842 per volontà del nipote Tommaso De Rogati – contiene, tra le rime sacre, varie traduzioni di inni liturgici, sonetti e canzonette di argomento religioso – Il trionfo della Vergine, Per s. Caterina da Siena, Per la Vergine Addolorata ecc. – sonetti, cantate, anacreontiche e odi di genere encomiastico e celebrativo – Nell’uscire dalla minore età S. M. Ferdinando IV re delle due Sicilie, A S. M. I. l’Imperatore d’Austria che si portò a vedere l’antro della Sibilla in Cuma (aveva invece pubblicato a parte l’anacreontica In occasione della festa di ballo data da S. E. il Signor Principe di Campofiorito nella sua villa di Resina la sera de’ 16agosto 1775. Per la nascita di S. A. R. il Principe ereditario delle due Sicilie, s. n. t.) – una serie di cantate di argomento classico, Arianna, L’addio di Ettore etc., la traduzione libera da Euripide: La morte di Alceste, odi indirizzate ad amici, la canzonetta A Nice, l’anacreontica Alle Muse, versioni di Teocrito e di Catullo, e infine l’ode Al ch. sig. marchese D. Francesco Mazzocchi in cui esalta le bellezze della Calabria.
Fonti e Bibliografia: S. Mattei, Saggio di poesie latine ed ital. colla dissertazione del nuovo sistema d’interpretare i tragici greci, II, Napoli 1774, p. 271; P. Napoli Signorelli, Storia critica de’ teatri antichi e moderni, VI, Napoli 1790, p. 284; C. De Nicola, Diario napoletano 1798–1825, II, Napoli 1906, pp. 271, 433; Atti del Parlamento delle Due Sicilie 1820–21, a cura di A. Alberti, Bologna 1926, I, pp. 105, 113, 142-147; II, p. 116; P. Napoli Signorelli, Vicende della coltura nelle Due Sicilie, VIII, Napoli 1811, pp. 58, 94 s.; Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli…, compilata da diversi letterati nazionali…, XIV, Napoli 1829, pp. 108 s. (la biografia del D. è di N. Morelli); S. Gatti, Elogi d’uomini ill. delle province napoletane, II, Napoli 1833, pp. 93-106; [C. A. De Rosa marchesa di Villarosa], Ritratti poetici di alcuni uomini di lettere antichi e moderni del Regno di Napoli, II, Napoli 1834, pp. 297-303; E. De Tipaldo, Biografia degli italiani IV, Venezia 1837, pp. 387 s. (la biografia del D. è di D. Vaccolini); G. Castaldi, Della regale Accademia ercolanese dalla sua fondazione sinora con un cenno biografico de’ suoi soci ordinari, Napoli 1840, pp. 43, 209-212; G. De Rogatis, Cenni biogr. degli uomini illustri di Bagnoli Irpina…, Avellino 1914, pp. 32-35; N. Cortese, Cultura e politica a Napoli dal Cinque al Settecento, Napoli 1965, pp. 284 s.; G. Natali, Il Settecento, in Storia letter. d’Italia, II, Milano 1973, pp. 75 s., 156.
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