Bagnoli fra promesse e realtà, la politica sempre più distante dal paese
La rubrica di Giovanni Nigro
C’è chi dice che i conti si fanno alla fine di tutto, che le analisi sono il senso della politica e che non è lecito guardare i voti quando si perde. Sbaglia quindi chi, nelle dirigenze, prova a mostrare un minimo di pugno fermo ammettendo errori, anche quelli non personali. Alla fine il trand nazionale è quello che ci aspettavamo tutti. Nessuno escluso.
Anche chi non è andato a votare, anche chi ha scelto “turandosi il naso” e chi invece ha mostrato fin da subito una scelta chiara e definita, come sempre senza dubbi alcuni. Ad ogni modo il popolo sceglie e questo va anche bene, fino a quando ci sarà permesso di farlo.
Ma a Bagnoli il dato è poco chiaro alle classi dirigenti, a chi mastica politica e chi invece non ha i denti per farlo. Dal 4 marzo del 2018 il primo partito è il Movimento 5 Stelle e questo la politica bagnolese ancora non l’ha capito. Non ha capito perché. Perché quando si tratta di elezioni governative, europee e regionali c’è una buona fetta di persone che vota i pentastellati, ma gli stessi non si riesce a capire come farli interagire con la politica locale, almeno tenerli in considerazione.
Eppure in questa campagna elettorale oltre all’affissione dei manifesti a Bagnoli non ci sono stati grandi dimostrazioni di appartenenza al Movimento. Stiamo parlando di 322 voti validi alla Camera dei Deputati, considerando anche il dato dell’affluenza al minimo storico, questo è un risultato grandioso. Che però richiede ulteriori analisi. A livello locale la formazione del M5s dimostra a tutti che riesce ancora a tenere banco il senso di appartenenza, anche a distanza di qualche anno e con alcuni governi non proprio consoni.
Questo patrimonio di voti, oppure questo bagaglio di idee ha dalla sua nascita una sofferenza nelle realtà locali, proprio perché le amministrative chiedono uno sforzo in più, ma non è detto che lo sforzo sia più che minimo, considerando il fatto che ci si impegna per il bene comune soprattutto laddove il rischio è maggiore, come questa volta. Questa volta la scelta a livello nazionale di correre da soli è stata azzeccata. Ma lo sarà fino in fondo? La speranza è che le energie dei militanti, delle persone che hanno visto un simbolo con le stelle ed hanno votato, possa un giorno portare il proprio impegno anche a livello locale, per non lasciare gli oneri della sconfitta ai soli partiti tradizionali od alle associazioni.
Dicevamo il dato locale, che vede al secondo posto, alla Camera, un Partito Democratico che qui, come in tutta la nazione, ha il dovere di essere ricostruito, ma non solo cambiando dirigenza, si deve capire se il maggior partito della Sinistra è in grado di traghettare le persone di sinistra verso il futuro. Oggi chi ha votato Pd, o la coalizione, lo ha fatto proprio perché non voleva votare a destra. Non voleva mischiarsi il sangue. Non riusciva a cambiare, considerando i valori della storia di ognuno.
A questo punto ha fatto una scelta, anche coraggiosa, in questo momento: rimanere fedele alla linea. Non superare la centralità, ma rigorosamente restare da questa parte. Ma non si può reggere più così, non si può ancora sperare nel calo delle preferenze degli avversari, soltanto perché effettivamente i voti che hai contato o che presupponi essere tuoi, non sono più quelli. Non si può. È una mancanza di rispetto nei confronti di chi ci crede ancora e di chi ha dato vita a questo partito. Questa sconfitta dal mio canto è un bene, in termini di lezione.
Anche se le sconfitte non sono mai belle, figuriamoci quelle che ti toccano personalmente. La lezione va imparata subito. Non a distanza di anni. Non devono passare 5 anni, ma massimo 5 minuti per analizzare il dato locale, nazionale e regionale. A me invece sembra che se qualcuno prova a dire abbiamo perso, dall’altra parte ci sarà qualcuno che dirà: “No, noi non abbiamo vinto”.
Alla fine comunicativamente non è la stessa cosa, forse dire che di non aver vinto è meno amaro e non rende l’idea. Siamo ormai abituati a ragionare sul distaccamento dalla politica e non possiamo che fare i conti con questo, ma per ricostruire ci vogliono soprattutto le donne e gli uomini, quelli che fanno i partiti e le dirigenze. Serve un lavoro di ascolto e di immedesimazione verso le classi sociali meno rappresentate che oggi guardano al M5s, ma non solo, incredibilmente, oggi guardano e strizzano l’occhio alla destra ed alla Meloni.
Questo non lo capiscono nelle stanze dei bottoni e nelle direzioni di partito. Il paese tutto va in una direzione, mentre la classe dirigente va da un’altra parte. E pensare che esiste ancora chi ha un colore ed una idea ben precisa. Menomale. Altrimenti nel marasma generale saremmo stati tutti tergicristalli della politica, tutti inutilmente portatori di voti da destra a sinistra, passando per il centro. E se proprio vogliamo essere tergicristalli, mica può piovere per sempre?
Giovanni Nigro
(da Fuori dalla Rete, Ottobre 2022, anno XVI, n. 4)
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