Senza retorica, la politica ha bisogno di uomini che sappiano sempre e completamente ricoprire una carica con onore e dedizione (l’articolo 54 della Costituzione parla “di disciplina ed onore”), nel rispetto delle leggi dello Stato, nella convinzione di essere dei servitori dei cittadini e non dei portatori di privilegi.
Forse rischiamo di essere moralisti, ma la politica non può avere doppie morali e le “pagine” della vita di ogni uomo hanno bisogno di una rigorosa coerenza. Marcel Proust ci ha insegnato che ogni persona possiede molteplici “io” (essere padre, marito, figlio, lavoratore in un settore, avere degli hobby, una vita di relazioni, politica, ecc.), ma credo che ogni nostro “io” debba necessariamente avere dei fili rossi, che si uniscono e si radunano nell’unità indissolubile della nostra esistenza.
Francesco De Sanctis era un uomo, che sapeva tenere insieme il formidabile studioso di Letteratura, il teorico del pensiero, l’uomo di azione, il politico il cittadino. E forse proprio perché aveva letto troppi libri, non poteva che tenere insieme le sue “due pagine”, la “politica” e la “culturale”, come ha ricordato in più occasioni Gerardo Bianco. Un uomo si conosce ancora di più, come ci insegna Plutarco nelle sue “Vite parallele”, dai particolari che non rientrano nella grande storia, ma che hanno a che vedere con l’aneddotica.
Un episodio che ci insegna a comprendere bene la figura di Francesco De Sanctis è narrato da Ottavio Serena, magistrato, prefetto, uomo politico pugliese, storico locale, benemerito per il suo impegno a favore della realizzazione dell’Acquedotto della sua Regione, che fu segretario particolare dell’intellettuale irpino quando quest’ultimo ricoprì la carica di Ministro della Pubblica Istruzione, a Torino, nel 1861.
Allora giovanissimo, l’altamurano Serena (nato nel 1847) era divenuto segretario particolare del De Sanctis e seguì quest’ultimo nelle fasi travagliate della nascita del primo Governo d’Italia. Come è noto, l’intellettuale irpino fu l’unico meridionale a ricoprire la carica di Ministro in quel Governo presieduto da Cavour, che stimava molto il De Sanctis e che lo scelse, perché, secondo l’aneddotica dell’epoca, era l’unico meridionale, di cui gli altri meridionali non parlassero male! Lo stesso De Sanctis stimava altamente Cavour per le sue indubbie qualità politiche e strategiche, così come era un profondo ammiratore di Giuseppe Garibaldi.
Siamo, dunque, nei giorni finali del marzo 1861. De Sanctis ha avuto il decreto di nomina e deve recarsi al palazzo del Ministero. Cavour volle accompagnare il politico irpino. Ma non si recarono in carrozza e insieme ad una parata di ufficiali e di cortigiani. Decisero di fare una passeggiata a piedi (così racconta Michele Viterbo (Peucezio), “La Puglia e il suo acquedotto”, Prefazione di Emilio Lagrotta, Laterza, Bari-Roma, 1991, p. 96). Il “buon” Cavour voleva presentare direttamente il De Sanctis ai funzionari.
Ma il Presidente del Consiglio non aveva tenuto in conto che il “tocco” fosse già suonato. Infatti, arrivati al Ministero, l’usciere di servizio, riconosciuto il Conte, si mise sugli attenti. E alla domanda se ci fosse il segretario generale, in dialetto l’usciere riferì che era andato a casa. Allora Cavour chiese se ci fosse un funzionario, e sempre sull’attenti l’usciere rispondeva allo stesso modo. Così Michele Viterbo: “L’usciere di servizio, un ex carabiniere, si mise naturalmente sull’attenti quando vide innanzi a sé Cavour, che gli domandò in dialetto se c’era il segretario generale. ‘Cellensa no; a l’è sourtì macades’, rispose l’usciere. Il Conte domandò se c’era qualcuno dei funzionari; ma l’usciere, ad ogni domanda, e sempre irrigidendosi sull’attenti, rispondeva imperturbabile:’Cellensa no; l’è sourtì macades’. Insomma, tranne lui, erano usciti tutti. ‘Bé – rispose il Conte senza scomporsi – coust-çi a l’è neuv Ministr!’. E, stretta con grande effusione la mano a De Sanctis, se ne andò come un uomo che non ha un minuto da perdere”.
Insomma, al Ministero era rimasto solo l’usciere, gli altri erano andati a pranzo. Allora Cavour, senza perdere tempo, diede una decisa stretta di mano al nuovo Ministro e si congedò, come se avesse molte cose da fare e non avesse tempo da perdere. Lo stesso fece De Sanctis, che, con semplicità, accompagnato dall’usciere, si recò nel suo ufficio per iniziare il suo nuovo “lavoro”. E probabilmente digiunò nell’attesa vana di qualche funzionario. Queste, evidentemente, sono storie che non hanno bisogno di alcun commento.
Ricapitoliamo: protagonisti sono un Presidente del Consiglio, un ex carabiniere, un giovane di certo futuro, un professore maturo. Tranne l’usciere, di cui non conosciamo il nome, ma era certamente un servitore dello Stato, tre uomini, che in modo diverso sarebbero rimasti nelle pagine della storia patria. E fecero questo in silenzio, come sempre, convinti semplicemente che il loro grande premio consistesse nel fare ciò che era giusto.
Paolo Saggese
(da Fuori dalla Rete Natale 2022, anno XVI, n. 5)
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