Covid: identificata nuova mutazione. La scoperta è dei ricercatori della Statale di Milano coordinati dal Prof. Pasquale Ferrante
Rassegna stampa
La sua modificazione potrebbe avere conseguenze sulla diffusione del virus nell’organismo umano infettato e sull’evoluzione clinica della malattia.
Novità dalla ricerca: è stata identificata una nuova mutazione del Coronavirus Sars-CoV-2. La scoperta arriva da uno studio, pubblicato su ‘Emerging Microbes & Infections’, condotto dai ricercatori dei laboratori di virologia dell’università Statale di Milano, coordinati da Pasquale Ferrante (originario di Bagnoli Irpino, ndr), Serena Delbue e Elena Pariani, in collaborazione con l’Istituto clinico di Città Studi del capoluogo lombardo. La mutazione è presente nel gene codificante per la proteina accessoria Orf-6.
Come ampiamente riportato in letteratura – ricordano dalla Statale – l’analisi della sequenza dei diversi isolati di Sars-CoV-2 ha evidenziato la notevole importanza delle mutazioni che il virus introduce casualmente durante la sua replicazione e che, talvolta, gli conferiscono una maggiore capacità replicativa e di ‘evasione’ del sistema immunitario. Nella maggior parte dei casi, le mutazioni segnalate come determinanti per l’infettività virale si trovano sulla proteina Spike, ossia la parte più esterna del virus, che funge da recettore e da target del sistema immunitario. Nel caso studiato dai ricercatori milanesi, la significativa alterazione della proteina accessoria Orf-6 non riguarda direttamente le capacità infettanti del virus, ma può essere un fattore in grado di alterare i meccanismi patogenetici della malattia Covid19.
Dal momento che il ruolo di questa proteina nel corso della replicazione virale è quello di modulare la risposta immunitaria dell’ospite, interferendo con la produzione degli interferoni, la sua modificazione potrebbe avere conseguenze sulla diffusione del virus nell’organismo umano infettato e sull’evoluzione clinica della malattia, spiegano gli studiosi. Questa osservazione – avvertono i ricercatori della Statale di Milano – sottolinea l’importanza del monitoraggio di tutte le mutazioni che Sars-CoV-2 accumula, anche di quelle che coinvolgono le regioni regolatorie, ad oggi meno studiate, ma che costituiscono più della metà del genoma virale.
I ricercatori ritengono che nell’attuale scenario, che vede notevoli incertezze riguardo alla patogenesi di Covid-19, la variante con Orf-6 troncata rappresenti un utile strumento per gli studi in vitro relativi alla modulazione della risposta immunitaria innata, che potranno evidenziare possibili diversi meccanismi patogenetici. …
“C’è una variante a Milano Perché è diversa dalle altre…”
di Alessandro Ferro (Il Giornale – 12 Febbraio 2021)
A Milano è stata sequenziata una nuova variante del virus: la buona notizia è che non rende più pericoloso il Covid. “Non incide sulla proteina Spike e non ha nessuna influenza sui vaccini”
Una nuova variante del Coronavirus è stata scoperta da ricercatori italiani dell’Università Statale di Milano diretti e coordinati dal Prof. Pasquale Ferrante, virologo e Direttore sanitario della struttura Istituto Clinico Città Studi, su due medici ammalatisi con il Covid. Stavolta, però, c’è una notizia positiva perché si tratta di una variante “buona”, ben diversa da quelle più contagiose e che stanno mettendo a dura prova anche la campagna vaccinale.
Lo studio è appena stato pubblicato su una rivista specializzata per essere sottoposto a revisione paritaria. La scoperta è di grande interesse perché, questa mutazione, potrebbe influire sulla risposta immunitaria da parte dell’organismo umano nei confronti del virus. In esclusiva per ilgiornale.it abbiamo intervistato il Prof. Ferrante, che ci ha spiegato nel dettaglio di cosa si tratta e quali sono i nuovi scenari che si aprono.
Prof. Ferrante, lei ed il suo staff avete scoperto una nuova variante del virus.
“Abbiamo provveduto ad isolare diversi virus da pazienti e dal personale sanitario dell’Istituto Clinico Città Studi di Milano, sede universitaria dove io lavoro. Una volta isolati, abbiamo fatto l’analisi di sequenza e, proprio su due medici dell’ospedale, abbiamo trovato due virus diversi dagli altri in modo molto sostanziale perché hanno la mutazione in una proteina che si chiama Orf-6”.
Di cosa si tratta?
“In entrambi i virus isolati abbiamo scoperto una cosa interessante: c’è la modifica di una sola base nucleotidica, i nucleotidi sono le basi che costituiscono l’Rna del virus. Questa mutazione altera la sequenza nucleotidica in modo molto importante perché determina quello che chiamiamo scientificamente ‘stop codon’, dopo la mutazione la proteina non è più sintetizzata. In altre parole, la proteina Orf-6 che in tutti gli altri virus è composta da 61 aminoacidi, nel nostro caso ne ha 56. Sembra una cosa piccolissima ma è molto interessante”.
Cos’è la proteina Orf-6?
“Orf-6 è una proteina accessoria o regolatoria: è accessoria perché non compone il virus. Ciò significa che in questo virus non c’è perché non ha una funzione strutturale. Viene prodotta quando il virus entra nelle cellule ed interagisce con il sistema immunitario dell’ospite, regolandolo in modo positivo o negativo. Ce l’hanno anche tanti altri virus: l’Hiv è piena di proteine regolatorie perché deve cercare di combinare la propria voglia di moltiplicarsi con la situazione della cellula, interagiscono con dei messaggi molecolari. In questo caso, Orf-6 è in grado di interagire con l’interferone, specialmente quello di tipo 1 che governa la prima risposta immunitaria alle infezioni”.
Piccola parentesi: è proprio l’interferone, come abbiamo recentemente documentato sul nostro giornale (clicca qui per il Focus) che regola la maggiore o minore intensità della malattia: ci sono quelli che si ammalano gravemente perché ne producono poco o non ne producono per nulla; viceversa, i “resistenti” al virus potrebbero essere quelli che hanno questo “scudo” molto attivo che funge da barriera. In ogni caso, è la genetica di ognuno di noi che fa la differenza rispetto a questa e tante altre malattie.
Alla luce di questo, che idea vi siete fatti?
“La nostra idea è che questa proteina mutata possa alterare le abituali capacità di Orf-6 quando non è mutata. Adesso ci troviamo davanti alla possibilità di studiare se questa proteina regola in eccesso o riduce la produzione dell’interferone. Sars-Cov-2 è presente in una forma molto simile nei pipistrelli: come fanno ad avere questo virus senza mai ammalarsi? Perché hanno una franca riduzione dell’interferone. La riduzione della risposta immunitaria li rende, in qualche modo, indenni alla malattia”.
Come siete riusciti a fare questo tipo di lavoro di sequenziamento del Covid-19?
“Come tanti altri gruppi, durante la prima ondata della pandemia abbiamo iniziato a studiare il virus mettendo a punto dei sistemi per “coltivarlo”, averlo cioè vivente nella sua originalità che permette di fare esperimenti di quasi ogni tipo come quelli in vitro e sulle cellule. Abbiamo un laboratorio di massima sicurezza e quando, con il mio staff, lavoriamo con questo virus vivo e pericolosissimo, siamo protetti e possiamo lavorare liberamente”.
Che scenari apre questa scoperta?
“Pensiamo che la nostra scoperta ci potrà aiutare a capire se questo accade anche negli esseri umani. Dobbiamo lavorare in vitro mettendo a confronto il virus con e senza la mutazione di Orf-6 mettendoli in coltura su cellule di una certa importanza come i macrofagi, cellule che entrano in gioco nel danno che fa il virus. Il nostro obiettivo è di riuscire a dimostrare che questa variante non fa niente oppure se aiuta le cellule a sopravvivere riducendo il numero di citochine evitando la famosa ‘tempesta di citochine’. Insomma, gli scenari sono tantissimi ma dipenderà dalla capacità di portare avanti le nostre idee ed il founding (finanziamento, nrd) della ricerca: i governanti dovrebbero fare un piano sulla ricerca”.
Cosa propone per la ricerca?
“Mettere a disposizione, ad esempio, 50 milioni l’anno per permettere a tutti i ricercatori di operare su tutti gli aspetti del virus: quelli che lavorano sulla spike, sulla proteina Orf-6 piuttosto che Orf-8, sugli enzimi virali che saranno fondamentali per sconfiggere il virus nei prossimi mesi. È questo il messaggio, è fondamentale finanziare una ricerca aperta, non si possono finanziare soltanto i vaccini o gli anticorpi monoclonali. L’emergenza si combatte nell’immediato ma pensando anche al futuro”.
Quali sono le principali differenze con le varianti in circolazione, ovvero l’inglese, la sudafricana e la brasiliana?
“Volendo essere cautelativi, stiamo parlando di una proteina che si trova in una zona del genoma vicino alla spike ma, allo stesso tempo, abbastanza lontana. Ciò che sappiamo oggi ci porta a dire che questa variante non incide sull’organizzazione della proteina di Spike. Non incidendo su questa, non ha nessuna influenza sull’eventuale resistenza ai vaccini, non è un fattore di preoccupazione. È una variante che ci permette di studiare la patogenesi ma ha poco a che vedere con la maggiore diffusione del virus”.
Questa variante potrebbe mettere a rischio l’efficacia dei vaccini?
“No, al momento non mette al rischio l’efficacia dei vaccini. Esula dalle preoccupazioni che tutti abbiamo sulla possibilità che le tre varianti citate prima, cioè l’inglese, la brasiliana e la sudafricana, possano essere una sfida per i vaccini. È fuori da questo contesto”.
Come accennava prima, perché è importante studiare la patogenesi di questo virus
“Una cosa che mi intrisce e mi fa stare male è che ancora oggi, dopo un anno dall’inizio della pandemia, continuiamo ad avere un numero altissimo di morti e non sappiamo perché muoiono: è importante studiare gli aspetti patogenetici per capire cosa succede nel corpo di questi soggetti oltre al virus”.
È l’ennesima prova che è importantissimo sequenziare il virus nel nostro Paese come accade già in Inghilterra. A che punto siamo?
“In Italia abbiamo accelerato, d’ora in avanti tutto ciò che è necessario sequenziare verrà sequenziato: sono state emanate delle regole per cui tutti i pazienti con un tampone positivo che arrivano al pronto soccorso e sono stati in Brasile, Inghilterra, Sudafrica oppure a contatto con persone che sono state in quei Paesi, verrà mandato ai centri di riferimento nei quali si provvederà a sequenziarli per mettere in evidenza le varianti e fare una mappatura per vedere quanto sono diffusi. Inoltre, se una persona vaccinata con le due dosi dovesse sviluppare un’infezione da Covid, è un altro di quei casi in cui bisognerà cercare le varianti: se il vaccino non mi ha protetto, una delle possibili spiegazioni è che si tratti di una variante”.
Rassegna Stampa : Covid: identificata nuova mutazione
IL VIDEO
SKY TG24: Virus, identificata nuova mutazione di Sars Cov2
La scoperta dei ricercatori dell’università statale di Milano, che ormai da mesi nei laboratori di microbiologia e virologia studiano il virus sars-cov 2. Qui, analizzando una serie di campioni biologici di pazienti positivi, sono arrivati a identificare una nuova mutazione che riguarda una proteina molto piccola, la Orf-6, che ha una funzione regolatoria del virus. Abbiamo studiato tutte le proteine, tutte le mutazioni e abbiamo trovato in due pazienti, avendone selezionate comunque molti di più, questa mutazione nuova che ci ha sorpreso perché introduceva una codone di stop, cosa vuol dire vuol dire? Che la proteina ORF 6 non viene tradotta completamente, ma viene tradotta in una forma tronca e questo può portare ovviamente ad uno sviluppo di patogenesi del virus. Significa che questa mutazione potrebbe avere conseguenze sulla diffusione del virus nell’organismo umano e soprattutto nella sua evoluzione clinica. Abbiamo aperto una porta per andare a guardare quali sono i meccanismi che il virus utilizza per moltiplicarsi all’interno delle cellule, per regolare la quantità di replicazione che ha, quindi conseguentemente per capire se è possibile che questa mutazione che abbiamo trovato influisca sulla gravità della malattia o sulla sua totale asintomaticità. La ricerca, peraltro ancora all’inizio, spiana la strada allo studio del processo che innesca la malattia del covid, la mutazione individuata però al momento non sembra avere alcun tipo di influenza sull’efficacia dei vaccini anti covid.
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