Covid, il professor La Vecchia: «Preoccupa l’aumento della carica virale. Alcuni asintomatici ce l’hanno altissima»
Il Corriere della Sera (Premessa per Pt39 del dr Giovanni Corso)
Una situazione complessa e seria, ma meno esplosiva rispetto a marzo e aprile. Il professor Carlo La Vecchia, ordinario di Epidemiologia all’Università degli studi di Milano, argina le analisi drammatiche rispetto al numero dei positivi — sia pure in forte crescita — e giudica i malati in condizioni critiche, ma non gravi, la vera urgenza sanitaria.
È verosimile che la carica virale dei positivi oggi sia molto più alta rispetto ai mesi estivi?
«Sì è un’ipotesi che sta in piedi: ci sono soggetti che diffondono il virus molto più facilmente di altri, tenendo però presente che anche la “predisposizione” ad essere contagiati cambia. Misurare la carica virale su vasta scala richiede ancora tecnologie sofisticate e costose. In più la moltiplicazione delle molecole Rna del virus varia da soggetto a soggetto; ad esempio ci sono asintomatici con carica virale altissima. È quindi difficile, su base scientifica, correlare l’alta carica virale al numero dei ricoveri».
Quando invece è determinante conoscerla?
«Misurare la carica virale è importante per i pazienti a lungo positivi, dopo diversi tamponi ancora costretti a casa: valutandola si stabilisce se persiste il pericolo di contagio o meno».
Come valuta l’evoluzione della malattia nell’ultimo periodo?
«La diffusione e gli esiti della malattia sono molto differenti da marzo: abbiamo un numero di positivi enormemente più alto ma un numero di ricoveri in terapia intensiva limitato, cosi com’è limitato (sempre in relazione a marzo e aprile) il numero dei decessi per Covid».
Qual è il tallone d’Achille del sistema ospedaliero?
«Il problema davvero urgente è la media intensità, i pazienti con sintomi importanti ma non gravi. Non abbiamo un sistema di medici di base efficiente come quello tedesco che si prende cura di questi soggetti. Occorrono, come ha ricordato il professor Remuzzi, ospedali periferici con 2-300 posti letto, destinati a questi ricoveri. Questo aiuterebbe enormemente le terapie intensive».
Il viceministro della Salute Sileri ieri ha dichiarato che il vero problema è il contact tracing. È d’accordo?
«Da epidemiologo dico assolutamente no: ormai ci sono troppi casi per poterlo ritenere uno strumento utile nei confronti del virus. Semplicemente, oltre certi numeri, non è più strategico».
La situazione delle terapie intensive?
«A livello nazionale abbiamo del tempo a nostro favore, cioè diverse settimane prima che entrino in una situazione critica: ci sono 5.400 posti pronti e altri 3.000 approntabili. L’affermazione “i letti sono già pieni” significa che sono occupati tutti i posti creati solo ed esclusivamente per pazienti Covid. La differenza salta all’occhio: ad aprile avevamo 4.000 terapie intensive impegnate».
Che strumenti ci mancano per gestire i casi meno gravi?
«Si devono aprire ancora centinaia di Usca (Unità speciali di continuità assistenziale, ndr). I decessi avvengono per insufficienza respiratoria: valutare la malattia nella prima fase è fondamentale per gestirla al meglio e non mandare in tilt gli ospedali».
Le sue raccomandazioni per i cittadini?
«Voglio ripeterlo: la situazione è seria ma complessivamente meno grave della primavera, tuttavia non va sottovalutata. Credo di poter dire che gli italiani utilizzano le protezioni personali e rispettano le ordinanze in modo direi soddisfacente, sono consapevoli del pericolo. Ecco: occorre lo stesso approccio nei confronti di amici e parenti, cioè evitare di vederli, restando unicamente nel proprio nucleo familiare. E anche se è triste dirlo, è necessario non andare a trovare gli anziani per non metterli a rischio. I luoghi di lavoro e i trasporti, così spesso chiamati in causa, sono invece ben normati».
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