C’è chi dice che per dimostrare a qualcuno o qualcosa i propri sentimenti serve un atto puramente fisico, anzi a volte basta un gesto, una parola. Questo potrebbe essere anche nei confronti del posto in cui si vive. Mi sono sempre chiesto chi ha davvero a cuore le sorti di un posto, cosa può fare per dimostrarlo?
Potrebbe viverlo e sopravviverlo, potrebbe anche raccontarlo, potrebbe innanzitutto non condannarlo. In questi giorni è andata in onda la puntata relativa all’Irpinia di 4 Ristoranti di Alessandro Borghese su Tv8, dopo essere andata in onda su Sky, qualche mese fa. Al di là del fatto che in sostanza il prodotto principe presentato è stata la maccaronara, e quindi non un prodotto tipico di Bagnoli, ma comunque irpino. Mi è salito un sussulto, quasi un’esultanza. Quando, in una intera puntata, sono stati presentati due piatti che contenevano il Tartufo Nero di Bagnoli. Mi sono sentito come un bambino quando la maestra consegna i compiti e dice “Ben fatto, hai fatto un bellissimo tema”. Ero sorpreso ed allo stesso tempo orgoglioso di questo.
In una rete nazionale ed internazionale, ho udito due parole accostate benissimo “Tartufo” e “Bagnoli”. Non è di certo la prima volta, non sarà spero l’ultima. Anche se Borghese non ci ha cagato di striscio. Non ha parlato di Laceno, del pecorino bagnolese e di tanto altro che offriamo. Però sentirlo pronunciare mi ha smosso qualcosa, mi ha fatto andare a letto con una consapevolezza in più. Non so però se lo stesso sentimento è di tutti e per tutti. Per questo mi sento di dire che non so minimamente come poter dimostrare il sentimento nei confronti di questo luogo, magari sono io ad avere troppe speranze. Magari sono gli anni passati che hanno invece tolto ad un bel po’ di gente quella voglia di incazzarsi di qualcosa andato storto o di qualcosa che non va in un posto come il nostro. E credo che la colpa sia innanzitutto del principio per cui ci si innamora del proprio luogo. Lo si fa per inerzia, per quel lascivo senso di non appartenenza, ma di galera. Alcuni si sentono in carcere qui. Ma chi vi tiene?
Andate, girate, portate via questo cumulo di rabbia, che poi alla fine non è rabbia perché non ve ne frega di quello che vi succede intorno. Lasciate qui qualche casa sfitta e qualche Imu da pagare. Però tornate, non solo alla sagra, tornate a novembre, a febbraio. Quando né si è troppo freddi e né si è troppo caldi. Ormai viviamo di ricordi, grazie anche ai social, che vanno benedetti. Bombolone ci regala ogni giorno un ricordo, un pensiero verso quello che era questo posto.
Qualche giorno fa, scrollando (non è una parolaccia), ho notato un suo post e mi è venuto quasi un ghigno, tra il sorriso ed il rimpianto. Si parlava di torneo rionale, cosa che chi scrive non sa nemmeno di cosa parliamo, essendo nato qualche anno dopo, o talmente piccolo da non ricordarlo, però ne ho sempre sentite tante di storie. Questo torneo rionale, organizzato con minuzia e con grande senso di appartenenza, aveva addirittura un giornalino che ne forniva agli altri la cronaca, le pagelle, la cronistoria della partita, le interviste e tutto quello che fa sì che una comunità sia a conoscenza. Un momento conviviale, come tanti, come tanti fatti in passato. Ora non voglio dire che riorganizzare il rionale, come avviene in molti paesi vicini, potrebbe essere la svolta e far riamare un posto, ma potrebbe almeno farci fare quattro risate e non parlare e parlarci solamente di rimpianti.
Il tessuto sociale, guardate, non era così diverso, ora da quello di allora. C’era una emigrazione insistente, c’erano i disoccupati, c’erano gli imprenditori, c’erano forse più ragazzi e più sportivi. Ma non era così diverso, anzi adesso si può organizzare una festa in 5 minuti e pubblicizzarsi utilizzando la rete. Allora era già un po’ più difficile. Però la sera si passeggiava e si chiacchierava un po’ di quello e di quell’altro, ma senza malizia e senza ritenere il passato sempre migliore. Oggi invece siamo figli di un passato che non vuole lasciarci perdere. Non vuole farci vedere oltre. Saranno le persone, la generazione peggiore, la solita e graziosa indifferenza, ma il ricordo serve e servirà sempre. Non però questo deve essere un alibi.
Nessuno può lasciare la storia passata, ma tutti possiamo scrivere pagine nuove di una nuova storia comunitaria. Certo è che sempre se si è capaci di modificare in bene un posto. È evidente che ognuno vede il proprio posto del futuro in maniera diversa, magari con qualche cosa in più, in meno, con un piano che prevede qualcosa, o qualcuno, sempre se quel qualcuno o quel qualcosa restano e resistono. Forse la risposta alla domanda “come si fa?”, di cui sopra, non avrà mai risposta, almeno credo, ma sono fiducioso se qualcuno non mi lascia da solo nel porre la domanda: e tu che provi per questo posto qui?
Giovanni Nigro
(da Fuori dalla Rete Marzo 2024, anno XVIII, n. 1)
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