Lo scorso anno è stato segnato da tante tragedie universali – innanzitutto la guerra in Ucraina, che continua, e quella in territorio palestinese, iniziata il 7 ottobre con l’attacco di Hamas – ma anche da tragiche vicende individuali, che per il loro ripetersi continuamente hanno assunto il medesimo carattere di universalità: penso alla violenza di genere e ai tanti femminicidi di cui abbiamo letto quotidianamente le cronache. La diffusione della consapevolezza, che speriamo profonda e non alimentata solo da emozioni passeggere, dei problemi di fondo che sono a monte di questo fenomeno culturale prima ancora che criminale ha indotto a individuare l’educazione all’affettività e alle relazioni interpersonali nelle scuole come mezzo di contrasto di certi atteggiamenti tra gli adolescenti, per indurli a un maggiore rispetto delle differenze e delle libertà individuali. Ne abbiamo parlato anche in queste pagine. Se la decisione di dedicare qualche ora trascorsa nelle aule a questi temi può servire a far comprendere che bisogna accettare che qualcuno possa avere un’opinione diversa, per esempio rifiutando un rapporto di coppia in cui non si sente libero, ben venga.
Sono tante le questioni che la scuola dovrebbe affrontare, accanto all’insegnamento delle singole discipline, fornendo non solo competenze specifiche, ma esercitando davvero una funzione formativa a tutto tondo. Per questo motivo, per citare un altro esempio, non ho mai condiviso la scelta di far sparire dall’orario scolastico quella che ai miei tempi si chiamava “educazione civica”: all’epoca era dedicata a far conoscere le istituzioni e le regole della convivenza civile, e oggi potrebbe non solo educare a un rapporto corretto fra cittadini e poteri pubblici, ma dedicare ampio spazio alle diverse forme di inclusione sociale e alle relazioni tra gli individui e la comunità. Servirebbe, per esempio, a stimolare un uso corretto della Rete – che costituisce in molti casi l’ambiente nel quale principalmente ci relazioniamo con gli altri – e a combattere anche le diverse dimensioni dell’intolleranza, dal bullismo al razzismo, dall’omofobia alle tante forme di emarginazione e confinamento alla periferia della società, ad altro ancora. Ma la questione non riguarda solo gli studenti. Più in generale, infatti, credo che lo sfilacciamento del tessuto sociale vada combattuto sottolineando e promuovendo i valori che tengono insieme la vita di una comunità, e questo vale per i giovani quanto per gli adulti. È una grande questione culturale ed educativa, che va affrontata da diverse angolazione, come ha ricordato in modo impareggiabile il Presidente Matterella nel suo discorso di fine anno.
Sono tanti gli istituti, in parte già esistenti, che potrebbero essere utilizzati in questa direzione: penso ai “lavori socialmente utili” proposti a chi è privo di un’ occupazione o sta riconvertendo le proprie abilità professionali, oppure alle prestazioni richieste a chi percepisce il reddito di inclusione: si tratta di misure che servo non solo a venire incontro a chi è in difficoltà economiche, ma anche a far capire che diritti e doveri sono due aspetti speculari della partecipazione sociale. Forse anche il servizio civile volontario, che spesso viene vissuto come un “lavoretto” da svolgere per un anno in attesa di trovare un lavoro vero e proprio, potrebbe essere più chiaramente orientato allo scopo di prestare un servizio alla società, funzione che aveva quando nacque come istituto alternativo alla leva militare. Anzi, se ci fossero le risorse, il servizio civile andrebbe forse ripensato ed esteso il più possibile, enfatizzando proprio la funzione educativa che potrebbe assumente per i giovani al termine del percorso scolastico un anno vissuto insieme ai propri coetanei per lavorare al servizio della collettività, dedicato al sostegno delle fasce sociali più bisognose e a quelle attività (la tutela dell’ambiente e degli spazi pubblici, i servizi culturali di base e così via) che possono favorire il benessere collettivo, lo “star bene” insieme. Un anno di educazione al senso civico, ai valori della cittadinanza e della solidarietà sociale.
Giovanni Solimine – Presidente Fondazione Bellonci – Premio Strega
(da Fuori dalla Rete Marzo 2024, anno XVIII, n. 1)
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