Una delle meraviglie dell’infanzia è che ci si addormenta ovunque. Anche dentro una valigia. Anche dentro una guerra. La foto è stata scattata alla periferia di Damasco e documenta l’esodo da un quartiere di nome Ghouta, dove ieri sono morte cento persone sotto le bombe di Assad, liberatore o sterminatore a seconda dei gusti. La mano che regge il bambino nella valigia appartiene presumibilmente all’uomo che ha avuto il coraggio e la follia di metterlo al mondo. Rappresenta l’ultima certezza per lui, rimasto senza più casa né cibo.
È il terzo bambino siriano che ci viene addosso. Il primo fu Alan, annegato su una spiaggia turca come se dormisse. Ci costrinse a guardare i profughi con altri occhi. Poi l’emozione svanì e, per gli europei, i migranti tornarono a essere gli sfaccendati che bivaccano nelle loro piazze. Il secondo fu Omran, il piccolo Lazzaro riemerso dalle macerie di Aleppo con il corpo ricoperto di sangue e di polvere. L’emozione venne replicata, ma durò ancora meno: in fondo non era neanche morto. Adesso arriva il bambino nella valigia. Per quanto tempo resisterà nei nostri cuori?
Fingere di non sapere la realtà è un trucco inventato dal cervello per non impazzire. Vedersela sbattuta in faccia da un bambino genera impotenza. Vorresti fare qualcosa, oltre a commuoverti, ma non sapendo che cosa, pur di non soffrire ti sforzi di dimenticare. Stasera ricomincia il campionato, ma solo per noi.
Massimo Gramellini (Il Corriere della Sera)
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