Il destino del Sud e l’Italia del Terzo Millennio

di Paolo Saggese

Ci sono epoche in cui il nome “Meridione” e i suoi derivati sono termini impronunciabili, persino tabù, se non con accezioni negative e peggiorative. Una di queste epoche è stata – lo ricordò con la sua prosa sarcastica un “Homo Meridionalis”, Guido Dorso – quella funesta del ventennio fascista, in cui il Duce, ope legis, sancì la fine definitiva (!) dell’annosa “questione”, grazie alla trionfale politica fascista.

Un’altra epoca, in cui un nome simile è stato quasi impronunciabile, è quella appena trascorsa, che abbraccia per intero quasi l’ultimo decennio del Novecento e il primo e il secondo del nuovo millennio. In questi anni, è stato persino proibito evocare la “questione meridionale”, anzi, se proprio di una “questione” si doveva parlare, era quella settentrionale, che si fonderebbe su dati “oggettivi” e “incontrovertibili”. Si è detto: “finalmente i meridionali, per natura parassiti, si mettano a lavorare, smettano di essere piagnoni e fannulloni, facciano come quelli del Nord, che faticano e pagano le tasse pure per loro, vadano a lavorare e non si lamentino”. Ecco, questo quadretto tragicomico ha avuto termine soltanto quando il grande dibattito sull’Unità nazionale, occasionato dal centocinquantenario appena festeggiato, ha dato il via ad un ripensamento, del resto mai veramente venuto meno, sul significato e sull’incompiutezza del Risorgimento italiano.

Anche l’Irpinia ha dato al dibattito un solido contributo, anche grazie alla riflessione attenta del compianto Giandonato Giordano, già Sindaco di Guardia Lombardi, uomo politico apprezzato, intellettuale militante con contributi sulla storia della DC e con racconti sapidi e intelligenti, che il 15 febbraio scorso avrebbe ompiuto59 anni. Tra i suoi libri, è qui opportuno ricordare la raccolta di interventi giornalistici “Sprofondo Sud”, Prefazione di Gianni Festa (Edizioni Il Castello, Foggia, 2011).

Anche sulla base di questa rinnovata attenzione per la storia d’Italia, ma anche in virtù di un impegno militante, che ha caratterizzato le sue scelte di vita, Giandonato Giordano ha offerto al lettore una serrata riflessione sul destino del Sud e dell’Italia tutta, rappresentata con lucidità nella sua crisi finanziaria, e soprattutto economica, etica e politica, incapace com’è di elaborare una propria idea del futuro, che tuteli tutti e dia unità e senso alla comunità nazionale.

Giandonato Giordano fa coincidere, in particolare, la fine dell’idea stessa della “questione meridionale” con la conclusione rovinosa della cosiddetta Prima Repubblica e di una politica di stampo solidaristico avviata dalla Democrazia cristiana per volere di tre grandi uomini del Nord. Infatti, così Giordano scrive, significativamente, nell’Introduzione: “Dal 1992, con la fine della Cassa del Mezzogiorno, si è conclusa la stagione del meridionalismo. […] La Democrazia Cristiana fu il partito che volle la Cassa per il Mezzogiorno. Lo strumento di intervento straordinario per il Sud fu ideato da Pasquale Saraceno, sostenuto caparbiamente da Ezio Vanoni, realizzato da Alcide De Gasperi nel 1950. L’istituzione della Cassa porta la firma di tre esponenti cattolici del Nord”.

È anche da dire, tuttavia, che tale politica fu fortemente sostenuta anche da altri partiti italiani, tra cui il Partito Comunista, che ereditava la grande riflessione gramsciana sulla “questione meridionale”, nonché dal Partito socialista degnamente rappresentato da Manlio Rossi-Doria.

Partendo dalla crisi del 1992, dunque, l’intellettuale passa in rassegna la degenerazione complessiva della società italiana, dilaniata dal populismo, dalla demagogia, da un’improvvisazione, che sfocia nel dilettantismo deteriore, dal conflitto dei localismi, che si riduce a razzismo. E così, in questo clima, persino parlare di “questione meridionale” risulta impossibile. E così l’Italia si condanna alla crisi di oggi, perché “l’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà”.

Dunque, attraverso argomentazioni convincenti, lo studioso affronta le grandi questioni della politica nazionale, il ruolo della Lega, di Berlusconi, del Partito democratico, analizza il panorama politico regionale, il destino dell’Irpinia, con i suoi paesi, che rischiano di divenire “fantasma”, contesta i tanti luoghi comuni sul Sud e contro i Meridionali, passa in rassegna il carattere egoistico del federalismo in salsa leghista, le politiche demagogiche, che sbandierano e rimandano fantomatici piani per il Sud, gli “scippi” ai danni delle regioni del Mezzogiorno, l’emigrazione dei giovani verso il lavoro al Nord o fuori dall’Italia.

Il libro si chiude in modo inatteso con due racconti quasi nostalgici, intrisi di malinconia, dedicati all’altipiano del Formicoso. Qui c’è l’incanto della Natura, che un uomo vuole brutalizzare e un altro uomo vuole difendere. Sembra la chiusa di un’egloga virgiliana, che fa sperare ancora e non disperare: “La voce di Ligurio è stentorea. Grida al mondo che la battaglia inizia. A quelle parole mi commuovo. Il sole sta tramontando dietro le montagne, scende la sera sul pianoro del Formicoso”.

In queste parole sul Formicoso, che attraverso quasi giornalmente nel mio errare dantesco, rivedo lo spirito puro di Giandonato Giordano, che ha rappresentato e rappresenta uno dei momenti più alti della cultura irpina dell’ultimo trentennio. Giandonato ha sperato in un’Irpinia, un Sud, un’Italia diversi, con l’idea alta di cultura al servizio della politica e della politica al servizio dei cittadini. Con quel suo sorriso benevolo, instancabile, dolce e intelligente, ieri come oggi, a quasi un anno dalla sua scomparsa, oggi ci avrebbe invitato a continuare, a scrivere, a pensare, a combattere, a battersi, a sognare, a sperare. Oggi riconosciamo in Giandonato un Amico, un Maestro, un Compagno, ne sentiamo la mancanza. Quando passo per Guardia, all’alba o al tramonto, ti penso, caro Amico, mi sembra, mi fingo che all’improvviso tu possa apparirmi sulla strada, come una volta, come un tempo, per riprendere insieme discissioni interrotte, insieme all’Amico e Maestro Maggiore Gerardo Bianco.

Di Te l’Irpinia aveva bisogno, ha bisogno. Ed oggi lo voglio ricordare a tutti.

Paolo Saggese

(da Fuori dalla Rete, Marzo 2020, anno XIV, n. 1)

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