Il dr Domenico Leonardo Cione, l’angelo che si sacrificò durante l’epidemia di spagnola a Bagnoli (1918-19)
di Antonio Camuso
L’esistenza degli angeli, esseri sovrumani e intermediari tra il mondo divino e la realtà umana, non è patrimonio solo della rivelazione biblica ma fonda le radici nelle antiche religioni, sia dei popoli vicini a Israele (assirobabilonesi, egizi, persiani, greci, ecc), sia dei popoli delle regioni più lontane.
Tra gli angeli cui son state date doti salvifiche e protettrici sugli uomini, ricordiamo gli angeli Michele e Gabriele (quest’ultimo protettore dei bambini e in primis autore del salvataggio di Mosè dalle acque del Nilo).
Il culto degli angeli entrò a far parte della religione cristiana e nel Medioevo si moltiplicarono i santuari dedicati agli angeli. Forse il più famoso è quello di San Michele Arcangelo sul Gargano, in Puglia, sorto nel sesto secolo. Nella vita spirituale dei monasteri, superato l’anno mille, grazie a Bernardo di Clairvaux (1091-1153) si stabilì il loro ruolo di custodia di ogni uomo, dove gli angeli protettori e difensori accorrono presso l’uomo che nei momenti di afflizione e di prova, li invoca. Bernardo spiega che essi spesso proteggono l’uomo anche quando non se ne avvede, attraverso un’opera di soccorso, ricordandogli che la tribolazione non è eterna, trasformando eventi di sofferenza in eventi di grazia.
Gli angeli ai tempi del Covid-19
Non è un caso che nei giorni difficilissimi in cui l’epidemia di Covid-19 sembrava inarrestabile, mietendo centinaia, e poi migliaia di vittime, la definizione di ”angeli del soccorso” è stata giustamente attribuita ai medici, agli infermieri, che con abnegazione e sacrificio si son prodigati in questa sfida tra un virus sconosciuto e la scienza medica.
Tra essi molti anziani medici che, nonostante l’età avanzata, non si sono tirati indietro e purtroppo han pagato con la vita, non solo al giuramento di Ippocrate, ma quello più interiore fatto a Dio e agli uomini, interpretando pienamente quel ruolo atribuito agli angeli da tutte le religioni e in particolare quella cristiana.
Il dottor Domenico Leonardo Cione e l’epidemia di Spagnola
Nei giorni del lockdown, pur impossibilitato momentaneamente di recarmi in Irpinia, ho proseguito il mio lavoro di studio dell’Archivio personale della signora Marisa Cione di Bagnoli Irpino, e in particolare i documenti che riguardavano il suo bisnonno, il Dottor Domenico Leonardo Cione, la cui opera fu definita, giustamente, angelica da parte dei suoi concittadini.
Ho riletto con cura, l’opuscolo commemorativo a lui dedicato, pubblicato nel 1921 a cura della famiglia, e che ha già trovato spazio nelle pagine web di Palazzo Tenta39 e di Fuori dalla Rete. In esso troviamo il richiamo alla sua opera a dir poco sovrumana, caratteristica solo degli Angeli, durante la pandemia dell’influenza H1N1, detta Spagnola che un secolo fa, colpì nella forma maligna in seconda ondata l’Italia, Irpinia compresa.
Una pandemia che, ancor oggi, con timore, gli esperti raffrontano con quella attuale di Coronavirus, sia per letalità sia per capacità di diffusione di questi Virus e come entrambi abbiano messo in crisi le conoscenze mediche frutto di millenni di studi umani.
Una pandemia che tra il 1917 e il 1920, nel mondo, fece da dieci a 100 milioni di vittime e si placò solo dopo aver infettato gran parte del miliardo e 800 milioni di umani che popolavano la Terra.
Un’epidemia che, giungendo in Irpinia, trovò popolazioni che già soffrivano di altri mali endemici: tubercolosi, colera, tifo, varicella, morbillo, scarlattina, ma innanzitutto, il peggiore, la fame, che debilitava nel fisico i più poveri e rendeva fragili i bambini. A partire dal settembre1918, con un picco impressionante tra ottobre e novembre, e un altro nell’inverno del 1919, nei paesi dell’Alta Valle del Calore furono falciate centinaia, se non migliaia di vite umane.
Un Paese, ancora in stato di guerra, che imponeva la censura su ogni notizia sull’epidemia e reprimeva duramente le proteste delle donne contro la scarsità di pane e gli insufficienti sussidi di guerra, rispose con strutture sanitarie inadeguate e imperdonabile carenza anche di farmaci palliativi come il chinino. Fu solo grazie all’infaticabile opera dei “medici di campagna”, (così erano definiti coloro che operavano nei piccoli paesi rurali) che la conta dei morti non raggiunse livelli da peste medioevale e Bagnoli ebbe la fortuna di avere come Angelo protettore del Soccorso, un medico, ma innanzitutto un uomo nell’accezione del termine, come il dottor Domenico Leonardo Cione. Per ricordare la sua opera e come essa fu poi la causa della sua prematura morte, riporto alcuni passaggi degli interventi di diverse personalità in occasione del funerale, manifestazioni pubbliche o deliberazioni del consiglio comunale di Bagnoli.
Le attestazioni pubbliche
(dal discorso letto nella collegiata parrocchiale del rev Giuseppe di Sabato, il 5 gennaio 1921) …”-.E senza evocare un passato lontano, basta ricordare i sacrifici, gli sforzi che Egli fece durante l’infierire dell’influenza del 1918 per strappare alla morte tanti concittadini. Per più settimane i suoi occhi non ebbero riposo, le sue gambe divennero instancabili, e non si ritrasse dalla lotta contro il morbo, se non quando ne rimase vittima egli medesimo.
Da quel momento fu segnata la fine della sua vita. La sua robusta fibra ne rimase scossa; ciò nonostante non volle arrestarsi lungo la via del dovere. Agli amici che lo rimproveravano di non aver troppa cura della sua salute, rispondeva :«dovrò morire da buon soldato, sulla breccia». E purtroppo sulla breccia, da soldato magnanimo e valoroso, egli è morto. Per dare la salute agli altri, l’ha tolto a se stesso; per guarire due ammalati di polmonite, si contagiò egli medesimo, e di polmonite- nello spazio di quattro giorni- il luminare della scienza, l’illustre concittadino, l’angelo tutelare delle nostre infermità, scompare dalla scena della vita…”-
(Discorso letto al consiglio Comunale di Bagnoli il 6 gennaio 1921 dal segretario Prof Belisario Bucci)
“-….Fino a ieri tutti noi siamo stati testimoni di questo suo disprezzo della vita, specialmente nell’epidemia d’influenza di due anni or sono, quando dalla mattina alla sera egli percorreva instancabile tutto il paese, visitando da solo le centinaia d’infermi, nel tempo in cui il morbo più infieriva, egli che nessun obbligo aveva sia per l’età che per la carica che occupava, fino a che non ne fu colpito anche lui.
Ed al Sindaco che allora, a nome di tutto il paese lo ringraziava per l’opera preziosa prestata in quell’occasione Egli scriveva dal letto: «Mi ero proposto assolvere il mio doveroso compito di medico e di cittadino fino all’ultimo soffio delle mie energie, ma ogni buon volere si è spento di fronte alla ferale infezione che mi ha colpito»…
E poco dopo in un’altra lettera cosi si esprimeva: «Ho la coscienza di non aver fatto altro che offrire le mie modeste energie in un momento in cui una grave sventura si abbatteva sul paese, ma ciò è un sacro dovere di medico e di cittadino, e non merita alcun encomio»…”.
Gli effetti ritardati dell’epidemia.
A quasi sei mesi di distanza da quando è comparso il Coronavirus COVID 19, gli effetti a lungo periodo sui pazienti guariti non sono ancora chiari alla classe medica mondiale, ma dai primi dati risulta la permanenza di strascichi importanti, non solo sulle vie respiratorie (polmoni e relativo sistema cardiocircolatorio), ma anche su altri organi interni, determinando pericolose fragilità che in caso di perduta immunità dal virus metterebbero in pericolo la vita di coloro per i quali si sono tanto prodigati tanti “angeli del soccorso” nelle terapie intensive ospedaliere.
La polmonite batterica che colpì gli ammalati di Spagnola (e lo stesso dottor Cione), lasciò tracce indelebili su essi e, in tempo in cui gli antibiotici, e in particolare la pennicillina, non erano stati inventati, quando lo stesso dottore si ritrovò a contatto con altri soggetti ammalati, trovò la strada per recidere la sua vita.
Un prezioso quaderno ritrovato
Il Fato giocò uno scherzo crudele nei confronti di questo illustre membro della scienza medica irpina: lui, che dopo la laurea, aveva proseguito e approfondito lo studio sulle polmoniti, morì a causa dell’infenzione prodotta da una polmonite. Potete immaginare l’emozione del sottoscritto quando, per caso, ha ritrovato tra le carte dell’archivio della signora Marisa Cione, un quaderno con la copertina nera, fittamente scritto a mano riguardante gli appunti del dottor Cione sugli studi clinici sulle polmoniti batteriche tubercolotiche presso la Clinica universitaria di Napoli dal prof Enrico De Renzi, luminare della scienza Meridionale e Senatore del Regno.
Contro la TBC, dall’Ottocento in poi, la scienza medica mobilitò tutte le energie sino alla scoperta del bacillo di Coch, che permise di porre freno alle migliaia di morti e invalidi a vita che essa faceva ogni anno. Quando ho consegnato questo quaderno alla signora Cione, entrambi emozionati, abbiamo ricordato un altro passaggio del discorso del 6 gennaio 1921 dal segretario Prof Belisario Bucci:
…-”Tralascio la cultura scientifica che Egli coltivò e perfezionò fino agli ultimi giorni di sua vita, studiando sino a tarda ora della notte, per tenersi sempre al corrente dei nuovi risultati dell’ indagine scientifica, per soffermarmi sulle altre qualità….”-.
L’amicizia tra Diomede Patroni e il dottor Cione
Chissà se quel quaderno senza data è stato consultato dall’angelo di Bagnoli Irpino, nei suoi ultimi giorni di vita, nel suo anelito di non interrompere mai la strada alla conoscenza per metterla al servizio dell’umanità. Con commozione insieme alla sua bis-nipote, la signora Marisa lo abbiamo riposto sulla sua scrivania ancor oggi perfettamente integra, e dove alle sue spalle campeggia la scultura che lo raffigura, opera di un suo amico ed ammiratore, l’artista bagnolese, Diomede Patroni, famoso in tutto il mondo per le sue opere scultoree ed in particolare busti di uomini illustri. Una scultura che fu donata dall’artista alla famiglia per onorare l’opera del dottor Domenico Leonardo Cione.
Quanto stoicamente il dottor Domenico Cione riuscisse ad estraniare la sua condizione di moribondo e mantenesse la professionalità di scienziato sino all’ultimo, lo confermava il dottor Serafino Apicella, Ufficiale Sanitario e medico delle FFss di Montella nell’elogio funebre:”- …la sera precedente al decesso, l’estinto mi diceva testualmente a proposito del rantolo, che lo affliggeva : « Questo rantolo tracheale m’ è molesto specialmente perchè mi ricorda tanti poveri moribondi ». Ma poi, più oltre, incominciò serenamente a discutere di attualità scientifiche a proposito della cura della polmonite, e ai familiari che lo interrogavano, rispondeva pacatamente: Sto bene.”-
E’ lo stesso “sto bene” con il quale in questi mesi al cardiopalmo, medici e infermieri, provati da turni massacranti e notti insonni, trovavano la forza di ricominciare a lottare per salvare vite umane, non tirandosi indietro. Oggi, tutti noi abbiamo il dovere di fare la nostra parte, affinchè il sacrificio di quegli angeli non vada annullato da un nostro preteso egoistico senso di libertà al divertimento senza regole.
Antonio Camuso, Archivio Storico Benedetto Petrone
(da Fuori dalla Rete, Agosto 2020, anno XIV, n. 4)
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