Il fallimento della politica

di Domenico Nigro '82

Le elezioni amministrative appena concluse saranno ricordate per molteplici aspetti e non solo per lo scarto minimo che ha diviso le liste contendenti. Resterà nella memoria il finale thriller dello spoglio elettorale, con un andamento dello scrutinio da cardiopalma e un esito deciso solo alle ultime schede. E’ questa tuttavia la sola fase emozionante di un percorso, quello elettorale, che fino a quel momento aveva riservato zero idee e nessuna attenzione ai programmi. I vari comizi sono stati incentrati solo su accuse reciproche, si è parlato di reati (presunti ma inspiegabilmente mai denunciati), di moralismi e burattini, sono state lanciate accuse ad intere categorie professionali e date lezioni di moralità al paese, nessuno però ci ha spiegato cosa fare del Laceno, del turismo e come risolvere i vari problemi bagnolesi.

Una campagna povera di contenuti, dove si è parlato di amministrazioni vecchie di dieci anni e non del futuro del nostro paese. E così, tra accuse di furti perpetrati ai danni delle casse comunali, di cupole da abbattere e vermi da schiacciare si è giunti ad un risultato clamoroso, da pochi pronosticato, con una distanza minima tra le due liste.

Complimenti ai vincitori e onore ai vinti, vicini a compiere un’impresa per molti neanche ipotizzabile. Sul voto più che le accuse pubbliche (che oltre ad essere sbandierate andrebbero provate e denunciate nelle sedi opportune) ha pesato la protesta montata nel paese contro l’accordo elettorale tra PD e Demitiani, un’intesa che ha riportato Bagnoli indietro nel tempo provando a cancellare un decennio e oltre di contrasti e liti. È venuto fuori qualcosa che era difficile ipotizzare anche pochi giorni prima delle elezioni e che ha lasciato un interrogativo aperto: come si può tornare insieme dopo essersi accusati di tutto?

La scelta fatta con la politica ha poco a che vedere considerando che non è avvenuto altro che la mera esecuzione, anche a Bagnoli, di un accordo regionale e provinciale tra De Mita e quel che resta del PD, un accordo partito nel 2015 – il famoso patto di Marano – con l’elezione dell’attuale presidente regionale e proseguito nelle elezioni amministrative degli scorsi anni, nelle elezioni politiche del 4 marzo scorso, e infine in quest’ultima tornata amministrativa. Un patto qui in Irpinia noto come “cirietta” termine inventato per definire meglio l’intesa tra Ciriaco De Mita e Rosetta D’Amelio. Si è così stabilita, a tavolino, una restaurazione dell’antico regime, è andata in scena un’edizione locale e rivisitata del Congresso di Vienna del 1815, con la decisione di ristabilire con la forza poteri e prerogative perdute o minacciate dai nuovi barbari (grillini e leghisti) pronti ad invadere i nostri territori.

Tuttavia, solo a Bagnoli quest’accordo è risultato vincente, mentre alle politiche e alle elezioni amministrative di Avellino il patto tra vecchi politici è stato miseramente sconfitto da un moto di protesta collettivo. Bagnoli, come spesso avviene, è andato in controtendenza premiando di pochi voti l’intesa elettorale. Aldilà del risultato, anche nel nostro paese si sente forte la sconfitta di chi di questo accordo è stato promotore ed esecutore. Non parlo dei candidati della lista (o almeno di larga parte di loro) che, loro malgrado, sono stati travolti da un mare di polemiche a loro estranee, ma di chi quell’accordo lo ha stipulato e sancito, cancellando di colpo anni di lotta contro chi del demitismo ha da sempre e coerentemente fatto una scelta politica.

Chi appartiene ad un partito ha davanti a sé la scelta se eseguire gli ordini dall’alto o uscire dal partito stesso; le due scelte sono entrambe rispettabili. Tuttavia, non si può però pensare di nascondere accordi e patti voluti dai partiti nel sentimento nobile del pacifismo; del resto, se lo scopo era la riappacificazione del paese (perseguita solo con pochi e non con tutti i competitor) il risultato ottenuto è oltremodo deludente in quanto ci viene consegnato un paese ancora più spaccato in due parti praticamente omogenee. Le scelte vanno spiegate ed argomentate in maniera chiara, il tempo delle imposizioni calate dall’alto ed imposte sfruttando l’autorevolezza di chi le sostiene è finito. La gente vuole capire, vuole vederci chiaro per accertare (o per lo meno intuire) le reali intenzioni che si nascondono dietro le scelte; quando non comprende ecco che parte la protesta.

A marzo la scelta di imbarcare il rottamato (nel 2008 da Veltroni) de Mita è costata al PD la sconfitta nella roccaforte irpina, superato sia dai Cinquestelle che dal centro-destra; qui a Bagnoli l’accordo così costruito ha finito per mettere in bilico una vittoria alla vigilia netta, decisa per una manciata di voti e favorita dal fatto che nel nostro paese, a differenza di quanto avvenuto a livello nazionale in generale e ad Avellino in particolare, non ci è stato chi è riuscito fino in fondo a cavalcare il moto di protesta facendosene portavoce e guida. Tra il demitismo originale (quello doc) e quello ad elezioni alternate (che nel 2006 e 2013 va bene, ma nel 2008 e nel 2018 no), ha vinto il primo, lasciando però a tutti l’idea che con una lista costruita diversamente l’esito sarebbe potuto essere decisamente diverso.

Probabilmente l’appoggio alla lista sconfitta, giunto nel finale della campagna elettorale, portato dagli esclusi dall’accordo pd – demitiani ha finito per agevolare la lista vincente, prefigurandosi infatti una sorta di sfida tra “inciuci” (termine con cui si è voluto definire accordi innaturali e inspiegabili).

Da questa confusione generata da scelte strane e assurde nascono alcune considerazioni: innanzitutto la coerenza paga e viene sempre apprezzata. Il popolo non è composto da una massa di ignoranti che segue un leader, ma è un insieme di persone pensanti che osserva, valuta e si comporta di conseguenza. L’idea di una politica basata su vecchi schemi (sinistra contro destra) è tramontata. Così come non possono più esistere scelte basate sulle imposizioni di qualche personaggio ancora convinto di avere peso e rilevanza nel paese certo, nella sua mente, di poter influenzare tutti anche senza sporcarsi le mani.

Oggi la sfida è tra passato e futuro, tra chi ha distrutto il sud (e quindi il nostro paese) e chi invece vuole ribellarsi a patti segreti, ad accordi per la restaurazione di un potere logoro e deficitario che non piace a nessuno, tranne che a qualche dinosauro politico. Era cosi dieci anni fa, è così anche oggi e lo sarà probabilmente anche negli anni prossimi.

Dove è finita la lotta al neo feudalesimo di stampo demitiano tanto usata e sbandierata negli anni passati? E’ un interrogativo nato con forza all’indomani della presentazione delle liste e che, non avendo trovato risposta, resta nelle menti di ciascun cittadino. Per Bagnoli queste elezioni segnano uno spartiacque tra la politica che siamo abituati a conoscere e criticare, ed un modo di fare nuovo e totalmente diverso. Molti politici che da anni imperversano nella piazza sono giunti al capolinea della loro attività; è necessaria una rivoluzione culturale prima e politica poi che possa finalmente creare una nuova classe dirigente; non è possibile che da decenni sempre le stesse persone determino la vita politica di Bagnoli e che questi possano pensare di continuare a farlo nel futuro con promesse vuote e soluzioni volte alla sola conservazione di potere.

Ai vincitori va l’augurio di amministrare bene, a Bagnoli quello di trovarsi tra cinque anni con persone nuove pronte a dirigere e determinare il futuro per il solo conseguimento del bene comune.

Domenico Nigro ’82


(da Fuori dalla Rete, Luglio 2018, anno XII, n. 4)

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