Il primo marzo del 1968 un gruppo piuttosto numeroso di studenti della facoltà di Architettura di Roma si dà appuntamento alle 10 in Piazza di Spagna. E’ una manifestazione atipica, di quelle che oggi chiameremmo flash-mob. Marciano verso la facoltà, ma non sanno ancora se per occuparla o meno. Sono concentrati quasi esclusivamente sulla necessità di trovare un luogo dove tenere un’assemblea, per decidere. Non vogliono usare sedi di partito o di sindacati; preferiscono evitare che altri mettano il cappello su quel posto e su quella manifestazione che sentono loro. Hanno addirittura creato un servizio d’ordine per allontanare i violenti. Ma, sulle scale della facoltà, trovano ad aspettarli la polizia, chiamata per evitare l’occupazione. Gli studenti avvertono quella presenza come una provocazione. Partono le prima uova. I poliziotti scendono di corsa e comincia la battaglia. Durerà due ore. Alcuni studenti riescono ad entrare in facoltà, ma vengono brutalmente spinti giù dalle scale e i poliziotti, vedendo un loro collega sanguinante, si scatenano. Molti giovani vengono portati in questura con i cellulari (che allora erano solo i furgoni della Polizia…) e, prima e dopo l’arrivo, vengono pestati e minacciati con le pistole.
Al sicuro, tra le mura di “casa propria”, i questurini si lasciano andare a violenze e pestaggi di ogni tipo. Finirà con 148 feriti e 200 denunciati. Doveva essere la “prima” del “68 a Roma. Fu una giornata di guerra durante la quale solo per miracolo non si ebbero vittime: da una parte i poliziotti con gli elmetti, i manganelli, le camionette corazzate, le bombe lacrimogene, i camion con gli idranti; dall’altra gli studenti con tutta la loro rabbia, la convinzione di essere nel giusto, armati di tutto ciò che capitava loro tra le mani. Doveva essere la “prima” del “68 a Roma. Solo per miracolo non fu una carneficina.
Pier Paolo Pasolini era, praticamente da sempre, un personaggio scomodo. Probabilmente nessuno lo voleva troppo vicino. Era gay; lo era dichiaratamente, non nel modo discreto che allora si conveniva. Era comunista e iscritto al PCI. Ma le due cose, comunista e gay, non erano all’epoca conciliabili: fu espulso dal partito per immoralità nel 1949. Il PCI, essendo un partito comunista persino nel nome, non temeva di apparire un partito bigotto. E lo era, eccome.
Pasolini non se ne fece un grande problema: era conscio ed orgoglioso della propria “diversità”. Fino alla morte, arrivata nella notte tra il primo e il due novembre del 1975, in circostanze strane se non misteriose. Di origini friulane, il giovane Pasolini era emigrato a Roma dove aveva cominciato a lavorare insegnando in una Scuola Media. E’ in quegli anni che egli scopre il sottoproletariato urbano e comincia a vederlo come l’unico elemento rivoluzionario, in una società sempre più appiattita e omologata ai valori della borghesia. Egli vede nei reietti della società del consumismo i discendenti delle prime comunità cristiane, e questa scoperta corregge la sua idea di comunismo. Non si poteva definire, questo suo essere comunista, né scientifico né marxista. Era piuttosto romantico e animato da pietà per gli ultimi.
Dal punto di vista artistico, Pasolini era un genio multiforme: poeta, attore, regista. E in ogni sua opera d’arte traspariva l’aspirazione utopica ad una rivoluzione sociale e spirituale, sostenuta dagli ultimi, da quelli che costituiranno l’oggetto continuo della sua osservazione e della sua arte. La rivoluzione che lui sognava aveva i tratti di quella che, duemila anni prima, avevano portato a termine i reietti e gli schiavi, abbracciando la fede in Cristo. Egli pensava che le borgate, luoghi della sopravvivenza di umanità e di sincerità, sarebbero state punto di origine di un rinnovamento generale della società corrotta dal consumismo.
Il cosiddetto boom economico avrebbe cancellato questa illusione. I sottoproletari, ben lontani dall’idea di voler fare la rivoluzione, in realtà desideravano partecipare da protagonisti alla “follia” consumista. Per il poeta la presa d’atto di questa realtà fu una vera mazzata. La sua idea di comunismo diventava un’utopia nell’utopia. Egli si sentì ancora più solo ed incompreso. L’obiettivo della sua rabbia restava l’imborghesimento della società, ma la sua battaglia era ormai combattuta nella solitudine e nella piena consapevolezza di essere solo. Sempre più solo. Sempre più disperatamente solo. Si spiegano così le sue continue prese di posizione contro il consumismo, a favore della società contadina che scompariva.
Il giorno dopo gli scontri di Valle Giulia, Pasolini scrisse versi indimenticabili, che andavano controcorrente ma che, soprattutto, alla luce di quello che nel decennio successivo sarebbe successo, erano, semplicemente e assolutamente, una profezia. Credo sia il caso di riportarne una trasposizione quasi integrale.
“… Adesso i giornalisti
di tutto il mondo
(compresi quelli delle televisioni)
vi leccano (come ancora si dica
nel linguaggio goliardico) il culo.
Io no, cari.
Avete facce di figli di papà.
Vi odio come odio i vostri papà.
Buona razza non mente.
Avete lo stesso occhio cattivo.
Siete pavidi, incerti, disperati
(benissimo!)
ma sapete anche come essere
prepotenti, ricattatori, sicuri e sfacciati:
prerogative piccolo-borghesi, cari.
Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a bottecoi poliziotti,
io simpatizzavo coi poliziotti.
Perché i poliziotti sono figli di poveri.
Vengono da subtopie, contadine o urbane che siano.
Quanto a me, conosco assai bene
Il loro modo di essere stati bambini e ragazzi,
le preziose mille lire, il padre rimasto ragazzo anche lui,
a causa della miseria, che non dà autorità.
La madre incallita come un facchino, o tenera
per qualche malattia, come un uccellino;
i tanti fratelli; la casupola
tra gli orti con la salvia rossa (in terreni
altrui, lottizzati); i bassi
sulle cloache; o gli appartamenti nei grandi
caseggiati popolari, ecc. ecc.
E poi, guardateli come li vestono: come pagliacci,
con quella stoffa ruvida, che puzza di rancio
furerie e popolo. Peggio di tutto, naturalmente,
è lo stato psicologico cui sono ridotti
(per una quarantina
di mille lire al mese):
senza più sorriso,
senza più amicizia col mondo,
separati,
esclusi (in un tipo di esclusione che non ha uguali);
umiliati dalla perdita della qualità di uomini
per quella di poliziotti (l’essere odiati fa odiare).
Hanno vent’anni, la vostra età, cari
e care.
Siamo ovviamente d’accordo contro
l’istituzione della polizia.
Ma prendetevela contro la Magistratura, e vedrete!
I ragazzi poliziotti
che voi per sacro teppismo
(di eletta tradizione risorgimentale)
di figli di papà, avete bastonato,
appartengono all’altra classe sociale.
A Valle Giulia, ieri, si è così avuto
un frammento
di lotta di classe: e voi, cari, (benché
dalla parte della ragione)
eravate i ricchi,
mentre i poliziotti
(che erano dalla parte del torto)
erano i poveri. Bella vittoria, dunque,
la vostra! In questi casi,
ai poliziotti si danno i fiori, cari. Stampa e Corriere della Sera, News week e
Monde
vi leccano il culo. Siete i loro figli,
la loro speranza, il loro futuro:
se vi rimproverano
non si preparano certo a una lotta di classe contro di voi! Se mai,
si tratta di una lotta intestina…
… il movimento studentesco (?)
non frequenta i vangeli la cui lettura
i suoi adulatori di mezza età
gli attribuiscono
per sentirsi giovani e crearsi verginità ricattatrici;
una sola cosa gli studenti realmente
conoscono;
il moralismo del padre magistrato
o professionista,
il teppismo conformista del fratello
maggiore
(naturalmente avviato per la strada
del padre),
l’odio per la cultura che ha la loro madre, di origini
contadine anche se già lontane.
Questo, cari figli, sapete.
E lo applicate attraverso due i
nderogabili sentimenti:
la coscienza dei vostri diritti (si sa, la democrazia
prende in considerazioni solo voi)
e l’aspirazione
al potere.
Sì, i vostri orribili slogan vertono sempre
sulla presa di potere.
Leggo nelle vostre barbe ambizioni
impotenti,
nei vostri pallori snobismi disperati,
nei vostri occhi sfuggenti dissociazioni sessuali,
nella troppa prepotenza, nella poca
salute disprezzo
(solo per quei pochi di voi che vengono dalla borghesia
infima, o da qualche famiglia operaia
questi difetti hanno qualche nobiltà:
conosci te stesso a e la scuola
di Barbiana!)
Riformisti!
Reificatori!
Occupate le università
ma dite che la stessa idea venga
a dei giovani operai.
E allora: Corriere della Sera e Stampa, News week e Monde
avranno tanta sollecitudine
nel cercare di comprendere i
loro problemi?
La polizia si limiterà a prendere
un po’ di botte
dentro una fabbrica occupata?
Ma, soprattutto, come potrebbe
concedersi
un giovane operaio di occupare
una fabbrica
senza morire di fame dopo tre giorni?
E andate a occupare le università, cari figli,
ma date metà dei vostri emolumenti
paterni sia pur scarsi
a dei giovani operai perché possano
occupare,
insieme a voi, le loro fabbriche.
Mi dispiace.
E’ un suggerimento banale;
e ricattatorio. Ma soprattutto inutile:
perché voi siete borghesi…
… Che la buona stella della borghesia vi assista!
Inebriati dalla vittoria contro
i giovanotti
della polizia costretti dalla povertà
a essere servi,
e ubriacati dell’interesse dell’opinione pubblica
borghese (con cui vi comportate come donne
non innamorate, che ignorano
e maltrattano
lo spasimante ricco)
mettete da parte l’unico strumento
davvero pericoloso
per combattere contro i vostri padri:
ossia il comunismo …
Con questa poesia Pasolini ancora una volta sorprendeva il mondo intero. Qualcuno, soprattutto dalle file della sinistra, disse che, tanto, a lui piaceva andare controcorrente a prescindere. Ma, a partire dai primi anni Settanta del Novecento, mentre l’onda lunga delle conquiste sociali e civili continuava ad avanzare, venivano alla ribalta forme di violenza sconosciute fino ad allora. Non solo: il numero degli episodi violenti era inversamente proporzionale a quello degli studenti attivi nel movimento. Man mano che l’interesse degli studenti scemava, cioè, cresceva la voglia di ricorrere alle spranghe e, poi, alle pistole e molti di quelli che sparavano erano figli della borghesia. Pasolini era stato profetico. La profezia di Pasolini è ancora valida oggi, nel 2022. Con la sinistra che ha abbandonato le periferie e non riesce più a rappresentare i lavoratori. E poi, diciamoci la verità, quella poesia sembra parlare dei vari Renzi e Calenda. Ma anche di Rizzo, Letta, De Magistris…
Sembra quasi suggerire che la sinistra italiana ha avviato il proprio declino proprio lì, a Valle Giulia.
Luciano Arciuolo
(da Fuori dalla Rete, Ottobre 2022, anno XVI, n. 4)
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