Due motivazioni inducevano l’innamorato al rapimento: il timore, spesso non infondato, che un rivale gli sottraesse la ragazza con cui era fidanzato, ricorrendo prima di lui al gesto estremo; oppure il rifiuto sprezzante della ragazza che amava un altro, ma della quale egli si era pazzamente invaghito. In quest’ultimo caso, però, oltre alla violenza del rapimento, la ragazza era costretta a subire pure lo stupro. La maggioranza delle ragazze violentate, consigliate da persone amiche, accettavano il fatto compiuto, suggellando l’unione con il sacramento del matrimonio. Non era detto che col tempo l’amore non potesse nascere tra i due.
Ma c’era anche il caso di qualche ragazza che, restia ad affrontare un inevitabile scandalo, sopportava una vita d’inferno con l’uomo che neppure dopo una lunga convivenza era riuscito a farsi perdonare. Si conoscono storie di fanciulle irriducibili le quali, giacché innamorate di un altro ragazzo o indignate contro chi le aveva prese con la violenza, scappavano dalla casa dello stupratore la sera stessa del rapimento. Il futuro di queste coraggiose ragazze era segnato. Nel 1989 Annarella, una donna anziana di Bagnoli, mi raccontò la violenza subita circa trent’anni prima da una sedicenne, che chiamerò Nuccia, visto che la protagonista è vivente.
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(Annarella prende così a raccontare): “Io ho assistito a un rapimento E fu tale il mio turbamento che, a distanza di tanti anni, ancora non sono riuscita a cancellarne la memoria. Sotto i miei occhi fu rapita Nuccia, la mia compagna più cara, la quale però nel cuore aveva un altro.
Io e la mia compagna ci dividevamo anche il sonno. Frequentando casa, Nuccia aveva attirato l’attenzione di mio fratello Carmelo e acceso una fiamma nel suo cuore. Sebbene pressata da lui, io non avevo ancora trovato il momento opportuno per rivelare a Nuccia i suoi sentimenti.
Un giorno io e Nuccia andammo al lavatoio del Noceto con due cesti di panni da lavare. Nuccia mi stava confidando che da più di un mese le stava dietro Donato, il figlio del Vardaro, che costruiva basti per asini. Continuava a infastidirla, sebbene lei lo avesse rifiutato perché di lui non le piaceva proprio nulla.
Arrivate a due passi dalla fontana, si parò dinanzi a noi proprio lui, Donato, che era sbucato da dietro un albero di noce. Tutt’e due sbiancammo dalla paura e lanciammo un grido. Io restai immobile con il cesto sulla testa, mentre Nuccia, gettato il suo nella vasca, si dava alla fuga verso casa.
– Mamma, mamma, aiutami! – gridava. Dopo un poco prese a invocare il nome di mio fratello: – Carmelo, Carmelo mio! -.
Donato le si avventò addosso e la tenne ferma, mentre sopraggiungevano tre compagni che la afferrarono e la sollevarono di peso. Lei scalciava, ma quelli se la portarono via, scomparendo in breve tra gli alberi che si infittivano man mano che il bosco si distendeva verso le Fieste. Ancora a lungo mi ferirono le sue urla: – Iu nun vogliu! Carmelu miu, addù si’?
Tre giorni dopo mi mandò a chiamare nella sua nuova casa, approfittando dell’assenza di Donato che lavorava nella bottega con il padre. Ci chiudemmo in camera: quanta chianti ci faciemme, strette l’una nelle braccia dell’altra!”
(A questo punto, travolta dal doloroso ricordo, Annarella non trattiene la sua commozione e scoppia in singhiozzi).
Aniello Russo
(da Fuori dalla Rete, Maggio 2018, anno XII, n. 3)
Le foto d’epoca sono del Prof. RIccardo Trillo
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