Il Signore del Raiamagra

di Antonio Cella

Nel suo articolo di fondo pubblicato sul giornalino di attualità e cultura Fuori dalla Rete del 22 marzo volgente anno, Giulio Tammaro, già Presidente del Circolo culturale Palazzo tenta 39, si poneva il seguente dubbio: “Una seggiovia ci salverà?”. La domanda è pertinente se si legano le sorti della costruenda sciovia alla situazione di  disagio e di paura che stiamo vivendo da circa un triennio, che continua a falcidiare, anche se in forma più lieve, buona parte del globo terracqueo. Non passa giorno senza che alleati malevoli, del tipo: piogge torrenziali, maremoti, eruzioni vulcaniche e valanghe di ghiaccio, non si accompagnino con il famoso virus patogeno, e sue devianze, per combattere l’intelligenza dell’homo sapiens senza però scalfirne in profondità la tenuta del suo impianto fisico e mentale. Resilienza spontanea germogliata dalla paura?

Credo proprio di no, poiché, come diceva Jung, dov’è la paura, lì matura la soluzione. E l’uomo dei lumi, la soluzione, l’ha trovata nei vaccini. Il fatto stesso che la Doppelmayr Italia settore costruzione di impianti a fune, ditta aggiudicataria del rifacimento della sciovia, abbia già iniziato (con molta lentezza) i sopralluoghi sul territorio, fa ben sperare. Dobbiamo soltanto augurarci che la menzionata ditta agisca con serietà, impegno e rispetto delle tempistiche così come si è mosso, nella seconda metà del secolo scorso, l’uomo che ha donato per molti anni la “sicurezza economica” a decine e decine di lavoratori della neve: Franco Giannoni.

Un pioniere vero, geniale, al quale, se tornasse in vita, dovremmo porgere ufficialmente le nostre scuse per il modo con cui ci siamo comportati nelle fasi di “sloggiamento” della sua Società dalla zona dove ha investito le proprie economie, la propria intelligenza, la propria gioventù per portare a termine la sua missione. Se il Laceno ha ancora un’attrattiva, la dobbiamo, in parte, sicuramente a lui.  Quando nella seconda metà degli anni ’60 Giannoni arrivò sul Laceno, fu rapito dalla maestosità della natura selvaggia e dall’incanto del pianoro, che non aveva proprio bisogno d’altro per gareggiare in bellezza col paradiso terrestre di Adamo ed Eva. E, con l’emozione del “primo innamoramento”, immediatamente, con il consenso dell’Amm/ne comunale pro tempore, guidata dal Sindaco Ermenegildo Parenti, mise mano al progetto di costruzione dell’impianto di risalita. Nel contempo, grazie alla iniziativa di bagnolesi audaci, cominciarono a sorgere alberghi e ristoranti, che contribuirono anch’essi all’ampliamento della notorietà del posto. Ci fu addirittura qualche ristoratore che, nell’arco di un anno, preparò oltre settanta pranzi di nozze.

Gli sposini dell’epoca, facevano a gara per festeggiare il loro matrimonio nei ristoranti di Laceno. In quel periodo, l’economia del paese toccò livelli di eccellenza, mai raggiunti nemmeno negli hotels e nei ristoranti del capoluogo di provincia. Poi, dopo cinquant’anni, è arrivato il momento di sottoporre le funivie al restyling e alle radicali riqualificazioni dell’intera area. E con esse, sono affiorati i prodromi di una “guerriglia” tra il Comune e gli eredi dell’anziano gestore, che poi sono sfociati in battaglia legale, non essendo disposti gli stessi ad accettare le intolleranti imposizioni poste dagli amministratori comunali. Per avere un’idea di come si sono svolti gli scontri, basta leggere il frame dell’intervento di parte lesa a firma di Marzio Giannoni che, di seguito, riporto pedissequamente:

“La Società che rappresento, che ha curato con investimenti privati la realtà sciistica del Laceno, pur continuando a investire le proprie economie, ha subito istanze di sgombro sulla scorta di fantomatici investimenti da effettuare. Con determinazione e costanza tutte le Amministrazioni, compresa l’attuale, hanno intrapreso ogni azione per cacciarci. Questo deve far riflettere su tutte le cattiverie a chi ha creato a proprie spese quello che oggi viene definito un fiore all’occhiello”.

Indubbiamente, abbiamo agito in modo avventato, presi dalla fregola di “liberarci” della famiglia Giannoni e, contestualmente, per fare spazio all’intervento regionale per l’assunzione dei finanziamenti occorrenti per la rinascita delle sciovie di che trattasi. Non abbiamo pensato minimamente alla gestione futura dell’impianto, da cui sgorga il dubbio non soltanto di Giulio Tammaro ma soprattutto di chi ha lavorato sulle falde del Raiamagra, di chi ha tratto profitti nella vendita di articoli sportivi, nel nolo sci, nell’affitto di ciaspole ed altri indumenti, che ora rimpiangono e invocano il ritorno del marchio Giannoni sulle piste bluastre dei Serroncelli:

“L’ingegnere ha sempre garantito alla manovalanza la paga mensile e il versamento degli oneri sociali e previdenziali. E quando nella cattiva stagione invernale le piste restavano verdi, non ci ha abbandonati, ha continuato a curare le parti sconnesse delle stesse e ad acquistare nuovi mezzi meccanici quali: ruspe, gatti delle nevi e quelli necessari per l’innevamento artificiale, anche con le casse della Società quasi vuote”.

E dobbiamo crederci! A detta di un esperto che conosce bene il costo dei mezzi meccanici che operano sulle pendici dei monti innevati, il solo “gatto delle nevi” costa qualcosa come un appartamento nel centro del Vomero: 600-700mila euro, e uno solo non basta in una stazione sciistica di rispetto.

Che futuro avranno le nostre sciovie?

Oltre alla promozione e alla programmazione mirata dei nuovi impianti (con l’intervento dei mass-media) credo si debba fare (al di là del bando) una scelta ponderata nell’assegnare ad imprenditori affidabili, di notoria serietà professionale, il futuro sciistico del Laceno imitando, se possibile, la perseveranza, la tenacia e l’esperienza di Franco Giannoni.

Antonio Cella

(da Fuori dalla Rete, Ottobre 2022, anno XVI, n. 4)

 

 

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